C’era due volte Francesco

Breve incursione in Paradiso per sentir chiacchierare san Francesco e papa Bergoglio 

di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC

 Giudicheranno i lettori se per allucinazione psichiatricamente rilevante o per mistica apparizione,

io abbia assistito al primo dialogo tra san Francesco e il pontefice appena defunto. Io, per conto mio, dico: “Vatileaks levati che noi qui, su Messaggero Cappuccino, abbiamo Paradiseleaks”.

F: introduce le parole di san Francesco,
B: quelle del fu papa Bergoglio.
F: Benvenuto fratello!
B: Finalmente ti vedo! Lascia che ti abbracci. Solo tu puoi essere il primo che abbraccio, qui in Paradiso.
F: Ma io, frate piccolino e disutile, e tu papa e “servo dei servi” fino a poco fa possiamo abbracciarci così, da fratelli?
B: Come no? Non ti ricordi? «Non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli».
F: Figli del Padre e fratelli di ognuno, questo eravamo, questo siamo. È la vocazione di tutti!
B: Per questo, credo, tu Francesco continui a suscitare attenzione e ammirazione in ogni tempo, in ogni luogo del mondo. Ma, scusami, vengo subito alla mia prima curiosità, ti è dispiaciuto che io da papa abbia scelto il tuo nome?
F: Anzi. È stato un onore per me vedere che la mia povera vita, ricca solo della misericordia che Dio dona gratuitamente, è stata di ispirazione per te e di conseguenza per la Chiesa in un momento storico così delicato.
B: Ho voluto il tuo nome come faro del mio annuncio evangelico e del mio servizio ed è stato un credito di fiducia estremamente utile per me e per tutti coloro che, con me e come me, volevano mettersi sinceramente in ricerca della volontà di Dio.

 Piccoli passi ecclesiali

F: Ma tu cosa dici di questi tuoi 12 anni da papa a servizio della Chiesa di tutto il mondo?
B: Non so che dirti. Ho provato ad aprire nella Chiesa processi di crescita spogliandomi della pretesa di ottenere risultati concreti. Ho provato a restare abbastanza leggero da fidarmi di ciò che lo Spirito mi suggeriva giorno dopo giorno. Mi sembrava che non fosse tanto il tempo delle programmazioni serrate, ma quello in cui si fa silenzio in attesa di un’intuizione, di un piccolo passo da fare, una strada da prendere senza sapere dove mi e ci avrebbe portato.
F: Come Abramo.
B: Ecco, sì, come Abramo. Ed è stata una sofferenza vedere tanti che avevano troppa paura delle sfide di questo tempo, delle sue incertezze e opportunità, e non stavano, con obbedienza, in ascolto della Parola, abbandonati allo Spirito, per discernere la volontà di Dio che non lascia nessuno tranquillo nella propria comfort zone. Loro preferivano affidarsi a chiunque vendesse facili certezze, vestite a volte di tradizionalismo esasperato e immobilizzante, a volte di progressismo elitario, indifferente alla religiosità popolare e alla sensibilità credente del popolo di Dio. Questi due atteggiamenti mi sono sembrati i pesi che hanno rallentato il cammino della Chiesa.
F: A volte la nostra libertà ci pesa così tanto che, per alleggerirci, cerchiamo qualcuno che se ne faccia carico e la porti via con sé. E dove trovavi consolazione?
B: La mia grande consolazione sono stati i poveri, la loro fede tenace, la speranza che permette loro di guardare avanti nonostante le tante difficoltà e preoccupazioni. Ti posso confidare una cosa che mi ha commosso? Mi dicono che nei quartieri poveri di Buenos Aires ci siano gruppi che si trovano per parlare e discutere delle encicliche che ho scritto. Alcuni sanno appena leggere e scrivere eppure imparano a memoria diversi brani di quei documenti. Non sarò ancora libero dalle trappole dell’orgoglio, ma non sembra anche a te una cosa commovente? Quelle lettere, comunque, sono un po’ anche tue. Infinite volte ti ho invocato e pregato mentre scrivevo.
F: Ed era una gioia per me dialogare con te, così sulle ali dello Spirito. Quando i poveri sperano e lottano per la loro dignità e la salvaguardia del creato, allora Dio fa capriole di gioia ed è beato quel servo che per questo gioisce e fa capriole con Lui.

 Scegliere la misericordia

B: E tu Francesco? Cosa ti ha fatto soffrire di più?
F: Oh, la croce che ho portato io non era la Chiesa di Roma, come qualcuno ancora scrive. E non erano neanche i miei fratelli. Il mio ego, quello era la zavorra che mi rallentava il passo, mi faceva soffrire mettendosi in mezzo tra me e l’amore, tra me e Dio.
B: Anche qualche tuo confratello ci ha messo del suo mi sembra…
F: …ma non tanto perché non mi obbedivano, ma perché mi obbedivano troppo, facendomi sentire come il loro capo. Io mi ero liberato di me stesso, lasciandomi condurre da Dio in mezzo ai lebbrosi, e imparando con loro la misericordia. Ma poi pian piano il dono che Dio mi aveva fatto, i fratelli, erano diventati il mio tesoro e io il loro padre/padrone. Andai in crisi quando gli ultimi arrivati mi dissero che volevano un’altra regola, di lasciar perdere quella che avevamo già scritto anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, e di prendere una delle antiche regole monastiche. Mi sentii inutile per loro. Avrei voluto andarmene solo con i primi compagni.
B: E perché non l’hai fatto?
F: Così sarei tornato al vomito della mia volontà. Sembrava santità ma era idolatria dell’ego. Per seguire Gesù povero dovevo scegliere di nuovo misericordia e gratuità. Consegnare ai fratelli la fraternità nata dalla mia conversione, che non era roba mia. Solo così sarei morto povero come un fratello piccolino, perciò fratello di tutti.
B: Sì, certo. Il nostro io, la nostra libertà che non si fida di Dio, e non vuole entrare nella logica del seme che muore perché la vita sia moltiplicata, ci allontana da Dio e dai fratelli, ci imprigiona in una vita che divora la fratellanza invece di prendersene cura, ci lascia nell’amarezza della morte. E tu, Francesco, dove hai trovato consolazione?
F: La mia consolazione era poter dire “Dio mi ha parlato”. E vedere che la Parola evangelica che era diventata vita in me diventava vita anche in altri. Che il dono ricevuto dava frutti moltiplicati nella Chiesa di Dio.

 Cantiamo la fratellanza

B: Le torri d’avorio: che tristezza mi fanno. Sai che io non ho mai voluto abitare in Vaticano, “per la mia salute mentale”, dicevo. E poi ho cercato di prendere decisioni in modo collegiale, ascoltando gli esperti di ogni disciplina, non solo quelle teologiche, ma ogni sapere che mi potesse aiutare a capire ciò che sta succedendo nel mondo. Non volevo che qualcuno pensasse che essere papa significhi avere il privilegio di una comunicazione diretta con Dio. Quanto male fanno i sacerdoti che pretendono di conoscere la volontà di Dio sulle persone come la tabellina del 3. Sono convinto che la sinodalità sia il futuro della Chiesa. Essa non deve essere la riserva di caccia privata di qualcuno che, per incarico istituzionale o per non si sa quale carisma, ne abbia l’esclusiva.
F: La fratellanza dunque è ciò che manca oggi al mondo?
B: Sì, sono davvero convinto che questo sia il cammino che aiuterà gli uomini ad avvicinarsi alla soluzione dei problemi che oggi sembrano soffocare il mondo. I conflitti internazionali tra religioni, stati e popoli diversi; la divisione ingiusta della ricchezza, la crisi ecologica e l’immigrazione. Ognuna di queste crisi sarebbe gestita in ben altro modo se, davanti ad ogni uomo o ad ogni creatura, pensassimo di essere di fronte a una sorella o un fratello e non ad un nemico o ad una materia morta che non aspetta altro che l’uomo la renda fonte di profitto. Allora sapremmo che dal male dell’altro non può venire un bene per me. Ecco, proprio per questo devo proprio ringraziarti.
F: Rivolgiamo piuttosto il ringraziamento a Colui che è tutto il bene, ogni bene e il sommo bene. Non c’è maggior gloria per noi che attribuire a Dio ogni lode, attenzione e fiducia.
B: Francesco vuoi che concludiamo la nostra chiacchierata cantando il tuo Cantico di frate sole? Sulla terra nessuno conosce la musica che hai composto, ma io ora sento di conoscere bene, non solo le parole, ma anche la musica e questo mi fa gioire, perché insieme possiamo dar voce al cantico dell’amore. Sì, ogni cosa “de Te Altissimo porta significatione”.
F: Soltanto se subito dopo cantiamo Los hermanos di Mercedes Sosa; e lascia che io dica subito il primo verso in spagnolo “Yo tengo tantos hermanos que no los puedo contar”. Ogni volta che dico queste parole mi sento pieno della vita di Dio e della sua fiducia nell’uomo. E allora sì, cantiamo!