Ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, papa Francesco e il Grande Imam di al-Azhar Aḥmad al-Tayyib hanno firmato quel famoso documento sulla fraternità umana. Proprio lì, le tre grandi religioni monoteistiche – ebraismo, cristianesimo e islam – hanno costruito la Abrahamic Family House. Lì vive e lavora fra Stefano Luca, che MC ha intervistato.

a cura di Barbara Bonfiglioli

 I tre cubi di Abramo

Nel dialogo il Vangelo è sempre nuovo

 intervista a fra Stefano Luca, missionario ad Abu Dhabi
a cura di Barbara Bonfiglioli, della Redazione di MC

 Buongiorno fra Stefano. Vuoi presentare te e questa nuova “avventura” presso l'Abrahamic Family House?

 Sono un frate minore cappuccino. Essere qui non era nei miei programmi, ma due elementi nel mio cammino di consacrazione mi hanno sempre caratterizzato: mi so appassionare alle cose e mi lascio interrogare dai dubbi che mi sorgono nel discernimento e nella preghiera. Mi spiego meglio: durante la mia formazione, sino al completamente degli studi di teologia, ho avuto la grazia di poter compiere molte azioni missionarie in diversi paesi del mondo per periodi brevi (da un mese a un anno) e così era previsto che io mi impegnassi sulle tematiche dell'assistenza e della cura delle fragilità. Ma poi mi sono chiesto e successivamente ho chiesto ai miei superiori, se non fosse più giusto approfondire l'ambito dei rifugiati. E poi è apparso più attuale impegnarsi nel dialogo, in particolare, con l'Islam. Da qui è nata una licenza in Arabo e Teologia Coranica (al Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica PISAI) e successivamente un dottorato sul dialogo cattolico-islamico nella Facoltà di Missiologia (presso la Pontificia Università Gregoriana PUG). Ora, guardando indietro, mi pare di scorgere chiaramente un filo rosso che lega tutte le mie esperienze pregresse: il dialogo con il mondo islamico.
All'Abrahamic Family House sono arrivato perché il Vescovo Paolo Martinelli, Vicario Apostolico dell'Arabia Meridionale, ha fortemente voluto la mia presenza qui per potermi prendere cura, come referente cattolico, di questa realtà nascente. Nella Abrahamic Family House c’era già un referentea per l’ebraismo e uno per l’islam; mancava uno per il cattolicesimo. Il vescovo Paolo ha così parlato con i miei superiori e nel giro di pochi mesi, il 31 agosto, sono atterrato negli Emirati Arabi Uniti e il 1° settembre è iniziata questa avventura.

 Per te, come frate, cosa significa essere il direttore della chiesa di San Francesco della Abrahamic Family House?

 È sicuramente un grande onore, ma anche una grande responsabilità. Questa missione credo sia oggi uno dei modi di esprimere il cristianesimo e di recuperare un aspetto fondamentale del DNA del francescanesimo; cioè, il dialogo. Come frati francescani è un'occasione bella per essere profezia di dialogo e pace, cosa che Francesco ha iniziato 805 anni fa a Damietta. Non è un caso che la Abrahamic Family House sia un dono del governo a Papa Francesco come segno concreto e tangibile del Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune, siglato il 4 febbraio 2019 – a 800 anni dall'incontro tra san Francesco e il sultano al-Malik al-Kāmil da papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Aḥmad al-Tayyib.

 Parlaci della Casa della Famiglia Abramitica.

 La Abrahamic Family House vuole essere una manifestazione fisica del Documento sulla Fratellanza Umana: è situata nel distretto culturale di Abu Dhabi. L'obiettivo è chiaro già nel motto che compare aprendo il sito ufficiale – “Diverse in our Faiths. Common in our Humanity. Together in Peace”, cioè “Differenti nelle nostre fedi. Comuni nella nostra umanità. Insieme nella pace”. Il complesso incarna la coesistenza interreligiosa mantenendo e preservando il carattere specifico di ognuna delle tre religioni che semplificando possiamo chiamare abramitiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam). Tutto, quindi, ha un valore teologico, che va conosciuto per comprenderlo pienamente. La struttura è una vera e propria opera architettonica, progettata dall’architetto David Adaye: si compone di una moschea, di una sinagoga e di una chiesa cattolica unite tra loro da un quarto luogo che chiamiamo Forum. Il concetto – semplice nella sua complessità – su cui si costruisce questa realtà è l’“unità nella differenza”. Anche architettonicamente questo è ben percepibile: tre case identiche in termini di misure, tre cubi di trenta metri quadrati l’uno, proprio a significare che nessuno prevale sull'altro; ma totalmente differenti come architettura esterna e ovviamente interna. Qui abbiamo dei tour organizzati per poter narrare questa unità – perché Dio è uno – ma nel rispetto delle differenze attraverso la spiegazione architettonico-teologica del luogo.

 Nel sito internet si leggono tantissime iniziative che vanno dalla formazione, agli incontri, ai momenti di preghiera. Ti chiederei di parlarcene.

 In realtà per rendersi conto delle attività svolte nel quotidiano più che al sito è meglio fare riferimento alle pagine social (Facebook, Instagram e Youtube).
Le tre case religiose funzionano autonomamente, perché sono luoghi di culto specifici ed ognuno programma la vita pastorale della propria realtà. C'è un ufficio educativo, pienamente autonomo, che può avvalersi anche delle competenze di noi tre leader religiosi residenti, il sottoscritto, l’imam e il rabbino, che propone e promuove per i tre luoghi di culto dei laboratori molto variegati: dai panel di discussione tematici, ai laboratori su come si fa un mosaico o un addobbo per l'albero di Natale. Alcuni di questi laboratori sono riservati a una specifica comunità religiosa, ma altri sono aperti a tutte e tre le comunità e vengono chiamate cross-house activities. Questo consente una reciproca conoscenza intorno a una data tematica.

  Andando nel concreto, chi si incontra e chi partecipa? 

 La nostra chiesa, che è intitolata a San Francesco, va pensata come una parrocchia francescana. Si fanno tutte le attività di una parrocchia molto viva.   Occorre avere solo la delicatezza e il rispetto che si avrebbe verso un “neonato” che non ha neanche un anno di vita: non si vuole correre, ma fare passi   commisurati a questa realtà. Oltre ai sacramenti e alle azioni liturgiche quotidiane, la chiesa propone speciali percorsi di catechesi francescane. Cerchiamo   così di far conoscere meglio il nostro carisma sia al popolo cristiano che anche alle altre religioni. Come ho accennato prima, tutto qui è collegato a san   Francesco e siamo fortemente convinti che il nostro carisma possa fare la differenza. Un altro elemento interessante è che la nostra chiesa sta iniziando con   regolarità la preghiera ecumenica in stile Taizé una volta al mese.

 Nel quotidiano, come vivi una tua giornata?

 Le giornate sono lunghe e intense: di norma mi sveglio alle 5, alle 6 preghiamo le lodi mattutine in parrocchia (che dista circa venti minuti in macchina dall’Abrahamic Family House), sempre in parrocchia confesso fino alle 7 e poi prendo la macchina e raggiungo la casa Abramitica tra le 7.30 e le 8. Qui inizia il lavoro che dura fino alle 22 a volte anche le 23. Sono giornate molto piene di attività pastorale, di incontri e accompagnamento delle persone, di studio e ricerca, di ideazione e progettazione di attività, ma anche di burocrazia, spesso molto complessa.
Mi occupo della chiesa a tutto tondo: dalla preparazione delle diverse liturgie fino ad organizzazione e alla preparazione di eventi, alla gestione della sagrestia, alla preparazione delle catechesi. Da un punto di vista pastorale poi c'è l'incontro con le persone, con numeri incredibili rispetto a quelli a cui siamo abituati in Italia. Ad esempio, alla messa domenicale ci sono 1300 persone,. Infine, c'è l'aspetto più istituzionale con cui interagire: personale del governo, principi, ambasciatori, primi ministri, capi di stato, nunzi, cardinali, vescovi. In questa porzione del mondo, rappresentiamo il volto della cattolicità.

 Mi chiedo se è nei piani il poter accogliere studenti o altri per vivere e studiare questa realtà

 È già nei piani, perché l'ufficio educativo sta già intessendo relazioni con le varie università per far partire dei corsi estivi, creare possibilità perché dottorandi possano venire e fare ricerca. A livello di Vicariato, inoltre, abbiamo il desiderio di far partire qualcosa per le università pontificie. C'è il desiderio di dare la possibilità a preti, suore, laici, catechisti di fare questa esperienza, ma questa è ancora un’idea embrionale e come ho già detto l’intero progetto non ha neanche un anno di vita. Shwai Shwai - piano piano - come si dice spesso in arabo. In questa missione molto delicata occorre che a guidare sia esclusivamente lo Spirito Santo, e questo richiede tempo. Non si può correre. Anche se magari si vorrebbe subito fare delle cose, occorre farsi poveri e riconoscere che l’unico modo per riuscire in questo progetto è ascoltare e obbedire a ciò che lo Spirito suggerisce.

 Che consigli/suggerimenti potresti dare per far sì che il dialogo diventi esperienza vera anche nel nostro quotidiano e nelle nostre città?

 Il primo consiglio è di conoscere il tanto che la Chiesa italiana fa nell'ambito del dialogo interreligioso e partire da lì. È da diversi anni che l’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso (UNEDI) della CEI sta promuovendo processi, che non sono solo teorici, ma progettati per avere una ricaduta reale nella vita delle persone nei vari territori. Sul sito dell'UNEDI, ad esempio, si può reperire molto materiale utile per diversi ambiti: gli uffici diocesani, le scuole, gli ospedali, gli oratori e le carceri. Sempre dall'UNEDI si possono avere anche ottimi contatti di persone e buone pratiche già esistenti in Italia.
Un altro aspetto importante è intessere relazioni, perché non si incontrano “gli” Islam, ma persone di fede islamica con cui si è chiamati a intessere rapporti di amicizia, creando vere e proprie reti di stima, rispetto e fiducia reciproca.

 In base alla tua esperienza, quali sono i rischi da evitare nel dialogo interreligioso?

 Uno dei pericoli più grandi del dialogo è l'eliminazione delle differenze. Più elimini le differenze e più distruggi il dialogo, perché non si può dialogare con uno specchio. Inoltre, l'appiattimento delle differenze dà credito alla narrazione distorta e sbagliata che spesso viene trasmessa alle seconde/terze/quarte generazioni, cioè che l'Occidente ha perso Dio. Se annacqui la fede, pensando di favorire il dialogo, diventi meno credibile e non valorizzi il dono ricevuto nel battesimo.
Di conseguenza, ognuno deve impegnarsi a conoscere bene la propria fede, per saperne rendere ragione. Per poter fare dialogo vero occorre una fede viva. Il dialogo è difficile, non perché avviene tra le differenze, ma perché chiama, interroga e chiede risposte. Molti scappano dall’ineludibilità del dialogo perché non hanno il coraggio di affrontare certe domande. Il dialogo è esigente perché ti chiede una maturità di fede che è impegnativa. Bella, ma impegnativa. Ecco perché alle volte non ci si impegna nel dialogo, perché è faticoso e ti chiede di essere cattolico al cento per cento. Ti chiede di conoscere e credere nel profondo a tutto il portato della Chiesa.
Molti sottolineano il fatto che la cristianità in Europa è in calo; vero, ma io preferisco sottolineare il fatto che, oggi, chi crede in Europa sono persone che aderiscono alla fede perché lo scelgono con convinzione e consapevolezza. Qui, a mio avviso, è custodito il germe di una resurrezione della fede da coltivare e di cui gioire. Il dialogo interreligioso diviene oggi non solo la risposta al segno dei tempi, ma anche un modo per aiutare coloro i quali hanno smarrito la propria fede. La diversa fede dell’altro diventa uno stimolo incredibile per riscoprire le domande di fede che in Occidente spesso sono andate perdute. Direi che, soprattutto in Occidente, la missione francescana del dialogo interreligioso, se vissuta con maturità, può essere una grande occasione di ri-evangelizzazione per quelle persone di tradizione cattolica che nell’incontro con l’altra religione riscoprono tutta la forza e la bellezza del cattolicesimo.

 

 

 Dell’intervistato segnaliamo il volume:
Teologia delle differenze. Nuove prospettive per la missione francescana del dialogo con l’Islam
Terra Santa Edizioni, 2024

 

 

 

 

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