Gli emoticon della paura negano i diritti universali

Breve analisi della questione migranti, libera dalle emozioni telecomandate 

di Stefano Folli
francescano secolare, giornalista

 Da sempre e per sempre

La crescente mobilità delle persone verso paesi diversi da quelli di origine sta determinando cambiamenti delle società di arrivo? Senza dubbio sì, come del resto avviene dall’inizio della storia dell’essere umano sulla Terra.

E non è certo la prima volta che i cambiamenti vengono visti alternativamente come grandi opportunità o come terribili pericoli.
Le società e le culture umane si sono costruite attraverso una lunga evoluzione ed è impossibile pensare che esista una società immutabile. La storia umana, di ogni parte del mondo, è fatta di intrecci, incontri, scontri, lotte terribili e grandi collaborazioni. Ciò che è diverso può spaventare o affascinare, attrarre come una calamita o farci costruire barriere (prima mentali che fisiche) che ci sembrano insormontabili.
L’identità sociale e culturale umana non è mai univoca, isolata dal resto e non è mai immobile nel tempo. Gli uomini e le donne si sono sempre spostati, andando a cercare pascoli migliori, mari abbondanti di vita, spazi fertili in cui sviluppare l’agricoltura, risorse preziose per migliorare la propria esistenza. È tuttavia vero che ogni cambiamento porta con sé paure e preoccupazioni in ampi strati di una società che si deve confrontare con qualcuno diverso da sé.
Come possiamo leggere l’evoluzione attuale della società europea e italiana di fronte all’arrivo di sempre più persone provenienti da altri paesi? Siamo di fronte a una “invasione”, come qualcuno strepita, che distruggerà il nostro comune sentire?
Ci sono alcuni aspetti che vanno tenuti in considerazione. Innanzitutto il fenomeno migratorio è sicuramente aumentato nel tempo, in corrispondenza di una crescente mobilità delle persone e delle merci, peraltro favorita e incoraggiata proprio dai paesi che oggi esprimono i maggiori timori.

 Diritto alla mobilità

Tuttavia, il diritto alla mobilità, sancito dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (“Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”) non trova un rispetto univoco.
I cittadini europei (e i loro governanti) sono sicuramente in gran parte convinti che, se applicato a loro, questo diritto sia imprescindibile: gli europei possono viaggiare dove vogliono e devono avere il diritto di visitare qualsiasi paese del mondo come turisti o di trasferirvisi per lavoro.
Che questo diritto si applichi a tutti i cittadini di tutti i paesi, però, non appare affatto altrettanto scontato e la recente crisi nella gestione dei migranti che cercano di entrare nello spazio europeo lo dimostra, nonostante si tratti in grande maggioranza di persone in fuga da conflitti, che rischiano la propria stessa sopravvivenza per avere una speranza.
«Ancora oggi - scrive la giurista e sociologa francese Catherine Withol de Wenden - il diritto di migrare è uno dei diritti meno equamente distribuiti tra le diverse zone del mondo. Una delle più grandi ineguaglianze dei nostri giorni consiste, in effetti, nel paese di nascita di ciascuno».

Se c’è una cosa che la cultura europea e quella cristiana dovrebbero testimoniare è proprio l’accoglienza e l’ospitalità, mentre oggi la dissuasione del diritto di migrare si sta sempre più accentuando e rafforzando. La paura di uno snaturamento, della perdita di tradizioni e valori viene propagandata senza accorgersi della contraddizione insita in questa rivendicazione: perché l’aspetto della nostra cultura che stiamo rischiando di perdere è proprio quello della difesa dei diritti, della protezione dei deboli, dell’uguaglianza e delle pari opportunità per tutti.

 Risorse umane

Le società, come detto, non sono mai state immutabili e i cambiamenti in corso a livello culturale, religioso e sociale che oggi vediamo in Europa sono solo in parte dovuti alla presenza di persone di altri paesi (probabilmente in minima parte, visto che un grande cambiamento sociale è in corso da ben prima dell’inizio delle migrazioni che oggi vediamo). Le valutazioni relative all’impatto dell’arrivo di migranti nelle nostre società sul piano dei valori e delle opportunità di crescita (economica, sociale, culturale, spirituale) sono molto contrastanti, ma per chi studia il fenomeno è innegabile, ad esempio, che il contributo in termini di ricchezza prodotta, forza lavoro, contributi previdenziali sia decisamente positivo per le società di accoglienza. Guardando anche solo la società italiana, che non è certo uno dei paesi europei con una maggiore presenza di popolazione di origine straniera, è indubbio quanto meno che oggi essa non sarebbe la stessa senza i suoi nuovi cittadini e che la loro assenza sarebbe pesantemente avvertita in molti settori, come ad esempio l’edilizia, l’industria, l’agricoltura e la cura delle persone anziane.
La questione identitaria e di difesa dell’esistente si è acuita negli ultimissimi anni di fronte all’emergenza dei profughi che cercano di entrare in Europa, fenomeno che ha assunto una visibilità conflittuale enorme e che ha registrato una tragica contabilità di morti in mare.
Eppure, per capire quanto questa emergenza possa rappresentare un reale potenziale di “rottura” per l’Europa, alcuni numeri possono mostrare come al timore sia stato dato troppo spazio.
I dati dell’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) parlano di 59,5 milioni di migranti forzati nel 2014 (numeri destinati sicuramente ad aumentare), di cui 38 milioni sfollati all’interno del proprio paese e 19,5 milioni di rifugiati, in grande aumento a causa delle numerose guerre in corso. Oltre la metà dei rifugiati provengono da soli tre paesi, Siria, Afghanistan e Somalia. La metà di essi hanno meno di diciotto anni. Cresce molto il numero e la proporzione delle donne. Il solo conflitto in Siria ha causato l’esodo di 11,5 milioni di persone.
A guardare le notizie dei nostri mezzi di comunicazione, sembrerebbe che l’Europa sia in prima linea nell’affrontare le emergenze dei rifugiati. Forse è vero che l’Europa è una delle mete più agognate. Eppure, se si guardano i dati, la realtà è ben diversa: la stragrande maggioranza dei rifugiati è ferma in paesi vicini a quelli da cui fuggono, soprattutto paesi asiatici e africani. Nessun paese europeo appare tra i primi dieci paesi per accoglienza di profughi: Turchia, Pakistan e il piccolo Libano da soli nel 2014 accoglievano il 30% di tutti i rifugiati del mondo, poi seguono Iran, Etiopia e Giordania.
In quasi nessun paese europeo il numero dei rifugiati arriva all’1%. Ci sarebbe quindi ampio spazio per la ricerca di soluzioni più umane rispetto ai respingimenti, agli accordi immorali con paesi terzi, al blocco delle frontiere e al contrasto degli arrivi tramite canali illegali e criminali. La creazione di corridoi umanitari, innanzitutto, potrebbe dare un volto nuovo alla ricerca di diritti di molte persone.
Eppure, man mano che la crisi va avanti, l’impressione è che gli europei (ma questo vale per tutti i paesi ricchi) non siano più in grado nemmeno di indignarsi e commuoversi di fronte a un dramma impressionante.

Guardiamo la nostra storia, ripensiamo ai nostri valori, rileggiamo i principi fondanti della nostra cultura e delle nostre religioni: vedremo che tutti questi aspetti sono il frutto di un ricco incontro di matrici diverse, di apporti provenienti dalla più svariate origini. E abbiamo quindi il coraggio di riscrivere il nostro futuro nel segno dell’accoglienza e della fraternità.