Ricordando padre Renato Nigi 

Riservato, timido e disponibile, mai toccato da protagonismi  

Bagno di Romagna (FC) 10 settembre 1937

† Reggio Emilia 21 luglio 2016

 Padre Renato, Domenico al battesimo, era nato il 10 settembre 1937 a San Piero in Bagno, un paese adagiato sul fondovalle lungo il fiume Savio, in un territorio che costituisce la «porta della Romagna» per chi viene dalla vicina Toscana o dall’Umbria o per chi lascia la pianura padana per entrare nella Valle del Tevere.

 

 Chiamato da san Francesco

Fu in questo paese dal fascino di una natura lussureggiante e incontaminata che Domenico sentì l’invito di San Francesco. Entrato nei seminari serafici dei frati cappuccini di Bologna, non tardò a sperimentare le difficoltà della vita in convento. Non erano tempi facili gli anni del primo dopoguerra, quando i frati ogni giorno dovevano inventarsi il cibo per il gruppo di ragazzi che avviavano alla vita religiosa e sacerdotale. Tutto ancora scarseggiava, ma la volontà in Domenico era più forte delle difficoltà e con il suo sorriso nascondeva sia la fame che il freddo. Nel 1955 fu ammesso al noviziato di Cesena, e vestendo l’abito cappuccino ebbe il nome di fra Renato da San Piero in Bagno. Fu un anno che mise a dura prova la sua vocazione per l’estrema povertà praticata in quell’ambiente: un pagliericcio consunto collocato su assi di legno appoggiate a due cavalletti come letto, un freddo crudo d’inverno, nessun riscaldamento, con le finestre che avevano della sottile tela al posto dei vetri, e con la neve che mulinava nei corridoi. Ma l’ideale francescano era più forte dello scoramento, e così fr. Renato il 2 agosto 1956 fece la professione temporanea nella regola di Francesco d’Assisi. Passato poi a Lugo di Romagna per gli sudi liceali-filosofici, tre anni dopo si consacrò definitivamente all’ideale francescano. Al termine del quadriennio previsto per completare lo studio della filosofia, fu ammesso nello studentato teologico di Bologna, dove rimase fino a quando le Province di Bologna e Parma unificarono gli studentati, per cui il quarto anno lo fece a Reggio Emilia. Infine il 14 marzo 1964, nella nostra chiesa di Bologna, fu ordinato sacerdote da mons. Luigi Bettazzi, vescovo ausiliare della diocesi.
Nell’agosto dello stesso anno fu destinato a Roma, nel nostro convento della Parrocchietta, per frequentare il corso di teologia pastorale presso la Pontificia Università Lateranense, al termine del quale venne destinato a Comacchio, dove si mise al servizio di quella nostra parrocchia come vicario parrocchiale. Il convento di Comacchio era considerato dai frati come un esilio punitivo, ma fra Renato, nonostante ogni contrarietà e ogni umiliazione, lo amò per la presenza di gente genuina e amica. Vi rimase fino al 1969, quando fu destinato a Roma cappellano della Parrocchietta e del Forte Portuense. Nel 1975, fece ritorno in Romagna, prima a Imola, come vicesegretario provinciale per le Vocazioni, e tre anni dopo a Cesena con lo stesso incarico, restandovi 18 anni e vivendo una vita povera e austera.

 “Parroco buono” a Faenza

Nel settembre 1993 fu destinato come parroco nella nostra parrocchia del Ss.mo Crocifisso di Faenza, dove si diede subito al restauro degli ambienti parrocchiali, in particolare del teatro, per offrire ai giovani un luogo di sana aggregazione. Fu un pastore premuroso e paterno, cordiale e affabile, tanto da essere chiamato «il parroco buono». Nel 2002, per gravi difficoltà alla vista, lasciò il ministero parrocchiale, ma non quel convento, prestandosi come illuminato confessore. Le difficoltà alla vista erano dovute a una malattia ereditaria, l’emeralopia, che non gli consentiva la visione negli ambienti scarsamente illuminati e nelle ore notturne. Con l’avanzare dell’età la situazione era andata peggiorando, tanto da richiedere una luce sempre più potente all’altare e una forte lente di ingrandimento per riuscire a leggere.
Così nel 2008 fu costretto da questa malattia invalidante e da una grave forma di Alzheimer a far parte della famiglia dell’infermeria provinciale di Bologna, e nel 2011 di quella di Reggio Emilia. Qui è vissuto nel silenzio e completamente cieco, curato e assistito, fino a quando il morbo di Parkinson, il 21 luglio, ne ha cancellato il silenzio e la cecità, per consentirgli di parlare con Dio e di vederne la luce.

 Una testimonianza

Durante la preghiera di saluto a padre Renato, un suo compagno di studi, padre Alberto Casalboni, ci ha consegnato questa testimonianza:

«Quanta esperienza, quanta memoria, se ne vanno con ognuno di noi! Sono le esperienze di una vita vissuta, magari sofferta, cose anche tristi, ma anche toccanti, belle, uniche, come unica e diversa è la vita di ciascuno di noi. Così, fra le tante, anche quelle di Renato Nigi.
Nigi, appunto: così noi lo abbiamo sempre chiamato, dal collegio allo studentato, fino all’anno della pastorale: dopo di che, per tutti, è stato ed è, padre Renato. Sempre riservato, timido e disponibile, mai toccato da protagonismi. Sembra impossibile, mai sorpreso in alterchi di parole, men che meno di fatti. Era l’anno Cinquanta, ed eravamo a Ravenna per la seconda Media, e lì, almeno in convento, persistevano i postumi della guerra, il cibo era razionato. Fame. Eppure il suo stomaco delicato non tollerava certi cibi. All’uscita dal refettorio lui rimaneva lì, solo, a terminare: le gote gonfie di un cibo che non scendeva, le lacrime, sì; ma obbediva.
Al liceo, a Lugo di Romagna, il professore di greco e di latino, il prof. Pelis, un mastino, ne aveva per tutti e per ciascuno: di fronte al mite Nigi, la sua furia si arrestava. Nigi non era fatto per il pallone, troppo violento per lui: in Teologia eravamo pochi, nessuno poteva mancare alla partita; eppure non si contano le sue partite del giovedì; dopo un timido diniego lo vedevi in campo, ovviamente in difesa! Di vicende ce ne sono tante a sigillo della sua indole. Non vorrei passare per chi, di fronte a chi ci ha lasciato, non risparmia parole: se solo aveste conosciuto la delicatezza d’animo di sua madre, vi spieghereste molte cose.
Dello stesso anno eravamo in tre, anche della stessa età, ma lui, di qualche mese più anziano ebbe l’onore di celebrare a Reggio Emilia la Prima Messa, accanto il diacono e il suddiacono – padre Piergiovanni Fabbri e io –, e a Reggio Emilia ha celebrato l’ultima, quella della sua vita».
La Messa funebre, presieduta dal Ministro provinciale e con la partecipazione di numerosi confratelli, è stata celebrata nella mattinata di lunedì 25 luglio a Faenza. Una seconda messa è stata celebrata nel pomeriggio a San Piero in Bagno, nella chiesa di San Francesco dei Frati Minori. La salma è stata poi sepolta nel locale cimitero, dove si trova anche la tomba dello zio cappuccino padre Casimiro Crociani ( 18.5.2007).