“In missione” celebra, in questo numero, due anniversari “missionari” molto diversi tra loro, ma entrambi importanti: i cinquant’anni di servizio missionario in terra turca di padre Domenico Bertogli, parroco di Antiochia sull’Oronte, il luogo in cui fu usato per la prima volta il termine “cristiano” per i seguaci di Cristo e i novant’anni della Giornata Missionaria Mondiale, istituita nel 1926 dal papa Pio XI e proposta quest’anno da papa Francesco come invito a tutti i cristiani alla testimonianza della misericordia.

Saverio Orselli

  La missione, come l’intendeva Francesco

Il racconto di cinquant’anni in terra turca e di un percorso ecumenico in atto

 di Domenico Bertogli
missionario cappuccino ad Antiochia

 Una grazia del Signore

Quest’anno sono cinquant’anni che vivo in Turchia, al servizio di questa Chiesa come cappuccino dell’Emilia-Romagna. Nel mio progetto missionario iniziale c’era l’Australia, per andare in aiuto ai tanti immigrati italiani in quel nuovo continente con scarsità di sacerdoti.

Quando avevo già iniziato a studiare l’inglese con un cappuccino australiano, arrivò la proposta del Provinciale, che allora era padre Nazzareno, di inviarmi qui in Turchia ed io ne fui contento, perché mi sembrava di essere sulla linea di san Francesco per quelli che si sentivano chiamati a essere missionari tra i «saraceni e altri infedeli». Eccomi quindi a cinquant’anni da quell’invito, ventuno trascorsi a Smirne e poi ventinove ad Antiochia, sempre come parroco.
È stata praticamente una vita, che ora vedo come una grazia del Signore a cui va tutta la mia riconoscenza. Ricordo che, quando arrivai in Turchia, non sapevo esattamente che cosa avrei fatto e quale direzione avrei seguito. Tra l’altro la missione in questa terra era segnata da una nomea non troppo entusiasmante, visto che veniva presentata come una missione dove non c’era niente da fare.
All’inizio non è stato facile, perché mi sono trovato in un mondo molto differente da quello a cui ero abituato, con alle spalle nessuna esperienza se non quella appresa sui libri! In altre parole, mi sono visto come un bambino gettato in una vasca senza sapere nuotare. Eppure non mi sono mai perso d’animo, perché intravvedevo che si potevano fare cose interessanti con l’aiuto del Signore. È così che è iniziata la mia avventura sacerdotale-religiosa in questa terra che ho sempre amato e rispettato.
Quello che ho cercato di fare è sempre stato dettato dalle situazioni in cui mi sono trovato e a cui si doveva dare una risposta. Mi sembra di leggere i primi vent’anni come un lungo periodo di apprendistato, in una terra in grande evoluzione, così come continua ad essere anche oggi la Turchia, anche se ora con una certa inversione di marcia, benché il ritornare indietro sembri molto difficile per un popolo di 75 milioni!
Nella parrocchia di Sant’Elena a Karsiyaka, un sobborgo di Smirne, mi sono trovato molto bene nell’aiutare quei cristiani - quasi tutti di origine straniera - a conservare la fede e a guardare avanti fidandosi del Signore; però mi sembrava di essere ancora in Europa e non ancora completamente nel Medio Oriente!

 Qualcosa di cui ringraziare

La svolta per me è arrivata nel 1987 quando l’allora superiore, padre Maurizio Franceschini, mi destinò ad Antiochia con una profezia: «Un giorno mi ringrazierai per questa nuova avventura». Come puntualmente è avvenuto dopo una decina d’anni! Non subito, ma d’altra parte arrivavo da Smirne, dove avevo una bellissima chiesa e una abitazione più che dignitosa e mi sono trovato in una masera - nel mio dialetto modenese è il termine per indicare un mucchio di sassi in un campo! - con prospettive molto incerte di poterla cambiare. Eppure il Signore ha fatto miracoli. In una convivenza, Kiko Argüello, il fondatore del Cammino neocatecumenale, aveva detto che dove manda l’obbedienza, là il Signore è presente ed agisce. Per me è stato verissimo. In pochi anni si sono potute modernizzare le strutture, con tutti i permessi delle autorità civili e grazie al reperimento dei finanziamenti necessari! Al punto che nel 1992 l’allora arcivescovo di Smirne, mons. Bernardini, definì il nostro centro “Villa Agnelli”. Ed oggi è diventato un esempio per quanti restaurano gli edifici del vecchio quartiere della città.
C’è qualcosa di veramente incredibile nel come si sia potuto creare una struttura cristiana nel centro della vecchia Antiochia, dove il mio predecessore, padre Roberto Ferrari, aveva trovato rifugio con problemi di ogni genere, per finire addirittura espulso dal Paese. Lui, sempre caparbio, non si arrese, fino a salvare la presenza della Chiesa cattolica in questa città, dove siamo stati chiamati “cristiani” per la prima volta!
In quegli anni venne a farci visita nella nostra chiesa il priore di Bose, Enzo Bianchi, che entrandovi esclamò entusiasta: «Finalmente una chiesa latina che rispetta la tradizione locale», riferendosi alle icone che la decoravano. E poi aggiunse ancora una frase che è stata sempre la mia guida nell’agire: «Ricordati, Domenico, che l’ecumenismo è sempre gratuità»! Ricordo che gli avevo detto che avevo iniziato a celebrare la Pasqua nella stessa data degli ortodossi - loro erano un migliaio e noi una settantina - ma sempre con tante perplessità da parte dei miei confratelli perché si trattava di una iniziativa senza chiedere contropartite, semplicemente adeguando la nostra alla loro tradizione. Una scelta che ha lasciato il segno al punto che poi è arrivato il coinvolgimento della Chiesa ortodossa nella celebrazione della festa di San Pietro nella grotta a lui dedicata. Anche questo passo non è stato facile, ma i ricordi emozionanti sono tanti. Memorabile rimane la preghiera ecumenica celebrata nel 1992 con il patriarca ortodosso, Ignazio IV, il Nunzio Apostolico, mons. Sergio Sebastiani, e il nostro vescovo, mons. Giuseppe Bernardini.
Significativa è stata anche l’apertura di un ufficio della Caritas, con il coinvolgimento degli ortodossi nel sostegno ai cristiani e nella raccolta degli aiuti durante la quaresima di condivisione, proposta a tutta la comunità. Nella mentalità comune, la chiesa doveva aiutare senza essere coinvolta nella raccolta, essendo ricca di proprietà, e superare stereotipi di questo tipo non è stato facile.

 Un orizzonte allargato

Tra il 2003 e il 2005 la Caritas italiana ha finanziato con ben 400.000 euro un progetto sociale caritativo per la Chiesa ortodossa che possedeva un’area con case cadenti dove, grazie all’intervento, è sorto un complesso con diciassette appartamenti per i poveri, due saloni per opere sociali e ricreative e diversi magazzini per mantenere la struttura. Si è trattato di un esempio concreto di carità che ha avuto un’eco in tutte le Chiese ortodosse del Medio Oriente! Oltretutto senza condizioni per la gestione presente e futura: se questa non è gratuità…
Nel concludere, non posso dimenticare le iniziative pastorali con il cammino neocatecumenale che, nella pratica, aiuta tanti cristiani di Antiochia, in maggioranza ortodossi, a diventare consapevoli del dono del battesimo, che va vissuto come una esperienza con Gesù Cristo più che come un dato culturale, senza impatto sulla vita concreta.
Quello che noi qui viviamo da ventotto anni - la celebrazione della Pasqua alla stessa data degli ortodossi - oggi viene auspicato da tanti, perché i cristiani divisi sono sempre meno credibili, se non addirittura spesso ridicolizzati. Quella che inizialmente è stata un’iniziativa pratica, per ovviare ai problemi che la comunità doveva affrontare ad esempio nei tanti matrimoni misti, tra cattolici e ortodossi, oggi si recepisce come una necessità da affrontare senza paura e senza dilazioni. Nel sinodo delle chiese panortodosse, celebrato per un paio di settimane a Creta dal 19 giugno, la domenica di Pentecoste per il rito ortodosso, in un primo momento era stata inserita nella discussione anche la questione del calendario comune (cioè la soluzione della disparità tra uso del calendario giuliano e calendario gregoriano), anche se poi è stata esclusa, per non avere raccolto la convergenza di tutte le chiese. Malgrado ciò si tratta di una necessità impellente che richiede un confronto!
Ripensando a questi cinquant’anni, rivedo questo cammino, nato dalle situazioni concrete in cui mi sono trovato che chiedevano di agire di conseguenza, spesso senza sapere dove si sarebbe arrivati e quali impatti ne sarebbero derivati. Questa è la mia esperienza missionaria ed ecumenica in terra di Turchia. Tra i tanti ricordi ho preferito soffermarmi su quelli legati al luogo in cui vivo, Antiochia, perché qui ho davvero potuto vivere la missione come la sognavo, con cristiani locali che parlano il turco, sentono di appartenere a questa nazione e ne sono fieri.

La missione, per me, rimane sempre ascolto, dialogo, rispetto, azione e testimonianza. È la strada indicataci da san Francesco, di cui mi sento un indegno discepolo.