Benedette contaminazioni
di Dino Dozzi
Direttore di MC
Quando Leone XIII, 120 anni fa, nella Rerum Novarum si occupò della questione operaia e della giustizia sociale, i benpensanti dissero: «Eh no, di questi temi ci occupiamo noi! Il Papa parli di Dio, degli angeli e dei santi!». E quando papa Francesco nella Fratelli tutti o nella Laudato si’ ha parlato di ecologia, di economia e di proprietà privata, ancora più forte si è levato il grido: «Il Papa parli di teologia e non di sociologia o di economia!». Il Festival Francescano del 2025 – a Bologna dal 25 al 28 settembre – prende spunto dall’ottavo centenario del Cantico di frate sole, lo scritto più famoso di san Francesco. Trovandomi spesso a commentarlo, soprattutto quest’anno, mi sono chiesto: siamo di fronte ad un testo di alta poesia o di antesignana ecologia o di raffinata antropologia o di profonda teologia? Di tutte e quattro, penso io. Anzi, vorrei dire qualcosa sulla importanza delle “contaminazioni”.
Paolo Boschini si è domandato recentemente: “Quale teologia a servizio di un nuovo umanesimo?” (Cfr. RTE XXVII 2023 53, 7-33) e ha scritto che «dopo la stagione della teologia politica europea e della teologia latino-americana della liberazione, la teologia pubblica è chiamata a ridefinire la rilevanza del discorso teologico nelle odierne società pluraliste e post-cristiane». Una buona teologia, basata sulla Bibbia, parla di Dio, non in se stesso, ma nel suo rapporto con l'uomo e con la natura. La Bibbia è il libro delle relazioni. Quando la psicologia del secolo scorso ha “scoperto” l’importanza delle relazioni, ha avuto solo un difetto di citazione. Papa Francesco ha parlato di ecologia “integrale”, che deve tener conto dell’antropologia e della teologia. L’aggettivo “integrale” va applicato anche all’antropologia e alla teologia, la quale deve ispirarsi sempre alla Bibbia e non può ridursi a parlare solo delle processioni trinitarie o dei cori angelici. Una “teologia integrale” come quella biblica e come quella che troviamo nel Cantico delle creature, fonde insieme teologia, antropologia ed ecologia, in modo poetico, cioè profondo, trasfigurante e unificante, rivelando connessioni che sfuggono ad una lettura superficiale.
C’è bisogno di queste “contaminazioni” per il bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. L’ecologia ha bisogno di venire “contaminata” dall’antropologia e dalla teologia. Un ecosistema che escluda l'uomo o escluda Dio è davvero tale? La teologia, da parte sua, non dovrà forse far i conti un po' più seriamente con l'ecologia? Non sarà giunto il momento di riprendere in mano con maggiore attenzione quelle enigmatiche parole sfuggite alla penna del grande Paolo nella lettera ai Romani? «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,19-22).
Creazione, rivelazione, caducità, schiavitù, corruzione, libertà, gloria, figliolanza, attesa: non sono forse gli stessi termini che vengono usati per parlare biblicamente e teologicamente dell'uomo? Non è questo un chiaro incoraggiamento a guardare la creazione con occhi più "fraterni", visto che con essa abbiamo in comune tanto, non solo di tipo creaturale, ma anche di tipo redentivo? E un tale allargamento di orizzonte non potrebbe forse giovare anche alla verifica e al ringiovanimento della terminologia teologica e dei suoi ambiti? In passato si correva con eccessiva rapidità dalla natura alla grazia, soffermandosi quasi esclusivamente su quest'ultima. Forse è giunto il momento di tener conto maggiormente di entrambe le realtà, magari insistendo un po' meno a vederle come tappe successive e prendendo un po' più seriamente fatti come l'incarnazione e la sacramentalità che potrebbero suggerire un'impostazione tipo: grazia nella natura e attraverso la natura. Il Cantico delle creature è illuminante anche sotto questo aspetto.
E, per finire, perché non prestare un attimo di attenzione al suggestivo suggerimento di Teillhard de Chardin, grande teologo, grande scienziato e grande ecologo, e non vedere nel cosmo intero materia eucaristica? Un po' di pane e un po' di vino ogni minuto nelle messe diventano cristificati. Ma forse questa è solo la punta emergente di un iceberg sacramentale. Sotto questa punta si potrebbe ipotizzare il cosmo intero in attesa di diventare eucaristia, cristificato, divinizzato. E perché non vedere nell'uomo il grande ministro di questa liturgia cosmica? Da queste "contaminazioni" tra teologia, antropologia ed ecologia non avrebbero forse da guadagnarci tutte e tre le discipline? Non solo come tentativo interdisciplinare, ma anche come contributo per la bonifica del giardino terrestre e come terapia per una umanità che sta rischiando di autodistruggersi nella violenza e nelle guerre?
Il Cantico delle creature è uno straordinario esempio di queste benedette contaminazioni/connessioni: vi si parla di creature e sorelle, che ci rivelano l’amore di Dio e ci aiutano a lodarlo e a ringraziarlo. A me sembra che in questa pagina di alta poesia si incontrino, si riconoscano e si integrino a vicenda armoniosamente teologia, antropologia ed ecologia. Credo che sia in un ecosistema di questo tipo che vada ricercato un fondamento stabile per il dovere di accogliere in modo rispettoso e fraterno tutti e tutto. Perché tutti e tutto siamo connessi (cfr. Federico Faggin, Oltre l’invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono, Mondadori, Milano 2024). Va in questa direzione anche il faticoso ma provvidenziale ritorno della teologia nelle università statali, in un dialogo aperto con tutte le altre discipline: benedette contaminazioni per il bene di tutti.