Bach, Franz e tutto il popolo di Dio

In una città realmente multireligiosa, si impara ad aprire e ad accogliere

 di Monica Catani
insegnante di Religione cattolica a Monaco di Baviera

 Parto con un aneddoto di tanto tempo fa, il cui ricordo lontano nel tempo oggi mi strappa un affettuoso sorriso.

La prima volta che sono andata in Germania, fine anni ottanta, ero una volonterosa studentessa e volevo perfezionare la lingua straniera con un corso di tedesco presso l’Università di Heidelberg. Il mio parroco di Faenza, padre Cristoforo, sempre premuroso e ricco di consigli per far sì che tutti i suoi ragazzi rimanessero sulla retta via, mi prese in disparte e con l’aria delle comunicazioni importanti iniziò un dialogo come un padre preoccupato davanti ad una figlia che, beata gioventù, ignara dei potenziali pericoli, si era messa in testa di fare cose strane. «Ma tu lo sai che in Germania ci sono i protestanti?». «Beh, sì, è la patria di Lutero». «E sai come distinguere una Chiesa protestante da una cattolica?». «Boh, no!». «Allora te lo dico io. Tu entri e guardi nelle navate: se ci sono le panche, va tutto bene, sei a casa tua, fra i cattolici. Se vedi le sedie invece no, sono i protestanti e allora è meglio che te ne vai che non te ne fai niente; la Comunione, sì, la fanno ma non è neanche valida». Ecco, mi era stato offerto un criterio semplice e pragmatico per distinguere il buono dal cattivo, il valido dal non valido e se proprio ci fosse stata una Chiesa protestante degna di una visita turistica avrei potuto darci un’occhiata per poi uscire e scuotere la polvere dai miei calzari. I protestanti, questi sconosciuti, non vogliamo chiamarli nemici ma insomma poveretti, hanno avuto la sfortuna di nascere sulla sponda sbagliata del cristianesimo.
Quando ho cominciato lo studio di Pedagogia della religione cattolica a Monaco, ho dovuto iniziare a confrontarmi con un tipo di dottrina e di fede cattolica sorprendentemente diverse dalle mie. I miei compagni di corso dicevano cose che io non mi azzardavo neanche a pensare, criticavano di tutto e di più e mi veniva da pensare: se questi erano i cattolici in Germania, che parevano eretici, allora chissà come erano i luterani. Ma intanto imparavo che potevo azzardarmi a pensare con grande libertà, cosa che mi piaceva molto.

 Gli evangelici

Subentrato poi il mondo del lavoro, è partita la mia scoperta della sponda evangelica. Per l’insegnamento della religione a scuola nella Baviera a prevalenza cattolica, la classe viene smembrata a seconda delle diverse appartenenze dei bambini: cristiani, cattolici ed evangelici, islam, etica (cosa dice il vangelo sulla venuta del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi: i giusti a destra e gli altri a sinistra...? cerchiamo di metterci dalla parte giusta!). La collaborazione e lo scambio coi colleghi per me è sempre stato molto importante. Le mie prime domande al collega evangelico di turno, in preparazione alla liturgia ecumenica scolastica, erano semplici: «Ma voi lo fate il segno della croce?» «No, da noi non si fa, però a me piace, è una preghiera fatta col corpo che esprime anche il nostro simbolo più importante e quindi facciamolo pure». E già eravamo diventati ecumenici.
All’inizio pensavo ingenuamente che per alcune cose gli evangelici erano più avanti di noi, con il sacerdozio femminile, i pastori che hanno una famiglia, la loro moltitudine di “Freikirchen” (tradotto alla lettera come le Chiese libere). Per poi scoprire con stupore che anche gli evangelici hannno la nostra stessa carenza di sacerdoti, che il fatto di avere famiglia non li rende purtroppo immuni dagli abusi sui minori, e che, proprio le Freikirchen, alla faccia della libertà insita nel loro nome, sono quasi sempre luoghi di tendenze integraliste. Nei miei lunghi anni di carriera scolastica ho conosciuto alcuni colleghi pastori un po’ bizzarri: il sessantenne con la band di rock pesante, tre matrimoni alle spalle, capelli lunghi e corvini e unghie smaltate di nero (anche se devo dire che ai bambini faceva meno impressione che a me), la pastora che era nata maschio, il pastore che aveva organizzato per carnevale una messa a tema bombastica, che stupiva con effetti speciali ma che nella lunga omelia dimenticava anche il minimo riferimento alle letture della Bibbia.
Al di là di queste peculiarità personali, la liturgia della parola e la cura della musica sono il punto di forza delle loro liturgie, mentre lo spezzare il pane è riservato alle grandi occasioni di festa. I gruppi giovanili si aggregano molto spesso attorno agli strumenti musicali e alla gioia di fare musica assieme. Per gli amanti del classico c’è poi sempre Johann Sebastian Bach, che con la sua produzione monumentale di musica sacra si riesce ad abbinare specificamente alla liturgia festiva di tutte le domeniche dell’anno. Se gli evangelici avessero i santi, Bach dopo Lutero sarebbe stato in prima fila. Dopo la liturgia c’è l’abitudine di rimanere un po’ assieme per le due chiacchiere di rito. O davanti ad una tazza di caffè lungo coi biscotti, per cui termos, tavoli e stoviglie sono parte fondamentale dell’arredamento della chiesa, spesso in fondo davanti al portone o in qualche angolo della chiesa appositamente adibito. Oppure nel negozietto equo solidale che viene aperto subito dopo la messa, anche luogo di scambio di esperienze e consigli per il risparmio energetico. Entrambe sono forme piacevoli ed informali di convivialità nordica.

 La mia casa cattolica

Il mio stare nella Chiesa oggi è decisamente diverso dalla mia esperienza giovanile italiana. L’impegno parrocchiale qui ha le maglie molto larghe e io non ho trovato nei dintorni una comunità in cui mettere le radici e sentirmi a casa. I tedeschi poi, si sa, non tendono ad aggregarsi come gli italiani. Non ci sono i gruppi giovanili che riempiono i circoli parrocchiali e le pizzerie; ci sono gruppetti che si ritrovano per alcune attività, i ministranti, il coro, i giovani che aiutano a preparare le feste. Ma non c’è il cortile della parrocchia come punto di ritrovo. La mia “casa” cattolica qua non è una parrocchia ma una persona, un sacerdote, il caro Franz, con cui ho collaborato per decenni nella preparazione della prima Comunione della scuola montessoriana. Franz era un sessantottino, figlio del Concilio, un grande cuore, una grandissima libertà interiore, i piedi ben piantati per terra, una solida e ampia cultura, uno spiccato senso critico e il coraggio di agire secondo coscienza nelle piccole o grandi scelte. Per le classiche situazioni dottrinali spinose cattoliche trovava sempre una soluzione che metteva al primo posto le persone che incontrava, rispettando le regole a modo suo, aprendo scappatoie, ma rimanendo fedele alla Chiesa che, nonostante tutto, amava profondamente. Purtroppo Franz è andato in cielo all’improvviso un anno fa e mi ha lasciato un po’ orfana in questa Chiesa della mia patria tedesca. Di fatto però ho interiorizzato il suo modo di essere e di fare a tal punto che, nel confronto con alcuni amici italiani di vecchia data, per quanto mi premuri di dare ragione delle mie convinzioni, risulto forse troppo poco ligia alle regole.

 Un matrimonio ecumenico

Un esempio concreto di come le due confessioni cristiane e i due paesi della mia vita siano riusciti a prendere forma in modo pacifico, adeguato e festoso è stato il mio/nostro matrimonio in chiesa un paio di anni fa. Io cattolica, mio marito evangelico, matrimonio (ecumenico) cattolico da diritto canonico in una chiesa evangelica dotata esclusivamente di panche. Sacerdote cattolico che ha fatto venire qualche palpitazione ad alcuni ospiti italiani quando ha invitato i presenti, di qualsiasi confessione fossero, a partecipare alla comunione. Pastore evangelico con un barbone da far invidia al collega frate cappuccino italiano, perché senza l’amico di gioventù cappuccinesca faentina non potevo sposarmi. Uno dei nostri ospiti tedeschi ha commentato così questo stupendo e vitale zibaldone: «È l’unico matrimonio a cui ho partecipato finora fra due persone con tre confessioni: cattolica, evangelica e italiana!».