Trovare le parole giuste

 di Dino Dozzi
Direttore di MC

 Ci si sta lentamente rendendo conto dell’importanza del linguaggio nelle relazioni, in qualsiasi contesto: in famiglia, nella scuola, nella Chiesa. Nell’Esortazione apostolica postsinodale Amoris Letitia (AL) ciò che ha colpito maggiormente è la novità del linguaggio usato da papa Francesco. Una parola astratta che non si incarni, che non tocchi con rispetto e tenerezza la vita concreta delle persone, non è Parola di Dio. Quello che lui usa è un linguaggio materno che non rinuncia ad esprimere chiaramente il suo insegnamento, ma che sa correre il rischio di sporcarsi con il fango della strada, prendendo affettuosamente per mano chi è in difficoltà.
Questo atteggiamento si chiama “inculturazione”, la quale - ha spiegato il papa ai vescovi italiani - non indebolisce i valori veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, poiché essi si adattano senza mutarsi, anzi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture e le diverse persone. La AL è stata definita “un avvenimento linguistico” che sta cambiando il discorso ecclesiale. Questione di “tono”, prima di tutto: calmo, positivo, incoraggiante, colloquiale. Questione di avere “i piedi per terra”, senza idealizzare eccessivamente e astrattamente, ma considerando con realismo e misericordia le tante situazioni “difficili” prese in esame nel capitolo ottavo della AL.
Illuminante è il catalogo delle “trappole” del linguaggio da evitare: pretendere di aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e a tutti i dubbi; non ascoltare e non voler discutere apertamente e con franchezza; utilizzare la dottrina per scagliare pietre contro gli altri; usare un linguaggio arcaico e non più comprensibile; difendere la lettera e non lo spirito, le idee e non l’uomo, le formule e non la gratuità dell’amore di Dio; distribuire condanne anziché proclamare la misericordia del Signore.
Il linguaggio esige ampiezza di mente e grandezza di cuore (magnanimità) per non rinchiudersi con ossessione su poche idee ritenute assolute e non negoziabili, e flessibilità per poter modificare o completare le proprie opinioni, accogliendo con rispetto e fiducia anche quelle degli altri. Importante è saper pazientemente “sospendere” il momento delle definizioni formali, che poi sarà la persona stessa a riprendere. Come accadde a Zaccheo: nessuno gliel’aveva chiesto, e da sé stesso promulgò una legge che superava quella comune, decidendo di dare la metà dei suoi beni ai poveri (cfr. Lc 19,8).
La famiglia, ricorda il papa, è l’ambito della socializzazione primaria: lì si rompe il primo cerchio del mortale egoismo, per riconoscere che viviamo con altri, degni della nostra attenzione e del nostro affetto; è lì che sperimentiamo i due principi-base della civiltà umana, il principio di comunione e quello di fecondità; è lì che ciascuno di noi si risveglia all’autocoscienza e alla libertà; è lì che impariamo il linguaggio relazionale di base per parlare poi tutti gli altri linguaggi.
Il primo passo di un’inculturazione dei principi generali è rispettare le persone, per non imporre pesi non essenziali, andando invece al cuore del vangelo. Un secondo passo indietro consiste nell’affermare che ogni storia è una “storia di salvezza” e che la Chiesa è lì per sostenere, confortare, incoraggiare: è lì per formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle. Un altro passo collaterale è quello di andare a cercare e accompagnare le persone e le famiglie disorientate, come ha fatto il Signore con i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35): adeguando il passo al ritmo dell’altro, ascoltando, facendosi carico delle sue delusioni e difficoltà, per poi incoraggiare e spiegare le Scritture. Il passo avanti consiste poi nel ringraziamento per le tante persone e le tante famiglie che, pur non essendo perfette e vivendo tra tante difficoltà, vanno avanti con coraggio e pazienza: «Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà» (AL 305). Ad una morale fredda da scrivania è preferibile un discernimento pastorale carico di amore misericordioso.
Per annunciare il vangelo, oggi come sempre, occorre inculturarlo che significa avere un linguaggio attento agli interlocutori; discernere significa non dare per scontate una formulazione della verità e una scelta da compiere. Il linguaggio della misericordia incarna la verità nella vita di ogni persona. L’obiettività della verità non viene minacciata dal fatto che essa si incarni nella vita di ogni persona. Al contrario, lasciando il regno dell’astratto, solo così la verità si fa carne e cammina con noi. Ci prende maternamente per mano e ci parla la nostra “lingua materna”, la più cara e quella che ognuno comprende meglio.