Il tempo di guardarsi allo specchio
È bene verificare che i movimenti ecclesiali rispettino libertà e dignità delle persone
di Massimo Faggioli
Professor of Historical Theology
Villanova University - USA
La questione del rapporto tra istituzione e movimento riguarda tutte le organizzazioni, anche religiose, inclusa la Chiesa cattolica.
Una delle questioni che è emersa in modo unico, in anni recenti, è il problema del rapporto tra libertà, condizionamenti, e abusi all’interno delle comunità ecclesiali e dei movimenti cattolici alla luce delle recenti vicende legate ad alcuni fondatori di quelle stesse aggregazioni. Sono vicende importanti perché, per quanto non rappresentative dell’intero universo delle associazioni cattoliche, interferiscono o addirittura capovolgono l’idea comunemente accettata che i movimenti siano spazi di libertà rispetto a strutture ecclesiastiche percepite come oppressive.
Quello dei nuovi movimenti e comunità ecclesiali è un universo più ampio delle comunità neo-monastiche o di quelle più celebri grazie alla visibilità mediatica dei loro leader. Composti da monaci e monache, oppure solo da laici, oppure misti, spesso con una presenza minima di clero tra loro solo per la vita sacramentale dei membri, i movimenti sono un centro di primaria importanza per misurare la ricezione del concilio Vaticano II – teologica, biblica, liturgica, patristica, ecumenica. La loro riscoperta delle diverse tradizioni cristiane, anche nelle Chiese orientali, ha ampliato gli orizzonti di molti – clero e laici, esperti e non esperti. Sono a volte un centro anche per la riqualificazione del dialogo con la società. Queste comunità spesso hanno compreso le potenzialità del “post-secolare”, resistendo oppure al contrario cedendo alla tentazione di un neo-clericalismo laicale, dell’integralismo, dell’apologetica o, all’estremo opposto, di un vago spiritualismo, talvolta non solo post-ecclesiale ma anche post-cristiano.
Parte della Chiesa
Ma le nuove comunità e movimenti vivono ancora in una situazione istituzionale precaria, dove lo “stato di eccezione” (una crisi interna) consente ancora l’intervento papale. È un déjà vu negli ultimi dieci secoli di storia della Chiesa. Per questo motivo, nuove comunità e movimenti tendono a sottolineare la propria coesione interna (a scapito della trasparenza): sanno che ogni crepa interna potrebbe consentire un intervento dall’alto, privando la comunità della sua libertà. A questa situazione ha risposto il pontificato di papa Francesco, che ha sempre ricordato a tutti i movimenti e le comunità cattoliche che non devono considerarsi élite nella Chiesa, ma parte della Chiesa come popolo. Si è trattato di un cambiamento di prospettiva rispetto a quanto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano detto ai nuovi movimenti e comunità.
Il nesso tra movimenti nella Chiesa e libertà dei membri ha ricevuto nuova attenzione a partire dal 2017-2018 circa, con la terza fase nella storia globale degli abusi nella Chiesa, che ha visto emergere casi anche in alcuni di questi movimenti. Si è creato una sorta di movimento “MeToo” nella Chiesa cattolica. Sta avendo un impatto sulla Chiesa perché ha posto nuova attenzione su un’area dell’esperienza cattolica che finora era stata trascurata: i nuovi movimenti e comunità ecclesiali. Il movimento “MeToo” ha avuto un impatto su larga scala sulle relazioni tra uomini e donne nel mondo laico, dando voce alle vittime di molestie sessuali, aggressioni e condotte inappropriate. Ha dimostrato che tali abusi sono un problema sistemico. L’impatto più significativo di un “MeToo” sulla Chiesa cattolica potrebbe infatti verificarsi proprio all’interno dei nuovi movimenti e comunità ecclesiali, a causa delle dinamiche psicologiche e sociali tipiche di questo modo di essere membri della Chiesa. Papa Francesco aveva già iniziato a riesaminare il ruolo di questi movimenti prima che la Chiesa iniziasse una nuova fase nella storia della sua crisi degli abusi sessuali nel 2018, e proprio enfatizzando la necessità per i movimenti di rispettare la libertà di coscienza e spirituale dei loro membri.
Il ruolo del fondatore
Dal 2017-2018, l’attenzione al fenomeno degli abusi nella Chiesa si è ampliata e ha raggiunto il livello del governo centrale della Chiesa. Alla fine del 2019, ad esempio, il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita – l’ufficio vaticano che concede il riconoscimento ufficiale ai movimenti e alle organizzazioni laicali cattoliche internazionali – ha ordinato ai gruppi di elaborare linee guida e norme dettagliate per la protezione dei minori e per la gestione delle denunce di abusi su minori e adulti vulnerabili. Questa nuova fase della crisi degli abusi ha accelerato il momento di riflessione della Chiesa cattolica riguardo ai nuovi movimenti. Diversi di questi gruppi religiosi – alcuni dei quali hanno assunto posizioni ecclesiali fortemente conservatrici legate a forme tradizionali di liturgia e teologia – sono finiti per essere al centro di rivelazioni di varie forme di gravi abusi. Tra i casi più eclatanti ci sono i Legionari di Cristo e il Sodalitium Christianae Vitae (dissolto dalla Santa Sede a inizio 2025), ma anche le accuse contro fondatori e leader come, per esempio, l’Abbé Pierre e Jean Vanier.Questi nuovi movimenti presuppongono un impegno stabile e una regola da seguire per i membri, che può essere scritta o semplicemente parte del loro stile di vita; a volte assorbono l’intera vita dei membri e la loro rete sociale. Le tipologie di appartenenza (laica, clericale o mista) e lo stile di vita (celibe, familiare, comunitario, monastico o missionario) variano notevolmente da un movimento all’altro e possono cambiare all’interno dello stesso movimento in diverse parti del mondo. Ciò che è fondamentale comprendere riguardo a questi movimenti in relazione alla crisi degli abusi è il modo in cui sono governati: l’autorità e il carisma del fondatore e dei leader giocano un ruolo molto più importante rispetto alla media delle parrocchie cattoliche o degli ordini religiosi. I sistemi istituzionali per tenere sotto controllo il potere del fondatore o dei leader sono meno numerosi rispetto alla struttura parrocchiale o di un ordine religioso. E negli ultimi cinquant’anni sia il Vaticano sia molti vescovi avevano dato carta bianca a questi movimenti per operare con grande indipendenza, vedendoli come la risposta più creativa alla secolarizzazione. Francesco ha inaugurato un cambiamento di politica di governo di questi movimenti, con un maggiore controllo esercitato dal centro.
Un punto di svolta
Questo è un momento particolarmente delicato nella storia della Chiesa come storia di comunità, per diverse ragioni. Un nuovo capitolo di indagini sui movimenti metterebbe ulteriormente a repentaglio l’eredità di Giovanni Paolo II, che fu il più importante promotore di questo nuovo fenomeno durante il suo pontificato. Inoltre, questo periodo è delicato per la storia dei nuovi movimenti e delle nuove comunità nel loro complesso. Stiamo assistendo al passaggio di testimone tra la generazione dei fondatori e la prima generazione di leader eletti o consacrati dal fondatore. Infine, i membri e i sostenitori potrebbero considerare le accuse contro questi movimenti e nuove comunità come un’ulteriore prova in una storia di ostilità proveniente sia dalla Chiesa istituzionale che dal “mondo”. Soprattutto fino alla fine degli anni Settanta, la storia dei nuovi movimenti è anche, in parte, una storia di incomprensioni e lotte di potere con la Chiesa clericale e istituzionale.
I membri dei nuovi movimenti sono legati al fondatore e ai leader della comunità da vincoli di identificazione personale e di attaccamento emotivo molto più profondi di quelli che un cattolico medio ha con il proprio parroco o vescovo. Non si tratta certamente di mettere sul banco degli imputati tutti i nuovi movimenti e comunità cattoliche. Ma certamente è il momento per riesaminare, in uno spirito ecclesiale senza volontà di rivalsa, certe dinamiche di appartenenza alla Chiesa che non rispettano la dignità e libertà di coscienza e spirituale.
Dell’autore segnaliamo il
volume:
Da Dio a Trump
Massimo Faggioli,
Scholé, 2025, pp. 240