Dove i sogni prendono forma
L’idea adolescenziale di fiducia è indicatrice di un desiderio di amore
di Antonino Stella
insegnante di Religione nelle scuole secondarie di II grado
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli:
“Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall'interno gli risponde: “Non m'importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» (Lc 11,5-13).
Quando chiediamo ad un adolescente cosa intenda con il termine fiducia, le descrizioni che ne otterremo saranno prevalentemente di due tipi diversi: nell’accezione più superficiale, socialmente accettata e meno compromettente e magari in una dinamica di ascolto di classe, la prima ci restituirà tendenzialmente un’immagine da dizionario enciclopedico, con un corollario di esempi più o meno personali e nella loro essenza una parafrasi del termine in sé.
Nel secondo caso invece, quello che si spera ci venga donato è un senso la cui profondità ci svela come davvero il cuore dell’uomo sia fatto per l’infinito e da esso non può che provenire. Perché nonostante la quotidianità non faccia che suggerire ed alimentare un’esperienza “fratturata” che divide l’uomo in sé stesso in tanti compartimenti stagni ognuno indifferente, insensibile o addirittura spaventato dall’altro, quello che dal dialogo con i ragazzi ci ritorna è che esiste ancora la ricerca di un rapporto con il prossimo. Ed è qui dentro che provano a custodire i loro sogni, proprio attraverso la fiducia.
Un rapporto che si costruisce sì per propria volontà, ma che da solo non sussiste, ha in sé la necessità di una condivisione, di un ritorno costante dall’altro e all’altro. Ad ascoltarli, sembra davvero che sia possibile affiancare la parola fiducia al termine agàpe, come se nelle loro parole questa fosse la forma più alta di devozione verso il prossimo, senza sentirne la necessità inquieta del possesso.
Tutto l’essere
È interessante vedere le figure con cui la fiducia, questa “qualità” della relazione, viene descritta: la base di ogni relazione, fa dimenticare la solitudine, credere che l’altro agirà in maniera responsabile, è uno scudo che protegge, ecc. Ciò che colpisce è che ciò che ci si aspetta da questa “cosa”, che si decide di mettere in gioco, coinvolga non solo la sfera emotiva ma tutto l’essere. Cercherò di rendere più chiara quest’ultima affermazione attraverso alcune delle espressioni che più mi hanno colpito.
La fiducia implica vulnerabilità e rischio, e significa avere una parte dell’altra persona. È inevitabile per me leggere in queste parole la consapevolezza di una dinamica di relazione che contempla un camminare insieme, il condividere delle prove e delle esperienze, condividere i propri sogni per custodirli. Davvero leggo la scelta di affidarsi a qualcuno.Se interpretiamo i sogni con i desideri, ci torna utile l’etimologia del termine “De-sidera” che con il suo riferimento diretto alle stelle ci porta a porre l’oggetto dei sogni ad una distanza considerevole e a dargli contorni sfumati e poco distinguibili. Detto questo non rimarrebbe che sconforto difronte ad essi. Invece in una dinamica di relazione basata sulla fiducia acquistano una dimensione di raggiungibilità che solo qualcosa con un’immagine chiara e conosciuta può avere. Possiamo dire che in un rapporto di fiducia allora i sogni prendono forma e le speranze li nutrono.
Cuori condivisi
È vero che nonostante la fiducia in prima istanza venga sempre descritta come qualcosa difficile da ottenere e facile da perdere, il fatto che la si consideri come qualcosa che si costruisce e si mantiene viva facendo memoria, mi fa pensare che sempre all’interno del rapporto sia presente la consapevolezza di come i cammini e le esperienze possano divergere, ma che si può mantenere salda la presa sulle radici che affondano nel cuore da cui è scaturito lo stesso rapporto e che sempre nella memoria dell’altro sia possibile recuperare quell’entusiasmo iniziale per l’obbiettivo condiviso.
Ma a questo punto la fiducia richiede verità; la si ripone in qualcuno che si considera vero, che ci dice sempre la verità, che non indossa mai delle maschere e con cui noi stessi possiamo sentirci liberi di essere come siamo. Viene da sé allora che quanto esposto in apertura non è solo una speranza, ma una certezza: il cuore dei ragazzi vuole essere condiviso da altri cuori. La necessità che risulta dal dialogo su cosa fosse la fiducia per loro ha portato alla luce un desiderio antico, ma sempre attuale, quello di non camminare da soli.
La consapevolezza atavica che, quando non siamo soli, “possiamo farcela” continua a guidare lo sguardo dei ragazzi verso un incontro con il proprio simile e quindi nel riconoscere, in chi gli sta di fronte, la risposta ad una speranza e ad un bisogno di venire accolti, che si fa strumento fondamentale per il cammino, sia questo in senso figurato, come fase della vita, oppure in senso proprio, come moto in direzione di un obbiettivo.
Insegnare la fiducia
La fiducia è per i ragazzi quell’aspetto insostituibile della relazionalità che porta all’accettazione del proprio ruolo in una dinamica di gruppo, sapendosi custoditi e riconosciuti. Quella pietra d’angolo che regge spesso la formazione della propria immagine, baluardo forse dalle sempre più frequenti distorsioni distopiche che la propaganda social propone. Penso che il persistere di questa ricerca istintiva di un luogo del cuore dove sentirsi sicuri, ma soprattutto liberi, sia il vero miracolo, inteso nel senso primo del termine “qualcosa di meraviglioso”.
Riuscire ad “insegnare” la fiducia, invece, credo sia uno dei compiti principali di ogni educatore e di ogni adulto, sia che si parli di fiducia in sé stessi che di fiducia nel prossimo. Far capire ad un ragazzo che gli porgiamo la mano perché vogliamo sollevarlo dopo una caduta e non per schiaffeggiarlo, oppure venire cercati perché dobbiamo ascoltare qualcosa, uno sfogo, un sogno… e farci trovare presenti, connessi, non giudicanti. Questo penso descriva in poche parole alcuni dei canali comunicativi attraverso i quali si alimenta quel senso di fiducia che poi verrà da loro gestito in mille altre situazioni.
La fiducia come l’amore sono voci costitutive del cuore di ogni uomo, ma vanno alimentate e sperimentate. Come insegnante la mia speranza è quella che i miei ragazzi mi seguano perché si fidano e non perché mi obbediscono. Perché seppure nell’istante possano ignorare il motivo di una richiesta, hanno la fiducia e la speranza che si tratti di qualcosa di buono per loro, per i loro sogni.
Ora, dunque, se la fiducia è avere fede in qualcuno e la fiducia ha in sé il concetto che quel qualcuno farà di tutto per il nostro bene, non possiamo nuovamente che collegarla ad un termine forse più alto che è Amore. Più correttamente dovremmo chiamarlo sommo bene o come detto in precedenza Agape, in quanto nel rapporto di fiducia è sotteso il sentimento di gioia che investe il successo e il benessere di coloro con i quali condividiamo questo prezioso legame. È inevitabile chiudere l’equazione abbracciando san Paolo in 1Cor 13,13: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità».