Lo zoo in convento, così si potrebbe intitolare il primo pezzo, oppure frate Brenno da Bazzano, che era un pastore abruzzese-maremmano. Il fioretto cappuccino ci racconta di frate Felice che rischiò di passare da vagabondo imbroglione. Infine verrà presentato il programma di un convegno originale nel prossimo mese di settembre sulla “grazia delle riforme 1517-2017”, ovverossia sul “dis-ordine francescano”.

Nazzareno Zanni

 Frate Brenno da Bazzano

Bestiario fratesco ragionato con cane in primo piano

 Animali del tempo che fu

Nel tempo che fu, in convento non vivevano solo frati, ma anche animali di ogni genere.

In primo luogo gli animali da cortile: un gallo con al seguito numerose galline, che croccavano tutto il giorno come i cardini di una vecchia porta, un pavone orgoglioso della ruota della sua coda variopinta, qualche faraona dalla voce impertinente, e una o due oche che facevano le uova più grandi. Poi gli animali da stalla: maiale nel suo porcile in attesa della “broda”, una mucca per il latte fresco di ogni giorno, un mulo o un cavallo per il frate cercatore. Non mancavano neppure i piccioni, che dalla loro casetta appesa sotto lo spiovente del tetto si baciavano senza stancarsi, dopo che il maschio aveva fatto mille inchini alla femmina.
Da sempre in convento con i frati convivevano i gatti, felini che non chiedevano nulla da mangiare, animali poco impegnativi, gelosi della loro indipendenza, e capaci di arrangiarsi da soli catturando i topolini abbondanti in ogni dove, nell’orto e in convento. I cani fino a tempi relativamente recenti erano un lusso che i frati non potevano permettersi, perché un commensale in più era di aggravio alla magra economia fratesca, ma oggi le cose sono cambiate. L’estendersi del contesto urbano ha fatto scomparire dai conventi tutti gli animali da stalla e da cortile, ma ha favorito la comparsa del cane, come animale-amico dei frati, dai quali viene sfamato con i resti della loro tavola. I frati amano giocare con questo animale anche se richiede più cure di un gatto, divertendosi a interloquire con lui e gradendo il suo festoso scodinzolare ogni volta che rientrano in convento.

 Il cane guardiano

Anche nel convento di Bologna un giorno fece la comparsa un cane: un pastore abruzzese-maremmano, per sua natura custode di greggi, ma che in convento avrebbe dovuto solo fare la guardia per allontanare gli estranei. Per lui era stato approntato un ampio recinto, con la cuccia per la notte e per ripararlo dal freddo invernale. Il frate che lo aveva portato nello spazio sacro conventuale lo aveva chiamato con il nome glorioso di Brenno, come l’antico condottiero gallo che nel IV secolo a.C. aveva messo a sacco la città di Roma. Brenno, il cane, era stato educato così a dovere che, quando veniva liberato, non si avventurava nell’orto coltivato né fuori dal cancello e neppure entrava in convento, ma si accontentava della compagnia dei frati accucciandosi accanto a loro. È vissuto in convento più di dodici anni, accudito e rispettato. Anche lui però di giorno in giorno divenne vecchio e malandato, come i frati…
Povero vecchio Brenno, amato cane dei frati, che, in una fredda notte autunnale, ti sei perso per sempre chissà dove! Se esiste un paradiso per cani, tu sarai certamente sul gradino più alto. Sembrava che tu fossi tagliato apposta per vivere tra noi, ma noi sapevamo bene che la tua vocazione era di guidare un gregge di pecore, e che nel chiostro conventuale, da quel di Bazzano dove avevi visto la luce, eri capitato quasi per caso. Eppure ai frati hai dato tutto te stesso, rallegrando con la tua presenza burbera ma affettuosa i momenti di ricreazione sia dei giovani che degli anziani. Quante volte, stanco della solitudine, alzavi la voce, come per dire che c’eri anche tu in convento. Quante volte di notte i tuoi ululati hanno costretto gli amici frati ad affacciarsi alla finestra per tranquillizzarti perché tu avresti voluto dormire con loro e ne avevi il sacrosanto diritto! Nessun cane ha mai vissuto una esistenza di stretta clausura come la tua. Ti eri così immedesimato nella vita claustrale, che hai voluto competere con i confratelli in tonaca pure in una virtù assai poco popolare nel mondo di oggi, la castità. E in questa sei stato davvero un campione di razza: mai una cagnetta, anche solo da quattro soldi, mai un tentativo di varcare i confini dell’orto per avventure sentimentali, ancorché i cancelli della mura conventuale rimanessero sistematicamente aperti. E dire che qualcuno ci aveva fatto un pensierino, ma tu hai abbaiato risoluto, fermo nei tuoi propositi di fedeltà. Niente! Forse neppure un sogno…
Tuoi amici, oltre ai frati, sono stati i topolini che facevano scorrerie nella tua cuccia, aspettando il momento del pasto per recuperare in tutta fretta le briciole che cadevano dalla tua ciotola. Eri buono pure con i passerotti. Quanto erano birichini, quei piccoli batuffoli di penne! Quasi sembrava che fossero consapevoli che i tuoi appuntiti canini non avrebbero loro fatto del male: venivano a rubarti il boccone dalla bocca, interpretando i tuoi sbuffi come compiacimento, più che irritazione o minaccia.

Una vita ritirata

Un giorno, però, la tua corsa perse l’agilità solita: il tuo cuore aveva cominciato a denunciare segni di affaticamento, e il respiro era divenuto affannoso, tanto che parevi un mantice d’organo. Ma non te ne sei dato eccessivo pensiero. Hai continuato imperterrito la tua vita fratesca, difendendo a denti stretti il diritto di vivere nel chiostro, nel tuo recinto. Una vita di penitenza, come quella dei frati, sino in fondo e forse anche più. Poi in una buia notte autunnale hai levato le tende, e ora giaci sotto pochi palmi di terra in qualche angolo sperduto dell’orto. Un confratello pietoso, testimone della tua fedeltà, delle tue gioie e delle tue sofferenze, ha aggiunto a matita il tuo nome nel libro dei frati morti che si legge dopo cena: fra Brenno da Bazzano.
Quanto è assomigliata alla tua vita quella di tanti di noi! Si soffre, si vivono privazioni, volontarie e non, ci si adatta a uno stato di precarietà che ogni giorno ci consuma… Ma con quale prospettiva? Forse che Dio ci premierà per quello che non abbiamo gustato nella vita, o per quello di cui le circostanze ci hanno privato? Forse che Dio gode della sofferenza, e si compiace di un volto macilento? Se così fosse, Brenno ci precederebbe nel regno dei cieli, anche se non si era fatto mai simili domande e non poteva farsele.