Io ti regalo un sogno, tu dammi la realtà

Andrea e Vittorio: giovani e anziani sono fatti per aiutarsi a vicenda

 di Gilberto Borghi
della Redazione di MC

 Andrea ha ventuno anni. Da quando frequenta l’università è un po’ in rotta con la madre.

I suoi sono separati e lui, con la scusa di una pizza, una volta al mese spilla un po’ di soldi al padre, per il quale nutre una sincera disistima. Dietro casa, dove abitano lui e la madre, c’è l’officina meccanica di Vittorio, zio della madre. Ha ottantuno anni, e tutti i giorni continua a fare “e scazignì”, come si dice in Romagna, cioè il tutto fare. Vittorio ha le mani d’oro, nella sua vita ha fatto di tutto: il contadino, il ferroviere, il muratore, il saldatore, l’imbianchino, l’accomoda serrature, il sistema sifoni…
Nei momenti liberi, da quando è in rotta con la madre, Andrea ha preso a passare spesso dall’officina di Vittorio. L’altro giorno, mentre era lì da lui, il suo smartphone si è illuminato, ha vibrato e ha iniziato una musichetta dolce e romantica. Vittorio ha esclamato: «Mo chi è stavolta? Hai cambiato suoneria?». «No, no», ha risposto Andrea, «questa l’ho messa solo per Anna, mentre rispondeva con un cuore al whatsapp». «Ma chi è? Sempre quella bella della foto dell’altra volta», ha ripreso Vittorio, «che volevi conoscere e avevi paura di andarle a parlare?». «Si, proprio lei!». «Ah beh, quindi glielo hai detto che ti piace!». «Ma va là, ma non esiste! Ma poi mica mi ci voglio mettere insieme. Voglio uscirci, ma tranquilli, da amici». Vittorio si è fermato e con la pipetta del saldatore in mano ha fissato Andrea: «Te e i tuoi amici tutti uguali eh! Sembra che avete paura del futuro, che non siete nemmeno interessati a diventare grandi, che non avete sogni, che vi spaventano i sentimenti e tirate a campare… ma la vita non viene mica da sola, bisogna coltivarla, la vita, se vuoi che sia bella!».

 Qualcuno che capisce

Il silenzio è caduto sulla gabbia per gli uccelli che Vittorio stava sistemando per la sua vicina di casa. E dopo un colpo di saldatore, Vittorio ha ripreso: «Ma io lo so che tu ce la puoi fare! Non finirai a fare quel che capita per vivere. E sai perché te lo dico? Perché quando vieni qui parli, parli, ti sfoghi, ma poi guardi tutto quello che faccio; mi copi con gli occhi sorpresi, impari tutto e te lo metti da parte. Questo mi basta, perché so che prima o poi lo vorrai usare, quello che impari! E ti vedo che fra qualche anno qualcosa o qualcuna ti prenderà la testa e il cuore e tu, senza nemmeno averlo pensato del tutto, ti spenderai per questo e comincerai a coltivare la tua vita».
Andrea me lo ha raccontato con la voce spezzata ed emozionata, e ha aggiunto: «Ma i vecchi delle volte sono davvero svegli! Ha trent’anni più dei miei e mi capisce duemila volte di più dei miei! Mi ci sono ritrovato in quello che Vittorio mi ha detto, mi ha messo un po’ di energia». E io non ho potuto trattenere un sorriso e un abbraccio. E mi sono confermato quello che da un po’ di tempo penso.
In natura noi percepiamo il tempo che passa solo attraverso il movimento nello spazio: gli orologi, le clessidre, il sole che gira, sono tutti movimenti nello spazio. Non percepiamo il tempo in modo diretto, ma solo attraverso lo spazio. Mentre lo spazio lo percepiamo proprio direttamente: la distanza, la profondità, l’altezza sono tutte percezioni reali, immediate e dirette. Questo potremmo tradurlo dicendo che in natura noi percepiamo lo spazio come qualcosa di reale e il tempo come qualcosa di virtuale.

 Fra reale e virtuale

A me sembra che oggi, in questa post modernità che ancora non sappiamo bene cosa sia, venga avanti sempre più una percezione rovesciata dello spazio-tempo: il tempo è percepito come qualcosa di reale e lo spazio, al contrario, come qualcosa di virtuale. Dire che il tempo è reale significa dire che vale solo il presente, che passato e futuro sono realtà ininfluenti sull’oggi. Perciò vale la pena vivere il presente, tanto il futuro verrà da sé! Mentre dire che il tempo è virtuale significa dire che il tempo vale nel suo svolgersi totale e perciò il passato e il futuro sono la causa e il senso del presente. Perciò vale la pena “coltivare la vita”, cioè sognarla in anticipo e provare a realizzarla.
Forse questo è uno dei motivi che porta i giovani come Andrea a sembrare poco capaci di guardare il futuro, ad avere paura di sognare, di progettare; ad immaginare al massimo i prossimi sei mesi e non di più e a cercare di succhiare dal presente tutto il senso possibile di questa vita, “come se non ci fosse un domani”. Per loro la ricerca dell’eccesso e del rischio, anche pesante, dell’emozione intensa anche a costo di esagerare, non è indice di poca voglia di vivere, ma, al contrario, indica il desiderio di vita piena, che però può essere vissuto solo nel qui e ora, dentro all’angusto spazio del momento presente. Tutto nel subito.
Poi, però, li guardi meglio, da più vicino, ci lavori assieme, come mi è dato il privilegio di fare, e ti accorgi che sotto questa apparenza c’è altro. C’è lo sguardo curioso di Andrea che è riempito e stupito dall’abilità e dalla vitalità di Vittorio. C’è il sogno di diventare adulti che possano dare corpo ai loro desideri, pur se consapevoli dei vincoli e dei condizionamenti che la realtà sparge a piene mani. C’è il sogno di vivere relazioni intere che attraversano insieme testa, cuore e corpo, e che forse, proprio per questo, spaventano perché chiedono di mettere in gioco tutto sé stessi; c’è la potente attrazione di relazioni sociali e amicali gratuite, fatte di amore limpido, disinteressato, certo rare e casuali, ma che, se sperimentate anche poco, li accende come un falò di notte, sulla spiaggia d’estate.

 Restare vivi

Ma a me sembra di intravvedere anche un’altra tendenza, stavolta degli anziani, forse più sottile e nascosta, ma non per questo meno significativa. Anche loro in fondo sono colpiti, o almeno sfiorati, dal cambio di percezione dello spazio-tempo. Siamo abituati a pensare che loro vivano più nel passato, nei ricordi e molto meno nel presente. Ma da qualche tempo molti segnali fanno pensare che anche loro abbiano colto che il tempo può essere percepito anche come reale. Investono sempre di più in tutto ciò che può rendere il loro presente ancora carico di emozioni da vivere, pur con tutti i limiti che l’età porta con sé; curano ancora il loro aspetto (corpo, vestiti, stile…), alcuni certo scimmiottando troppo i giovani, ma in generale la maggioranza lo fa per restare vivi nel presente.
Non perdono occasioni per accedere a tutte quelle esperienze che hanno il sapore della vacanza e del piacere: viaggi, incontri, relazioni, amicizie, giochi. Non dimenticano nemmeno di ampliare la loro cultura, oggi che sono in grado di riconoscere il valore dell’altro, della letteratura, della musica, del cinema, ecc… perché carichi dell’esperienza umana di una vita (leggere Dante a settant’anni è tutt’altro che leggerlo a diciotto anni!). Tranne casi estremi, molti di loro sanno, ormai, cosa possono chiedere ad un amore e cosa no, mantenendo i piedi per terra, senza perdere la poesia e il senso del contatto profondo con l’altro.
Agli anziani perciò servono i giovani e ai giovani servono gli anziani, come Vittorio e Andrea ci mostrano bene. E perciò diventa molto vero quanto il Papa ha detto nell’udienza generale del 23 febbraio del 2022, partendo dal testo del profeta Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, I vostri giovani avranno visioni» (Gl 3,1). Per papa Francesco infatti «quando gli anziani resistono allo Spirito, seppellendo nel passato i loro sogni, i giovani non riescono più a vedere le cose che devono essere fatte per aprire il futuro. Quando invece gli anziani comunicano i loro sogni, i giovani vedono bene ciò che devono fare. Se i nonni si ripiegano sulle loro malinconie, i nipoti si curveranno ancora di più sul loro smartphone».