Sembra interrotto il dialogo intergenerazionale, sia di tipo educativo che di tipo religioso. Ma appare urgente riprenderlo. Brunetto Salvarani presenta interessanti spunti di riflessione per “il mondo degli adulti” (genitori, insegnanti, operatori religiosi) che faticano, in questo tempo, a trasmettere il patrimonio della tradizione e dei valori spirituali a giovani che pure sono alla ricerca di uno “specchio” in cui poter vedere e riconoscere la loro parte migliore.

Barbara Bonfiglioli

 

Ladri di futuro per indifferenza

Impegnarsi profondamente, educandoci al pluralismo, per governare i cambiamenti

di Brunetto Salvarani
teologo e scrittore

Pellegrini verso un luogo comune

«Non c’è mutazione che non sia governabile. Abbandonare il paradigma dello scontro di civiltà e accettare l’idea di una mutazione in atto non significa che si debba prendere quel che accade così com’è, senza lasciarci l’orma del nostro passo.Quel che diventeremo continua a esser figlio di ciò che vorremo diventare. […] Nella grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. È un gesto difficile perché non significa mai metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo»
(Alessandro Baricco, I barbari).
Non ci si può stancare di ripeterlo: le città in cui viviamo sono sempre più multiculturali e multireligiose, per cui la scuola italiana è chiamata a formare cittadini capaci di vivere con pienezza dentro i nuovi contesti caratterizzati dal pluralismo (culturale e religioso, appunto). Rispetto a tali città, che saranno altre dalle nostre attuali città, ognuno di noi (autoctoni e immigrati) è straniero, «straniero a noi stessi» (Julia Kristeva). Vale a dire, ciascuno di noi è chiamato a farsi pellegrino e a mettersi in viaggio verso un nuovo spazio comune dove ciascuno e tutti, a partire dalle proprie differenze, possano sentirsi a casa e nessuno sia ospite/straniero/estraneo. Solo così si potranno ricostruire i legami sociali e la solidarietà che tengono assieme la vita delle/nelle città. Per farlo, occorre attrezzarsi al dialogo, all’incontro, alla mediazione e alla continua ri-negoziazione di vissuti e significati. Credo che questo sguardo, che resta lo sfondo integratore di qualsiasi percorso educativo oggi, vada poi declinato su un tema pure decisivo e non più eludibile, quello di un auspicato nuovo patto generazionale, in un’Italia sempre meno paese per giovani.

Insicurezza senza sbocchi progettuali

Le inchieste ce lo ripetono, da tempo: la difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro è certo un problema comune a diverse nazioni su scala planetaria, ma da noi appare più acuto che altrove. Mentre stiamo rischiando di compromettere in permanenza il futuro di un’intera generazione, forse non è ancora troppo tardi per intervenire, ma non si può perdere altro tempo. È come se le generazioni più anziane, avendo scoperto per sé una sorta di presente perpetuo, avessero deciso di tradire il contratto delle generazioni. Un tradimento, però, che non possiede solo dimensioni economiche (ed ecologiche), ma va anche ben al di là!
Mi pare, tuttavia, che parecchi segnali ci stiano dicendo che i giovani non ci stanno a essere derubati del proprio futuro. È questa, infatti, la cifra che accomuna nel nostro tempo l’inquietudine e la rabbia di tanti ragazzi e ragazze che in diversi luoghi del mondo - dal Maghreb all’Europa - sono stati pronti a scendere in piazza e a ribellarsi sul WEB. Facendosi interprete della difficile condizione giovanile che sta esplodendo anche in un paese bloccato come il nostro, il presidente Napolitano, già nel suo discorso di fine anno 2010, aveva detto: «Se non apriamo a questi ragazzi nuove possibilità di occupazione e di vita dignitosa, la partita del futuro è persa non solo per loro, ma per tutta l’Italia. È in scacco la democrazia». Impossibile dargli torto!

La crisi del futuro è la cifra che riassume in sé tutte le altre crisi che attraversano il pianeta a livello economico, sociale, politico e religioso. È in questa assenza di veduta lunga (un’immagine cara a un italiano che oggi ci manca, Tommaso Padoa-Schioppa), in questa incapacità di andare oltre il calcolo di breve periodo e di guardare il domani, che sta la radice più profonda della crisi in atto, che sta producendo insicurezza, angoscia e moti di ribellione, ma non sbocchi progettuali. Quando si parla di educazione, il frequente ricorso a espressioni come crisi, sfida ed emergenza indica che siamo di fronte a un’interruzione della tradizione, nel senso che gli adulti (genitori, insegnanti, operatori religiosi) non riescono più a trasmettere alle generazioni successive il patrimonio della tradizione e dei valori spirituali, ma soltanto una quantità di informazioni, certamente interessanti, ma sempre meno coinvolgenti e comunque rapidamente deteriorabili. La proposta di un patto generazionale coinvolge necessariamente la scuola, le famiglie e le comunità religiose, ma anche la stessa polis e l’agorà mediatica e digitale, perché è proprio qui che si forma quell’impronta educativa che plasma la mentalità delle presenti e future generazioni. Si tratta di affrontare con lucidità sfide importanti che influiranno in modo decisivo sul nostro domani!

Generazione incredula

A partire da un dato di fatto: l’esistenza di uno scollamento della trasmissione della fede cristiana (ma anche ebraica, e potremmo allargarci alle altre religioni) tra le generazioni: ciò ha fatto scrivere che i nostri ventenni e trentenni sarebbero «la prima generazione incredula» dell’occidente (Armando Matteo, La prima generazione incredula, Rubbettino 2009): una generazione che non vive contro il Dio e la chiesa di Gesù, ma sperimenta la propria ricerca di spiritualità senza questo Dio e senza questa chiesa. Spesso, non perché non l’abbia conosciuta, la chiesa, ma perché a questa generazione non è stata trasmessa, da parte della famiglia d’origine, la testimonianza del legame tra vangelo e vita buona. Figli di genitori, dunque, che non hanno dato più spazio alla cura della loro fede: hanno continuato a chiedere i sacramenti della fede, ma senza fede nei sacramenti, hanno portato i figli in chiesa, ma non hanno portato la chiesa ai loro figli, hanno favorito - semmai - l’ora di religione ma hanno ridotto la religione alla semplice questione di un’ora. Hanno chiesto ai loro piccoli di pregare e di andare a messa, ma di loro neppure l’ombra, in chiesa. Difficile uscire, da questa crisi e dall’emergenza educativa di cui dicevamo, senza un impegno coraggioso quanto diretto, e una scelta di testimonianza personale.

Scritto dall’Autore con Aluisi Tosolini segnaliamo:

Bibbia, cultura, scuola

Claudiana, Torino 2011, pp. 141