Parlami, fratello corpo

È possibile trovare una sintesi e un punto di incontro tra tutte le età della vita

 di Giovanni Salonia
psicologo e psicoterapeuta

 È bello essere giovani. È bello essere anziani. Ed è ‘molto’ bello quando questi due mondi si incontrano: il giovane diventa pienamente se stesso se ascolta l’anziano e l’anziano ritrova vitalità se guarda al giovane come a un dono.

L’incanto dell’alba ha il sapore ingenuo delle promesse. Il giovane vibra di tante energie ma deve prestare attenzione al bersaglio verso il quale dirigerle. L’anziano esperto nelle direzioni deve ridefinirle commisurandole alle energie che si riducono. Integrare energie e direzione è faticoso ma produce la pienezza vibrante della vita e dell’età che si vive. Ogni età ha, in effetti, una propria maturità che richiede e include l’integrarsi con le altre stagioni della vita.

 Ciò che c’è, ciò che manca

Si vive pienamente la propria età solo in connessione con le altre età del proprio corpo e dei corpi con cui si interagisce. Il giovane che sente l’entusiasmo dell’iniziare e si illude che, lui sì, riuscirà finalmente a creare un mondo migliore, se non incontrerà l’anziano davanti a lui (e cioè quello che diventerà), sperimenterà fallimento e delusione. L’anziano che, per superare la tristezza del finire e del sentirsi scartato, squalifica l’entusiasmo del giovane (“niente di nuovo sotto il sole”) o si ostina a negare il tempo (e il corpo) metterà a rischio anche ciò che ha realizzato. La storia – si sa (a livello teorico) – non inizia con il giovane né termina con l’anziano: precede il primo e continua dopo il secondo. L’antico detto “se il giovane sapesse e se l’anziano potesse” vuole proprio suggerire una strada di integrazione: il giovane deve coniugare la forza del potere con il ritmo del sapere e l’anziano deve dare al proprio sapere una forma nuova di potere.
Il giovane entra in un mondo che ha tante ricchezze, ma per la sua età – ed è giusto che sia così – sottolinea maggiormente ciò che manca o ciò è fatto male. Il suo rischio è non rendersi conto che gode di tante ricchezze realizzate dai suoi predecessori e non ringraziarli per le cose belle di cui gode. L’anziano guarda il mondo che si prepara a lasciare e il suo sguardo indugia con legittima soddisfazione su ciò che ha compiuto, e corre il rischio di dare meno peso a ciò che manca (e ancor meno a ciò che è stato fatto male). Solo così si realizza un patto generazionale che è una ricchezza per la comunità. E mentre il giovane onora l’anziano per quello che ha realizzato, l’anziano consegna al giovane con gratitudine e fiducia ciò che non è riuscito a realizzare e l’incompiuto di cui non è consapevole.
I giovani sono spinti a dare molto più peso alla libertà rispetto alla sicurezza, perché tocca loro rischiare per aprire strade nuove; gli anziani hanno spianato tante strade (adesso diventate scontate per i giovani) e vogliono gustare riconoscimenti e sicurezze, mentre tentano (invano e inutilmente!) di proteggere i giovani dalle ferite che hanno subito nell’aprire nuove strade.

 Genitori e figli

Nella storia giovani e anziani sono stati visti molto spesso come due età in conflitto. Un conflitto antico che ha preso differenti forme nei diversi periodi storici. Periodi in cui i padri uccidevano i figli per evitare di sentirsi addosso la loro bramosia di prendere il potere. Periodi in cui i figli, stanchi di attendere il loro turno (di potere), uccidevano i padri: «Anche tu, Bruto, figlio mio!». Periodi di crescente benessere in cui il conflitto generazionale veniva assorbito da un patto: il padre avrebbe fatto sacrifici per dare al figlio la possibilità di migliorare lo status sociale ed economico della famiglia (il figlio dottore, poi, avrebbe riscattato la povertà paterna). Il padre si sentiva fiero del figlio che lo aveva superato e nel mostrarlo al mondo veniva curata l’inevitabile invidia e la gelosia. Il figlio che raggiungeva un più alto livello sociale si sentiva legato dalla gratitudine e dal dovere di ricambiare quanto ricevuto.
Nel contesto odierno sono diventati genitori i figli che hanno riscattato la povertà della famiglia di origine. E la situazione si è capovolta; i genitori hanno raggiunto, infatti, un successo professionale, economico; adesso sono i figli che li sentono inarrivabili e sono quasi schiacciati dal successo dei genitori. La bellezza della figlia non può esprimersi totalmente perché sembra che la madre si sia appropriata di tutta la luce, così come la bravura del padre provoca insicurezza nel figlio che lo sente irraggiungibile. Emerge per i genitori il nuovo compito educativo di mettere in atto la pratica educativa che – secondo gli ebrei – opera Dio nei confronti dell’umanità: ridurre la propria luce per permettere agli umani di esprimere fino in fondo la loro (lo tzim-tzum). Da qualche anno si registra un cambiamento in positivo della situazione giovani/anziani, figli/genitori: i figli di genitori realizzati riescono sempre più a diventare in modo creativo “figli d’arte” o a inventarsi una loro strada. Genitori realizzati e figli realizzati. Genitori fieri dei figli non per riscattare la propria bassa autostima ma per condividere la capacità condivisa di autorealizzarsi. E figli “riusciti”, che non hanno bisogno del “cognome” di famiglia e godono del loro successo senza avvertire rabbia o paura nei confronti del successo dei genitori. Una realtà, questa, nuova e positiva anche se ancora in termine di trend che come dato scontato.

 Dentro di noi

Quando la relazione giovani e anziani trova una possibile armonia, ci si rende conto che il conflitto tra alba e tramonto, prima di essere fuori, è dentro ogni corpo, dentro la storia di ognuno di noi. In modo unico Freud per primo descrisse come è il corpo che crea in modo fluido, armonico, identità e relazione. La crescita è cambiamento del corpo che determina cambiamento di identità (cosa dico di me stesso) e di relazioni (come vedo gli altri e il mondo). Le neuroscienze hanno messo in luce come un bambino vede una scala in modo diverso di un adulto proprio perché non può “scalarla”, mentre l’adulto sì. La lezione è chiara: il modo migliore per accettare la propria età e viverla nel modo più pieno è lasciarsi guidare dal corpo. Come suggeriva il poeta Rilke, dopo la sua stagione francescana, bisogna acconsentire al corpo che è il fratello maggiore.
Il giovane impara ad ascoltare il proprio corpo e sente quella saggezza che – come insegna Nietzsche – si trova nel corpo più che nelle biblioteche. L’anziano, se ascolta il proprio corpo, si accorge che il ridursi delle energie rende più essenziali, più lucidi nell’individuare le strade da percorrere e – sapienza del corpo! – la vitalità produce godimento e pienezza anche quando le energie e il fare diminuiscono.
Tornare al corpo è la saggezza antica e sempre nuova. Perché nel corpo non c’è frattura tra giovinezza e anzianità ma trasformazione. Nel corpo non c’è rimpianto o rimorso per altre stagioni del corpo come non c’è invidia o paura nei confronti di altri corpi. È un cammino di crescita. Diceva Goethe, tutti vorremmo essere cresciuti ma non vogliamo crescere. Attraversare le fatiche della crescita è l’unica strada per sentirsi a proprio agio nell’età e nel corpo e per raggiungere la propria pienezza. Isadore From, un gestaltista illuminato, raccontava che finché era in lotta con il proprio corpo che diventa anziano sentiva insoddisfazione e disagio, ma quando riusciva ad accettare il cambiamento dell’età ne gustava la ricchezza e i pregi: non attaccarsi ad un’età ma lasciare scorrere il fiume. Non cercare di trattenerlo è saggezza personale e relazionale. Chi è in pace con l’essere giovane e il diventare anziani nel proprio corpo sarà in connessione con ogni corpo e gusterà la bellezza della traità che è dentro e al di là di ogni età.
Francesco d’Assisi ha vissuto la propria giovinezza da convertito lasciandosi guidare e condurre dal rapporto con il suo corpo, il corpo di Cristo e il corpo del lebbroso. Così, alla fine della vita, Francesco potrà lasciare questo mondo facendo da modello di ogni anziano: «Io ho fatta la mia parte, Cristo insegni a voi la vostra». Questa è perfetta letizia. Che unisce giovani e anziani.

 

 

 Dell’Autore segnaliamo:
Per edificare il corpo di Cristo. Omelie dalla sapienza della vita,
Àncora, Roma 2022