Esortazione all’ospitalità

La Bibbia è un inno dell’accoglienza, con tanto di norme e indicazioni concrete 

di Giuseppina Bruscolotti
docente di Teologia biblica presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi

 Aperti all’altro

Praticare l’ospitalità è l’invito che leggiamo verso la conclusione della prima lettera di Pietro il quale (da Roma) scrive alle comunità dell’Asia minore, comunità per lo più costituite da fedeli provenienti dal paganesimo, ma anche dal giudaismo.

La presente lettera si prefigge lo scopo di fortificare la fede di coloro che, avendo scelto definitivamente di aderire all’annuncio evangelico (1,25), si trovano ‘necessariamente’ a subire ingiurie e persecuzioni. Infatti, alcuni passaggi della lettera fanno esplicita menzione del fatto che i destinatari sono invitati a rinunciare alla vita immorale (2,1.11) e questo cambiamento di vita che viene messo in atto attira su di loro provocazioni che si trasformano in vere e proprie prove (1,6).S

egue quindi l’accorato e paterno suggerimento dell’autore a rispondere ai persecutori operando il bene, a tenere una condotta esemplare perché, «mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre opere buone diano gloria a Dio» (2,12). E tra le opere buone indicate spiccano l’amore fervente tra i membri e la pratica dell’ospitalità (4,8-9). L’amore fervente è una sorta di “distintivo” di appartenenza («la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola», At 4,32), un’esigenza che nasce spontanea nel cuore di chi condivide lo stesso annuncio. Ma questa condivisione di sentimenti si apre conseguentemente all’altro. Ancor più! È inserita in un sistema che da diversi secoli caratterizza il giudaismo e che ora, con la novità di Cristo, si potenzia e si conferma: la pratica dell’ospitalità.
L’Antico Testamento, infatti, delinea una vera e propria “politica” dell’accoglienza nei riguardi di quelle che sono considerate le “categorie deboli”: orfani, vedove, stranieri e Leviti (Dt 16,14). In particolare verso gli stranieri viene proposta un’accurata ed efficiente ospitalità sintetizzabile nei passaggi che di seguito evidenziamo. Lo straniero fa parte del popolo e anche a lui dunque sono destinati i frutti che durante la mietitura, la bacchiatura e la vendemmia vengono lasciati cadere in terra (Dt 24,19-21), nonché parte delle decime che i pii israeliti versano nel tempio (Dt 26,12-13)). Lo straniero ha diritto a soddisfare i bisogni primari e ad esso si provvede pane e mantello, cioè le due priorità: cibo e abbigliamento (Dt 10,18).

 Uguale agli israeliti

Lo straniero è uguale agli israeliti di fronte alla legge (Dt 24,17). Lo straniero ha diritto di lavorare e se il lavoro è a giornata deve essere remunerato entro il giorno stesso (Dt 24,14). Lo straniero può diventare israelita previa circoncisione. Lo straniero è libero di seguire le proprie tradizioni culinarie (ad esempio non ha l’obbligo di osservare la macellazione rituale, Dt 14,21). Lo straniero deve ottenere giustizia. Si trova a vivere lontano dalla sua patria, non ha legami affettivi, non possiede la terra, tutto ciò potrebbe costituire motivo di svantaggio. Il giudice perciò è chiamato a non avere riguardi personali: deve imitare il Signore che non usa parzialità (Dt 1,16). Lo straniero partecipa ai momenti liturgici (Dt 16,11.14)) come la festa delle Capanne e la cerimonia della Rinnovazione dell’Alleanza, feste caratterizzate da gioia profonda e che rievocano tappe fondamentali della storia del popolo d’Israele.
Lo straniero si riposa in giorno di sabato (Dt 5,14). Se questo aspetto non stupisce nella mentalità odierna, è certamente una forma di indiscussa “progressione del pensiero” dell’Israele antico poiché le popolazioni coeve non consideravano il “riposo” per gli schiavi e gli stranieri. Per lo straniero che generalmente era incaricato di eseguire lavori manuali, si presentava come un’opportunità quella del sabato specie per il fatto di potersi sentire come gli ospitanti. Soprattutto, lo straniero è amato da Dio ed in virtù di questo il fedele israelita è invitato ad amare lo straniero e nella misura in cui lo accoglie, l’israelita è benedetto (Dt 10,18-19).

 Ospitali come priorità

Pur leggendo qua e là nell’AT frasi inneggianti all’esclusivismo del popolo d’Israele e che possono suscitare un facile condizionamento se lette in modo “isolato”, in realtà il messaggio d’insieme è indiscutibilmente orientato a trasmettere la logica dell’accoglienza. L’esempio lo troviamo già nelle prime pagine della Bibbia (Gen 18) con la ricca accoglienza che Abramo riserva ai tre misteriosi Personaggi. Il Libro del Deuteronomio ne traccia una sistematica ed accurata descrizione e in altri Libri (Storici, Profetici e Sapienziali) l’accoglienza dello straniero è raccomandata e praticata. Con la venuta di Cristo tutto ciò viene confermato e valorizzato. Gesù stesso fa l’esperienza dell’essere straniero in Egitto e, tra le persone che si rivolgono a lui per ottenere la guarigione, proprio degli stranieri sono elogiati ed additati come esempio di vera fede (la cananea, Mt 15,21-28 e il centurione, Mt 8,5-13). Non solo. Si intrattiene in una discussione ‘liturgica’ con una samaritana e si lascia ospitare per due giorni dai concittadini di lei senza temerne la contaminazione (Gv 4). Inoltre, nel suo insegnamento propone tra le priorità l’ospitalità degli stranieri dichiarando la certezza di incontrare lui nello straniero («ero straniero e mi avete accolto», Mt 25,43).
Per ritornare quindi al mònito di Pietro, praticate l’ospitalità, ora si apprezza ancor più la consapevolezza che il Cristianesimo nasce in una società che già dimostra apertura verso lo straniero. Anzi, è a conoscenza del fatto che lo straniero è stato motivo di ‘soccorso’ ad Israele. Si pensi a Ciro re dei Persiani che ha liberato gli israeliti dall’esilio babilonese oppure a Rut, la moabita, grazie alla generosità della quale la storia della salvezza è continuata. Infine, menzioniamo l’insegnamento che san Paolo propone nella Lettera ai Romani (c. 11) in cui la fede delle genti (olivastro) sostiene e alimenta quella del popolo “eletto” (olivo buono). Nella misura in cui si pratica l’accoglienza, si ottiene un beneficio che scaturisce dall’incontro con l’altro, con Colui che è “nascosto” nelle sembianze dello straniero. Questo è quanto il “Pietro” di ieri e di oggi con insistenza ci invita a fare con vero amore: praticate l’ospitalità.

Dell’Autrice segnaliamo:

Lo straniero ci soccorre
Cittadella Editrice, Assisi 2015, pp. 156