Croce 

Diceva Nietzsche che l’esaltazione paolina della croce è l’inno dei perdenti. Eppure la croce resta il simbolo cristiano per eccellenza, e ha segnato anche la vita di san Francesco dall’inizio alla fine, dall’invito del Crocifisso di San Damiano a riparare la sua casa, fino all’impressione delle stimmate, ultimo sigillo della sua conformazione a Gesù Cristo.

Dino Dozzi

 Riconciliarsi con le proprie sconfitte

Il faticoso cammino di Francesco dall’idealità all’accettazione misericordiosa della realtà

 Il cavaliere malconcio

Nel bel prato verde che sta davanti all’entrata della basilica superiore di San Francesco ad Assisi con la scritta “Pax” c’è la statua di Francesco a cavallo, una delle pochissime statue del santo in tutta Assisi, molto raramente inquadrata nelle immagini.

Forse perché cavallo e cavaliere sono piuttosto malconci: sembrano entrambi feriti. Perché in quel posto di massima visibilità raffigurare un Francesco umiliato, sconfitto? Domanda da collegare alla precedente: perché il segno distintivo del cristianesimo è il crocifisso? La risposta alle due domande va cercata nella logica della croce, che solo apparentemente è quella della sconfitta e della sofferenza, ma che, in realtà, è quella dell’amore, del dono di sé, della vera letizia.
Detto con altre parole: il Francesco più grande non è quello che, pieno di sogni di gloria, orgogliosamente ritto sul suo cavallo scalpitante, parte alla guerra contro Perugia o per raggiungere nelle Puglie le truppe di Gualtiero di Brienne; il Francesco più autentico e più grande è questo, che ritorna umanamente sconfitto, disarcionato dai suoi idoli di gloria effimera, ma solo ora capace di guardare per terra, ai feriti, ai mendicanti, ai lebbrosi assiepati miseramente ai bordi della strada.
Sarà guardando da vicino il volto di questi reietti dalla società che Francesco riconoscerà il volto del reietto, del crocifisso, di Gesù.
Il Francesco di questa statua non guarda la magnificenza della basilica costruita in suo onore con la ricchezza straordinaria delle pitture dei grandi artisti del tempo. Sembra la prima parte del racconto della vera letizia: tutti i maestri di Parigi sono entrati nell’Ordine, tutti gli arcivescovi e perfino il re di Francia e d’Inghilterra sono entrati nell’Ordine, i figli di san Francesco hanno convertito tutti gli abitanti del mondo alla fede e san Francesco fa miracoli! E lui, col volto piegato verso terra, a ripetere: «Non è questa vera letizia»!

 Disillusioni e tentazioni

Lui resta fuori dalla grande basilica costruita in suo onore. Sembra la seconda parte del racconto della vera letizia, caratterizzata dai tre “vattene”: è troppo tardi, noi ora siamo tanti e tali che non abbiamo più bisogno di te, vai dai crociferi, dai tuoi amici lebbrosi e chiedi a loro se ti accolgono per una notte, qui per te non c’è più posto! Francesco non se ne va deluso e offeso: cavallo e cavaliere sono voltati verso la basilica, verso il convento, verso i suoi fratelli. La grande tentazione di cui parlano le Fonti e che caratterizzò la vita di Francesco per ben due anni fu quella di voltare il cavallo e di andarsene: sfuggiva i frati perché non riusciva più a mostrarsi sereno, fraterno e sorridente come di solito. Andò a La Verna e si pose davanti al Crocifisso per quaranta giorni. Fu qui che ricevette le stimmate, i segni della croce del suo Signore. Fu qui che ricevette la riconciliazione con la sua sconfitta. Fu qui che scoprì che bisogna amare i fratelli sempre, comunque, tutti, senza pretendere nulla, nemmeno «che siano migliori» di come sono (Lmin 5: FF 234).
All’inizio della sua vita, la delusione per la sconfitta dei suoi sogni di gloria umana lo portò tra i lebbrosi e qui scoprì la bellezza e la gioia della fraternità evangelica; alla fine della sua vita, la delusione per la sconfitta dei suoi sogni di gloria riposti in una famiglia di fratelli davvero minori lo portò davanti al Crocifisso e qui scoprì la vera letizia legata alla gloitiva fonte di vera gioia. I lebbrosi liberarono Francesco dall’idolatria del suo successo umano personale, regalandogli la fraternità; la croce di Cristo liberò Francesco dall’idolatria del successo evangelico di una fraternità minoritica perfetta, regalandogli la gioia di accettare come fratelli delle persone concrete con i loro limiti, le loro fatiche, le loro incoerenze.
Il cammino umano e spirituale di Francesco parte al galoppo su un destriero armato per la vittoria in guerra contro i nemici; termina su un cavallo ferito e disarmato ma vittorioso sul grande nemico dell’orgoglio. All’inizio, per andare verso i sogni di gloria, cavallo e cavaliere da Assisi andavano verso Perugia e poi verso le Puglie; a metà cammino, la grria della croce, quella del dare la propria vita per i fratelli, amandoli come sono, perdonandoli sinceramente, mai separandosi da loro. La croce, simbolo di sofferenza, ma ancor più simbolo di amore, di perdono, di riconciliazione, e quindi unica e definande tentazione era quella di abbandonare una fraternità incapace di seguire con perfetta coerenza l’ideale evangelico; alla fine, cavallo e cavaliere ritornano umilmente verso i fratelli, senza più la pretesa di cambiare il mondo, semplicemente con misericordia. Il primo è “Francesco di Bernardone”, il secondo è “san Francesco” delle biografie agiografiche, il terzo è “frate Francesco, piccolino”.

 La via della croce

Il cammino umano e spirituale di Francesco si conclude con la sua resa senza condizioni al Signore crocifisso e ai suoi fratelli. Quello che scende da La Verna è un uomo libero dalla schiavitù del successo e dei risultati; è un uomo leggero, davvero senza più nulla di proprio, neppure il suo Ordine e la sua visione delle cose. Come Gesù in croce, ha affidato la sua vita al Padre: è un “alter Christus”, segno e strumento di riconciliazione, di perdono e di pace. Ecco il senso della scritta “Pax” davanti a questo cavaliere che era partito cercando lontano vittorie in guerra e che ora ritorna a casa da fratello minore con una scoperta preziosa da offrire a tutti: l’amore incondizionato e la pace come frutto della croce portata dietro a Gesù.
Frate Francesco piccolo e povero sta di fronte alla sua basilica, una chiesa fra le più artisticamente ricche e preziose del mondo. Non se ne allontana, non giudica, non condanna; ma sta lì quasi come un testamento, come «ricordo, esortazione, ammonizione», per testimoniare che la vera ricchezza sta nella povertà, che la vera libertà sta nel liberarsi dagli idoli, che la vera obbedienza e la vera letizia stanno nel non separarsi mai dai fratelli.
Indubbiamente c’è un contrasto forte tra l’immagine di quel povero cavaliere e la magnificenza della basilica di san Francesco. Interessante è il fatto che i figli del santo di Assisi, custodi della basilica, non abbiano paura di conservare questa immagine scandalizzante, che costringe ad un perenne e salutare esame di coscienza, loro stessi e tutti i milioni di pellegrini che ogni anno vedono quel prato, quella statua, quella scritta e poi varcano quella soglia. Passando attraverso le meraviglie della basilica superiore e inferiore, arriveranno alla tomba povera e austera di san Francesco. E qui il cerchio si chiude: per arrivare a questa povertà e a questa pace, quel cavaliere ha dovuto fare un lungo e faticoso cammino. La via crucis, appunto.