Con tutte le tue creature

 L’innamorato vede segni e riferimenti alla persona amata dappertutto: è la sua dolce malattia. San Francesco è innamorato di Dio e tutto - sole, terra, fuoco, acqua, vento - gli parla di lui. E quando parla con lui, per lodarlo e ringraziarlo, non riesce a farlo da solo, ma chiama a raccolta tutta la famiglia delle creature e si improvvisa direttore di un coro cosmico.

Dino Dozzi

 Maestro d’orchestra di Dio

Tutta la vita di Francesco fu una risonanza tra Dio e le sue creature 

Una visione antropologica

Il Cantico di frate sole o Cantico delle creature è forse lo scritto più conosciuto di san Francesco. Lo era già prima, ma lo è ancor più da quando papa Francesco ha preso il ritornello “Laudato si’” per incominciare la sua lettera enciclica sulla cura del creato e dunque per farne anche il titolo.

Parlano davvero lo stesso linguaggio il san Francesco del Medioevo e il papa Francesco di questo inizio del terzo millennio, un linguaggio semplice e quindi universale, fatto di gesti e di parole che si spiegano a vicenda e che arrivano subito sia alla mente che al cuore di tutti, pienamente e autenticamente umani e, proprio per questo, autenticamente rivelativi del divino.
È un cantico di lode quello di Francesco, scandito gioiosamente da quel ritornello che suona passivo, ma che raccoglie e indirizza attivamente la lode di tutti e di tutto all’Altissimo e Onnipotente che è anche e soprattutto buono e tanto vicino da poterlo chiamare familiarmente “mio Signore”. Una lode che coinvolge sia le creature sia l’uomo. Spiegava Massimo Cacciari al Festival Francescano di Bologna 2015 che le creature lodano il loro Creatore con il semplice fatto di esistere, mentre invece l’uomo deve farlo liberamente, e non sempre lo fa. Francesco integra e arricchisce la lettura del filosofo con uno sguardo di fede che sa vedere nelle creature lo strumento di cui Dio si serve per riscaldarci (con il sole), per nutrirci (con la terra), per dissetarci (con l’acqua). Come Dio si serve delle creature per prendersi cura di noi, così noi ci serviamo delle stesse creature per lodarlo e ringraziarlo. Particolare forza acquista poi la lode nella seconda parte del Cantico, quella antropologica, dove Dio viene lodato non per le persone sane, forti, vincenti, ma per quelle delle beatitudini: per quelli che perdonano, per quelli che sostengono infermità e tribolazione e per quelli che “sorella morte” troverà nelle santissime volontà del Signore. Lodare e ringraziare “per” e “con” queste persone in questi momenti significa avere una fede talmente limpida e forte, da ruscire a riconoscere sempre e ovunque i doni di Dio.

La lode del Cantico è frutto della rivelazione di un modo nuovo di vedere tutti e tutto: dalla paternità creatrice universale di Dio nasce la gioiosa scoperta che tutti e tutto sono nostri fratelli e nostre sorelle; tutti e tutto sono un regalo che Dio ci fa. La grande rivelazione è che siamo immersi nell’amore e nella gratuità. Da qui scaturisce la gioia della restituzione non attraverso i sacrifici e gli olocausti delle cose create, ma attraverso la riconoscenza, la lode e la cura per i doni ora affidati a noi ma destinati anche ai fratelli che verranno ad abitare questa casa dopo di noi. Questa straordinaria astronave che è la terra è affidata alla nostra manutenzione: è la casa comune, ricorda papa Francesco nella Laudato si’: sarebbe triste e drammatico se invece di un canto di lode e di riconoscenza salisse da questa casa un grido di sofferenza degli elementi che la costituiscono e delle persone che vi abitano. Solo una visione del mondo come quella dei due Francesco permette di ascoltare sia il grido della terra che quello dei poveri, e di costruire ovunque ponti di incontro fraterno.

 Cogliere il dono di ogni creatura

Il fioretto del lupo di Gubbio (FF 1852) è una parabola di pacificazione, frutto della capacità di Francesco di ascoltare le ragioni dell’altro, la fame del lupo e la paura degli abitanti di Gubbio, chiamando le cose col loro nome in un dialogo franco e benevolo, che permette di trovare una soluzione buona per tutti. Lo stesso stile pacifico troviamo in Francesco che alla crociata preferisce l’incontro personale e il dialogo rispettoso con il sultano (FF 422).
Una delle caratteristiche tipiche e più umane di san Francesco fu il rispetto per l’altro e per la sua personalità. Per esempio, non aveva uno schema prefabbricato di come dovesse essere il vero frate minore: osservava molto tutti quanti e ciascuno in particolare; e in tutti e in ciascuno vedeva una dimensione importante. Come frutto di questa osservazione attenta e amorosa seppe descrivere il vero frate minore come realtà “in fieri” e sintesi di molti modi di vivere: la fede di Bernardo, la semplicità di Leone, la cortesia di Angelo, il buon senso di Masseo, la contemplazione di Egidio, l’orazione di Rufino, la forza di Giovanni, la pazienza di Ginepro… (FF 1782). Verrebbe da dire che l’antropologia di Francesco non deriva e non si esprime nel singolo ma nella fraternità.
La perfezione - “un autentico frate minore” - per Francesco non è un ideale astratto, ma il come ogni persona incarna nel miglior modo possibile qualcuna delle molte virtù. Questa perfezione non è patrimonio di uno, ma armonia di un gruppo di fratelli.
Lo stesso vale per la sua religiosità particolarmente attenta all’incarnazione: Francesco sa armonizzare naturale e soprannaturale, rapporto con Dio e rapporto con la creazione tutta. Quello che conta è il reale. Le virtù dell’uomo concreto non esistono allo stato puro e possono essere accompagnate da controvalori: la forza fisica di Giovanni poteva essere accompagnata da una certa brutalità e la semplicità di Ginepro a volte cadeva nel ridicolo; ma questo non impedisce di apprezzare gli aspetti positivi di ognuno. Francesco sa leggere la presenza e l’azione provvidente di Dio nelle persone e nelle cose, nei suoi frati e nei lebbrosi, in frate Leone e in donna Jacopa, nell’Eucaristia e nella madre terra. Tutti e tutto gli parlano di Dio e ad ogni realtà egli parla come ad un fratello o ad una sorella. È stato detto che Francesco non fu un grande organizzatore; per alcuni aspetti è vero; ma come organizzatore dei rapporti interpersonali fu eccezionale.
Seppe fare sua l’unità tra teologia, antropologia e cosmologia che caratterizza la Bibbia. Non solo quella pagina straordinaria, ma tutta la vita di san Francesco fu un Cantico delle creature. Ci riuscì perché, come si diceva, era innamorato di Dio, e tutti e tutto gli parlavano di lui; sapeva riconoscere con riconoscente stupore le voci e i suoni di ognuna delle creature e aveva lo spirito del gioioso direttore d’orchestra.