Gli innamorati, questi sconosciuti, per la Chiesa. L’assenza quasi totale di una pastorale ordinaria e stabile, rivolta a persone innamorate, sembra essere una cifra importante dell’attuale crisi di fede e di partecipazione ecclesiale. Con qualche eccezione interessante, che fa ancora sperare che la fede possa ripartire anche e soprattutto da questa esperienza cosi istintiva, primordiale e al tempo stesso trascendente.

a cura di Gilberto Borghi

 Vogliono qualcosa da sognare

…e la stanza non ha più pareti

 Nonostante tutto le persone si innamorano ancora. Riescono ancora a farsi attirare fuori da sé, dal fascino, dall’intelligenza, dalla bellezza, dalla bontà, dal valore dell’altro/a.

Nel generale clima di ipertrofia dell’io e della conseguente percezione di solitudine, l’innamoramento riesce ancora a far uscire la persona dalla sua “comfort zone” per aprire l’esperienza più alta, umana e cristiana che esista: l’amore. Di fronte a questa costatazione la Chiesa sembra, però, un po’ sorda: è davvero difficile rintracciare esperienze pastorali dedicate agli innamorati. Ho cercato di rintracciare proposte pastorali specifiche per queste persone e per questa situazione ben precisa. La maggior parte di esse sta dentro ad esperienze che si centrano sulla pastorale della famiglia e delle coppie.

 Amore e mistero

Se usciamo da queste esperienze e proviamo a vedere cosa c’è a livello ordinario e stabile, nelle parrocchie e diocesi, per gli innamorati non ancora orientati al matrimonio, purtroppo bisogna costatare una certa assenza e un discreto vuoto che fa molto riflettere. Certo, si dirà che “abbiamo altro a cui pensare”, nel senso che la crisi generale di fede, di partecipazione ecclesiale richiede di concentrare le energie rimaste sull’essenziale, cioè sulla relazione con Cristo e sulle forme, i linguaggi, i tempi che possono consentirne oggi l’esperienza. Perciò di un settore così limitato, forse anche numericamente piccolo nelle nostre comunità, e non così centrale come quello degli innamorati, forse, ci si potrà occupare dopo.
Una domanda però non mi abbandona: davvero l’innamorarsi è una esperienza limitata, non essenziale per la fede? Chiunque sia o sia stato innamorato sa bene che le cose non stanno così. La persona innamorata ha la sensazione che tutta la propria vita sia inondata da una energia buona, da un luce positiva. Ma soprattutto ha la netta percezione di far parte di qualcosa di più grande di sé stessa, che la avvolge e la trascina fuori dall’egoismo verso qualcosa che, forse, possiamo nominare come “mistero”, quello dell’amore.
E la fede è così lontano da ciò? Credere non vuole forse dire essere stati afferrati da Cristo in una relazione di amore, in cui le nostre energie vengono moltiplicate e possiamo avere uno sguardo buono e luminoso verso la realtà? Non siamo forse attirati da qualcosa di ben più grande di noi a cui diamo il nome di Dio? Allora come possiamo pensare che l’esperienza dell’innamoramento sia qualcosa di “limitato” rispetto alla fede? Come possiamo pensare che ci dobbiamo occupare degli innamorati solo “dopo” esserci occupati della rinascita della fede?
Forse, nel momento in cui non ci si occupa degli innamorati, si manifesta un concetto di fede e di innamoramento non molto realistici. In effetti, a volte, nella Chiesa la fede viene ancora intesa come adesione a delle verità trascendenti di cui non c’è sufficiente dimostrazione scientifica, con le conseguenti regole morali da seguire. E innamoramento, invece, viene inteso come la fase più istintiva, grezza e immatura dell’esperienza dell’amore, spesso da contenere per poter far fiorire il vero amore.
Credo che alla base del discreto vuoto pastorale sugli innamorati, ci stiano anche queste idee, che onestamente non rendono ragione sufficientemente dell’esperienze e del valore sia della fede che dell’innamoramento, con una svalutazione terribile di entrambe. E credo anche che una delle motivazioni della crisi di fede e di partecipazione ecclesiale di oggi, venga proprio da queste visioni, così incompatibili, di fede e innamoramento. Perché, in modo non riflesso, spesso le persone di oggi sentono la relazione con il trascendente molto vicina all’esperienza dell’essere innamorati. Mentre la Chiesa, se si mantiene in questa visione delle cose, si perde una possibilità enorme di evangelizzare.

 Proposte per innamorati

Allora è importante segnalare alcune delle esperienze pastorali dedicate agli innamorati che sono riuscito a rintracciare. Forse, ascoltandole, si potrebbe percepire che una delle forme, dei linguaggi, dei tempi per uscire dalla crisi di fede sarebbe proprio quella dell’essere innamorati.
In genere sono tre le forme pastorali di queste esperienze.
La prima, poco frequente, ma forse la più importante. Si tratta di percorsi di formazione più o meno lunghi, dedicati alla presa in carico delle relazioni affettive appena sbocciate, nel tentativo di aiutare le persone coinvolte a crescere nell’amore, a prescindere poi dall’obiettivo che la coppia vorrà o potrà raggiungere. Tra queste segnalo quella all’Oasi Frassati di Torino, nel gennaio 2025, dove la pastorale famigliare, in collaborazione con quella giovanile, offrirà un percorso pensato per le coppie di giovani innamorati che vogliono mettersi in gioco per crescere insieme nell’amore dal titolo “Amori in corso”. Quattro giornate per affrontare alcune tematiche importanti e per regalarsi un po’ di tempo per confrontarsi, scoprirsi e allenarsi ad amare. Si andrà dalla “scoperta di me stesso e della mia storia” all’incontrarsi: “i primi sguardi e le differenze”; dai “linguaggi dell’amore” al cantiere aperto: “la sfida del noi”.
La seconda, molto più frequente, ma che rischia di essere un po’ estemporanea e limitata nel tempo. Si tratta delle veglie dedicate agli innamorati, quasi sempre in occasione della festa di San Valentino, soprattutto nel nord dell’Italia: Parma, Terni, Varese, Rimini, Forlì, Fidenza, Cuneo, Bologna, Modena, Carpi, Reggio Emilia, ma anche Caltagirone, Ragusa, Napoli (cito solo quelle di cui ho notizia). Occasioni in cui tutte le coppie innamorate, in qualsiasi condizione si trovino, vengono invitate ad un momento di preghiera comunitario, in cui l’amore, la sua crescita e la sua forza vengono messi al centro del rapporto con Dio. Di solito prevedono anche, al loro interno, una liturgia della parola in cui si manifesta il fondamento biblico dell’esperienza dell’innamoramento, come “luogo” voluto da Dio per far nascere l’amore; inoltre, quasi sempre, troviamo poi una benedizione sulle coppie, come segno visibile dell’attenzione di Dio per quell’esperienza di crescita umana e di fede.
La terza, non molto rara, è spesso dedicata ai giovanissimi (14-18 anni). Si tratta dei campi scuola che mettono a tema l’affetto, la sessualità, l’innamoramento. Una occasione in cui, senza troppi confini tra chi frequenta la Chiesa e chi no, si aiutano i ragazzi a riflettere su questa dimensione della realtà, nel confronto tra chi già ha questa esperienza e chi ancora no. Spesso qui è la dimensione umana, relazionale a tenere il centro, senza far troppo comparire la dimensione di fede. A volte alcune sono segnate ancora da una attenzione morale a far sì che il comportamento dei ragazzi sia “regolare” (ma spesso poi si rivela una partita persa). A volte, invece, il tentativo è quello di far percepire che affetto e sessualità sono fortemente correlati tra loro e con l’essere innamorati, ma anche qui spesso l’impressione è che la fatica di ricucire davvero tra loro le “parti” della persona sia davvero tanta. In qualche caso, però queste occasioni danno poi il via a relazioni di accompagnamento tra ragazzi ed educatori che si prolungano anche oltre il campo scuola. E forse questo è il risultato pastorale più importante di tutti.