Ricordando padre Giancarlo Anceschi

Arceto di Scandiano (Re), 22 agosto 1938

† Reggio Emilia, 3 febbraio 2016 

Missionario e meccanico dalle mani e dal cuore d’oro

Dopo aver scacciato demoni, parlato lingue nuove, preso in mano serpenti, bevuto veleno, e imposto le mani ad ammalati (cfr. Mc 16,17-18), padre Giancarlo è giunto sul monte della sua esperienza umana e missionaria per spiccare il volo verso un cielo nuovo e una terra nuova, dove non vi sono più la morte, il lutto, l’affanno, perché le cose di prima sono ormai passate (cfr. Ap 21,1.4).

Ha bussato alla porta della nuova Gerusalemme con le mani ruvide, i piedi stanchi e il cuore affaticato, dopo aver lavorato e camminato per la sconfinata brousse della terra africana, dove ha vissuto e operato ben oltre la metà della sua vita.
Padre Giancarlo era nato il 22 agosto 1938 ad Arceto, grosso centro abitativo nella terra del Boiardo, a sud di Reggio Emilia, nel comune di Scandiano. A dodici anni entrò nel piccolo seminario di San Martino in Rio; passò poi a Scandiano per il ginnasio, a Fidenza per il Noviziato, a Piacenza per il liceo, a Reggio Emilia per la Teologia. Fu ordinato presbitero il 25 luglio 1965.

 Missionario in Centrafrica

L’anno successivo padre Giancarlo e altri quattro neo sacerdoti cappuccini partirono per la missione del Centrafrica, paese che necessitava ancora di tutto, dopo che la sua economia era stata messa in ginocchio dalla colonizzazione francese, ma soprattutto per l’ulteriore degrado di cui furono responsabili i primi presidenti che si erano succeduti durante il passaggio dal colonialismo francese alla dichiarazione di piena indipendenza (1960), e anche negli anni successivi. Occorreva organizzare quasi tutto da capo, di fronte a una popolazione decimata dalle malattie e dalla scarsità di cibo, in cui l’alfabetizzazione muoveva ancora i primi passi. La provincia parmense sostenne generosamente la crescita della missione, che in poco tempo conobbe un fiorente sviluppo sociale e religioso, in seguito a progetti ambiziosi di sostegno economico, di alfabetizzazione e di ulteriore evangelizzazione. Il clima della regione era tutt’altro che favorevole: tropicale al nord ed equatoriale al sud, con frequenti tempeste di sabbia portate dal vento di nord-est, l’harmattan, con una stagione di abbondanti piogge, tali da creare inondazioni, e una stagione secca, con temperature molto elevate di giorno e fresche di notte. I missionari non si preoccuparono di queste condizioni ambientali e, oltre alle fatiche dell’annuncio del vangelo, si prestarono per ogni lavoro utile alla popolazione locale, facendosi contadini, muratori, e anche costruttori di piste nella brousse, così chiamato quel territorio caratterizzato da una vegetazione tipo savana.
Padre Giancarlo, abile in ogni campo con le proprie mani magiche e con la sua energia straripante, impegnò tutte le sue risorse manuali e di ministero per elevare la situazione economica e sociale della popolazione residente nella sua stazione missionaria e in altri piccoli centri della brousse africana. A Batangafo rimase fino al gennaio 1977, quando si trasferì a Gofo, nel nuovo centro catechistico La Ghirlandina, con il compito di seguire nove comunità sparse nella foresta, che visitava puntualmente ogni mese, raggiungendo i villaggi più lontani per l’assistenza catechetica e l’amministrazione dei sacramenti del battesimo, della prima comunione e della cresima. Come sua base per questi spostamenti a così vasto raggio, scelse un villaggio, Ouogo, a cento chilometri da Batangafo.

 Mani d’oro

Oltre a tutto questo intenso lavoro apostolico, padre Giancarlo, con le sue “mani di fata e d’oro”, si occupava anche in maniera continuata degli autovehicules della missione, messi a dura prova dalle dissestate piste della brousse e dalla imperizia di alcuni missionari, sempre di fretta nel raggiungere i villaggi. In questo si dimostrava non solo un meccanico insuperabile, inventandosi pezzi di ricambio o costruendone dei nuovi con un tornio, ma provvidenziale per i confratelli missionari, che partivano per i villaggi più lontani con la sicurezza di fare ritorno a casa o di ricevere assistenza nelle più sperdute località con l’arrivo della jeep-officina di padre Giancarlo. Con le sue capacità innate in ogni campo, riuscì a installare pure un ricetrasmettitore-radio, che si rivelò quanto mai prezioso e necessario per un paese privo di corrente elettrica e di ogni altro mezzo di comunicazione. Naturalmente non si occupava solo di automobili o di strumenti tecnici, ma seguiva i cristiani di vari villaggi della savana, portando, assieme alla parola di Dio, medicine e materiale per la costruzione di scuole e cappelle. Durante la permanenza a Gofo, ha continuato la sua opera con lo stesso impegno al servizio del Centro agricolo ivi esistente, lavorando egli stesso come agricoltore. In questo periodo ha costruito un mini ospedale chiamato Le Samaritain nel villaggio di Ouogo, con infermieri locali appositamente istruiti, e dove il nostro missionario medico padre Antonio Triani si recava periodicamente.

 In mezzo alla guerra civile

A fine novembre 2001, il giorno stesso dell’arrivo a Gofo dei ribelli, riuscì con alcuni visitatori italiani ad attraversare il fiume Ouham e raggiungere la missione di Ngaoundaye nella parte nord-orientale del paese, alla frontiera con il Ciad e il Cameroun, da dove non si muoverà più per nove anni. Qui a Ngaoundaye si troverà nel mezzo della guerra civile, scatenata da gruppi armati in lotta tra di loro. Il governo centrale non aveva il controllo di quel territorio e sacche di illegalità si registravano nelle campagne e nelle città, dove a lungo continuarono gli scontri. La guerriglia divampò soprattutto quando giunsero nel paese i Seleka, musulmani provenienti dal Ciad, a cui si contrapposero gli anti-Balaka, gruppi formati da locali cristiani e non, inizialmente per autodifesa, ma che in seguito diventeranno milizie vere e proprie. Molte le case bruciate o saccheggiate e numerosi i morti gettati nei fiumi o abbandonati sulle strade, lasciati alla pietà dei missionari, che li dovevano raccogliere per poterli seppellire con dignità.
Neppure la missione fu risparmiata dai guerriglieri, da cui asportavano ogni mezzo meccanico che potesse servire nella loro lotta fratricida, i viveri destinati ai numerosi rifugiati, e distruggevano tutto. Durante la guerra, i cristiani del luogo hanno difeso i missionari dagli attacchi dei mercenari della Seleka, e dalla presenza di sbandati armati di bastoni e di machete, manifestando così l’apprezzamento della popolazione per i loro sacerdoti, e talora anche i guerriglieri locali, spesso ex alunni delle missioni, hanno avuto un occhio di riguardo nei loro confronti.

In questa nuova travagliata situazione padre Giancarlo comincerà ad avvertire il peso della fatica e certamente il clima tropicale, caldo umido e torrido della regione non era l’ideale per le sue condizioni di salute ormai precarie. Nel 2010 fu deciso di farlo rientrare definitivamente in Italia e fu destinato al Centro missionario di San Martino in Rio (Re). Qui è vissuto nella serenità del dolce clima di casa e nell’attenzione affettuosa dei confratelli, pur con il cuore ancora nella sua Africa.