Fioretto Cappuccino

Come fra Serafino Buratti distribuiva un giornale valido tutto l’anno

Frate Serafino era un uomo riservato ma dalle battute facili e di spirito, qualità che gli consentiva di avventurarsi nelle campagne, anche nelle zone meno accoglienti, per ogni tipo di questua: frutta profumata di sole in primavera avanzata, grano e cocomeri in estate, uva e legna in autunno.

Cavalcava un motocarro cabinato già passato per tante mani, malandato e sempre a corto di benzina, che scoppiettava sonoramente, facendo un baccano del diavolo per via della marmitta bucata. Quando il motore aveva sete, si arrestava al primo distributore in cui si imbatteva e, se proprio il benzinaio non ne voleva sapere di dargli due o tre litri di benzina gratis, allora cavava di tasca lo strettamente necessario per un litro, con la speranza di incontrare un benzinaio generoso più avanti. A queste inezie, tuttavia, frate Serafino non badava perché trovava sempre il modo di cavarsela, anche quando i vigili lo fermavano per disturbo della quiete pubblica. Lui rispondeva di non avere i soldi per riparare quell’aggeggio, aggiungendo che se gliene avessero dato, avrebbe aggiustato ogni cosa… Così i vigili si vedevano costretti a chiudere un occhio e lo lasciavano andare.
Verso la fine dell’autunno, quando ormai ogni questua era completata e sufficiente era la legna per l’inverno, approfittava del tempo morto per distribuire nelle case il calendario Frate Tempo, un calendario che riportava il santo di ogni giorno con tanto di massima quotidiana, proverbi popolari, suggerimenti utili per il giardino e l’orto, eventi politici futuri, le fasi lunari, indispensabili per la semina e l’imbottigliamento del vino, e infine le previsioni meteorologiche per ogni settimana dell’anno. Per questa attività il suo raggio di azione era molto più esteso che nelle questue di campagna, coinvolgendo anche le periferie delle città e dei paesi. Se incontrava una famiglia particolarmente devota, si fermava in casa per pregare insieme, recitando il rosario. Così se ne usciva con un calendario in meno e qualche spicciolo in più. Casa dopo casa, rosario dopo rosario, e calendario dopo calendario, giungeva la sera, e frate Serafino, prima che calassero le tenebre, aveva già fatto ritorno in convento, perché il fanale del suo motocarro fuoriserie era fulminato, e poteva unirsi ai confratelli per la cena. Al riguardo lui era di bocca buona, e vi infilava ogni cosa dopo aver mescolato tutto in un solo piatto: minestra, formaggio, fagioli, pane, e a volte anche un bicchiere di vino, come si usava una volta tra i contadini.
Ma la vita comune con gli altri frati non faceva parte dei suoi gusti. Frate Serafino amava sentirsi libero, come quando girava per le campagne in compagnia solo di se stesso, pernottando presso famiglie amiche, a cui chiedeva di essere alloggiato con il suo furgone nello spazio dove si custodivano al coperto gli attrezzi da lavoro, accontentandosi di addentare un pezzo di pane secco bagnato nell’acqua di una fontana.
Un giorno, verso la fine degli anni Sessanta, frate Serafino, dopo aver trascorso tutta l’estate e anche buona parte dell’autunno in campagna, quando ormai le giornate cominciavano a farsi corte, giudicò essere giunto il momento di distribuire i calendari nei dintorni di Cento, nel ferrarese. I calendari per il nuovo anno erano già arrivati in convento freschi di stampa, e frate Serafino, dalla scorta che ne aveva fatto, ogni giorno ne prelevava un buon numero, con la speranza di finirli in giornata. Così una mattina, con il solito pacco di calendari, si avviò con il suo motocarro inoltrandosi per le strade della campagna. A ogni casa si fermava e ne lasciava uno, mai dimenticando di farsi dare in cambio una piccola offerta. Se qualcuno gli chiedeva quanto il calendario costasse, rispondeva che lui non era un commerciante, ma solo un povero frate disposto ad accettare quello che gli veniva dato. Lui sapeva bene che il prezzo del calendario era di mille lire (oggi equivalente a cinquanta centesimi di euro), ma faceva affidamento sulla generosità della gente, e non si sbagliava quasi mai, perché riceveva sempre qualche moneta in più e lui ne era così soddisfatto da perdersi poi in chiacchiere con i benefattori più munifici.
Un giorno entrò in una casa e fu accolto da una donna più verso le settanta che le sessanta primavere, e alquanto cicciottella. Come suo solito frate Serafino la prese alla larga, parlando del tempo, della campagna e dell’inverno alle porte. «L’anno - così concludeva - ormai sta per terminare, e come sarà il nuovo anno? Chi lo sa?». Lui assicurava di conoscere già che cosa sarebbe accaduto, sia dal punto di vista degli avvenimenti politici, che del tempo meteorologico. Gettato l’amo e nell’attesa che il pesce abboccasse, lui cavava fuori dalla sua bisaccia con lentezza studiata la sua carta vincente: il calendario del nuovo anno. Sfogliandolo delicatamente, spiegava alla signora come tutto fosse già previsto e scritto: «Si ricorda, la mia donna, il danno arrecato alla campagna dal gelo nell’ultimo gennaio e come la neve abbia sfondato numerosi tetti e rovinato tante piante? Il prossimo anno la neve sarà meno abbondante del passato, la pioggia cadrà al tempo giusto e non farà un caldo insopportabile. Queste belle notizie sono tutte scritte qui su questo calendario, che non sbaglia mai». La signora lo ascoltava interessata, soprattutto per la sicurezza che manifestava quel frate nel descrivere il suo calendario miracoloso e infallibile, sicché alla fine si arrese convinta: «Me ne dia uno, anzi due, anche per mio figlio che abita da un’altra parte. Quanto costano?». Frate Serafino non ci pensò due volte a rispondere: «La mia Signora, il calendario non ha un prezzo. Viene donato a chi fa un’offerta, lasciata al buon cuore di chi lo richiede!». La signora insistette, perché da una parte voleva entrare in possesso di quel calendario straordinario e dall’altra non intendeva dare una lira in più di quanto valesse: «Quando la gente viene in chiesa per comprarlo, qual è il prezzo stabilito?». Frate Serafino era riluttante a rispondere, ma alla fine, vista l’aria che tirava nelle tasche di quella donna, malvolentieri anche lui capitolò: «Mille lire, Signora». Un’ombra scura passò sul viso della signora, che non fece mistero della sua meraviglia: «Così tanto? Troppo!». Frate Serafino, già abituato a risposte del genere, dopo aver dato un sguardo al giornale piegato e posato sulla credenza, rispose a tono: «Ma come, Signora! Lei compra il giornale ogni giorno, che le costa sì un po’ di meno, ma che dopo un giorno è buono solo ad accendere il fuoco. Il mio calendario invece dura un anno intero!».
Frate Serafino non rivelò mai come fosse andata a finire l’avventura con quella donna dal braccio così corto, giustificandosi di non ricordare. Commentava però l’episodio con il dire che la gente spenderà nel solo giorno della morte più di quanto ha speso in un anno intero della sua vita, e sentenziava che gli avari sono individui che, quando vedono un poveraccio morire di fame, gli suggeriscono di mangiare di meno, per non sciupare inutilmente il pane.