Il Pastore e le pecore

La forza dell’esempio nella condivisione presente in tutta la Bibbia

 di Giuseppe De Carlo
della Redazione di MC 

Tentennare humanum est

La Bibbia ebraico-cristiana non appare popolata da persone che palesano spavalderia o sicurezza nell’affrontare la loro vita. Più spesso appaiono timorose e insicure circa la direzione da imprimere alla loro esistenza perché essa sia orientata verso una meta piena di senso.


È così che Adamo ed Eva tentennano tra la voce di Dio e quella del serpente, finendo per fare la scelta più sciagurata che li rende ancor più incapaci di assumersi le proprie responsabilità. Abramo, seguendo suo padre, si avventura per un cammino che non prevede una meta, finché non è il Signore stesso a chiedergli di fidarsi di lui in modo che possa guidarlo verso orizzonti sconfinati. Pur avendo la guida di Mosè, il popolo uscito dalla schiavitù egiziana non sa sopportare il minimo abbandono: infatti, dal momento che Mosè si attarda in colloquio con il Signore sul monte, gli israeliti, sentendosi smarriti, non tardano a fabbricarsi un vitello d’oro che sia per loro guida tangibile, benché illusoria.
Bastino questi esempi per confermare una verità che attraversa tutto l’Antico Testamento e sfocia nel Nuovo Testamento, dove troviamo Gesù che si muove a compassione di fronte a questa umanità smarrita «come pecore senza pastore».
In altre parole, gli uomini e le donne della Bibbia si mostrano consapevoli di non essere in grado di farsi guida delle loro esistenze. Hanno bisogno di esempi, modelli, guide. Ad esempio, il libro dei Salmi è pieno di invocazioni: «Mostrami, o Dio, i tuoi sentieri»; «Qual è la mia via?»; «La tua parola sia lampada al mio cammino».
Questo desiderio dell’uomo si incrocia perfettamente con quella che da sempre è la volontà di Dio: rivelare se stesso all’uomo per farsi suo compagno di vita, perché l’uomo cammini con lui, e i suoi passi non siano sviati a destra o a sinistra. In molti modi Dio risponde alle attese dell’uomo di avere esempi e modelli da seguire. Lo fa tramite i suoi inviati: Abramo, Mosè, i re, i profeti, i sacerdoti, i sapienti, gli anziani.
Lo fa anche tramite la sua parola che viene codificata e scritta. Scritta da autori umani, nel pieno possesso delle proprie facoltà, la Bibbia tuttavia contiene la parola di Dio, perché gli autori umani l’hanno scritta su iniziativa di Dio e ispirati da lui. Perciò, è la Bibbia in se stessa ad assolvere il ruolo di esempio, di modello, di manifestazione della volontà di Dio circa l’agire umano. Infatti, l’intento degli scritti biblici non è informativo, ma formativo, nel senso che ciò che è scritto in essa non ha altro scopo che quello di porsi come riferimento per la vita di coloro che ad essa si accostano. 

Il punto focale della croce

Dio dice poi la parola ultima e definitiva nel suo figlio Gesù, e nella prima lettera di Pietro si va al cuore del messaggio biblico: i cristiani - ma in loro sono compresi gli uomini e le donne dell’intera umanità - sono invitati a seguire l’esempio di Cristo. L’invito non è generico, ma preciso. Occorre modellare la propria vita su quella di Cristo prendendo esempio da ciò che costituisce il momento culminante dell’intera vita di Cristo. La sofferenza di Cristo, la sua passione e morte in croce, non sono la sua sconfitta, non sono un incidente di percorso, ma il compimento del disegno di salvezza concepito dall’eternità dal Padre e realizzato nella pienezza del tempo dal Figlio. Non sono neanche un gesto eroico compiuto in un momento di particolare generosità del Cristo, ma la conseguenza necessaria di quanto era stato preparato da una vita vissuta all’insegna del servizio, del coinvolgimento e della condivisione della sofferenza, della fragilità e della povertà umana. In una parola, la necessaria conseguenza dell’amore che aveva caratterizzato ogni istante della vita di Gesù Cristo.
I cristiani sono invitati a imparare da Cristo a scegliere di vivere l’amore, il servizio e la condivisione con i propri simili. La sofferenza sarà anche per essi la necessaria conseguenza dell’amore. La plasticità dell’esempio da seguire da parte dei cristiani è data dall’immagine del «seguire le sue orme» (cfr. 1Pt 2,21), che suggerisce una molteplicità di atteggiamenti e comportamenti da assumere. Anzitutto, implica l’andare dietro a Cristo che cammina per le strade degli uomini, in una dinamicità che costringe ad uscire dalle proprie stantie e pacifiche comodità.
«Seguire le sue orme» indica poi una sequela coinvolgente che mette il discepolo in comunione di vita con il maestro. Si tratta, infatti, di mettere le proprie orme nelle stesse orme del maestro. Se Cristo ha scelto di camminare accanto agli ultimi, ai rifiutati, ai perseguitati, il cristiano è chiamato a fare lo stesso.
«Seguire le sue orme» vuol dire anche assumerne lo stile. Cristo ha sofferto da nonviolento: «Insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia» (1Pt 2,23). Anche i cristiani sono invitati ad essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1Pt 3,15-16).

 Come il buon Pastore

«Seguire le sue orme» comporta, infine, il trovare la strada per tornare a lui, pastore e custode delle nostre vite, per non essere più sbandati come pecore senza pastore o con pastori mercenari.
Proprio la menzione del pastore implica poi un aspetto ben presente sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento: coloro che Dio sceglie perché fungano da guida per il suo popolo devono imitarlo. Devono porsi quale esempio e modello. Anche in questo caso il modello esemplare è Cristo. L’autore della prima lettera di Pietro si esprime così: «Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,1-3). L’apostolo Paolo senza falsa modestia, ma conscio del radicale cambiamento operato dalla grazia di Dio nella sua vita, può dire: «Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1Cor 11,1).
La primitiva comunità cristiana ha trovato particolarmente efficace l’immagine del pastore per esprimere il duplice aspetto del riferimento all’esempio di Cristo: quello, cioè, di avere lui come guida da seguire fedelmente per non sbagliare strada e l’aspetto dell’imitazione, del vivere come lui è vissuto, imparando da lui la misericordia. È ciò che si trova tra le più antiche raffigurazioni presenti nelle catacombe, che fondono nella stessa immagine il brano di Gv 10 sul «buon pastore» con la parabola del pastore che va in cerca della pecorella smarrita di Lc 15.