Preghiera e contemplazione 

Cerca l’acqua chi ha sete, cerca l’amato chi è innamorato. Pregare è parlare con l’Amato, contemplare è bearsi della sua visione. Ma ognuno lo fa a modo suo. Chiara e Francesco pregavano davanti allo specchio: lo specchio di Cristo la prima, lo specchio dei fratelli il secondo.

Dino Dozzi

 Pregare è come un gioco di specchi

Nella preghiera Francesco e Chiara coglievano il riflesso di Dio nell’uomo 

Chiara e lo specchio di Cristo
 

A Chiara piace lo specchio; la terminologia dello specchio, intendo. Se ne serve molto frequentemente negli scritti più suoi, cioè nelle quattro Lettere che scrive ad Agnese di Praga e nel Testamento. L’immagine dello specchio le serve per esprimere l’immagine che ha di sé, del suo rapporto con l’amico Francesco, con le sorelle presenti e future, e soprattutto con Gesù Cristo, la persona di cui Chiara è follemente innamorata.


Nella III Lettera ad Agnese Chiara le dice di collocarsi totalmente di fronte a Cristo, specchio di Dio e di trasformarsi interamente nell’immagine di lui, gustando così la segreta dolcezza del Signore; e nella IV di scrutare continuamente il suo volto nello specchio di Cristo, di adornarsi dei fiori e delle vesti delle sue virtù, facendosi bella soprattutto della povertà, dell’umiltà e della carità che rifulgono nel Figlio di Dio. Nel Testamento (19-22) Chiara dice che il Signore ha scelto lei e le sue sorelle come specchio femminile di Cristo in parallelo con Francesco, specchio maschile di Cristo: questa catena di specchi permette la continuazione dell’incarnazione di Cristo.
La bolla papale di canonizzazione dice di lei: «Chiara si nascondeva, ma la sua vita era nota a tutti. Chiara taceva, ma la sua fama gridava. Si teneva nascosta nella sua cella, eppure nelle città si predicava di lei. Nulla di strano in questo: perché non poteva avvenire che una lampada tanto vivida, tanto splendente, rimanesse occulta senza diffondere luce ed emanare chiaro lume nella casa del Signore; né poteva rimanere nascosto un vaso di tanti aromi, senza emanare fragranza e cospargere di soave profumo la casa del Signore» (FF 3285).
La luce di Chiara non poteva restare nascosta perché nella sua vita e sul suo volto si rifletteva chiaramente, come in uno specchio, la luce di Cristo. E questo era reso possibile dalla sua contemplazione appassionata e trasformante. Alla luce dello specchio di Cristo Chiara riconosceva poi le sorelle e con amore lavava loro i piedi.

 Francesco e lo specchio dei fratelli

Francesco pregava e contemplava in modo un po’ diverso rispetto a Chiara e rispetto alla monastica “lectio divina”. In lui trovo più creatività (penso al Saluto alle virtù: FF 256-258), più fantasia (penso al Saluto alla Vergine: FF 259-260), più universalità (penso al capitolo XXIII della Regola non bollata: FF 63-71), più cuore (penso al Cantico di frate sole: FF 263). E trovo strumenti poveri che accompagnano la preghiera cantata (anche se poco corale) e danzata (alla meglio), trovo più ascolto che “lectio”, e più … come dire? più “lectio humana” che “lectio divina”. Ma cerco di spiegarmi.
Nella sacrestia del Protomonastero di Santa Chiara in Assisi è gelosamente conservata una preziosa reliquia: si tratta del breviario e dell’“evangelistare” di san Francesco rilegati insieme formando un piccolo libro. Frate Leone ha scritto di suo pugno di che cosa si tratta: «Il beato Francesco acquistò questo breviario… Fece anche scrivere questo evangelistare, e nei giorni in cui non poteva ascoltare la messa per malattia o per qualche altro evidente impedimento, si faceva leggere il vangelo che in quel giorno si leggeva in chiesa nella messa. E continuò così fino alla sua morte».
Quello che mi colpisce in questa preziosa nota di prima mano dell’amico e confidente Leone è l’iniziativa di Francesco di farsi copiare i testi evangelici delle messe di tutto l’anno, per poterli ascoltare quando non poteva andare in chiesa. È dalla liturgia che Francesco ha imparato il vangelo e, anche se impedito, vuole continuare a imparare dal vangelo che “la santa madre Chiesa” quel giorno offre ai suoi figli; e ascoltare quello stesso brano è il suo modo di sentirsi nell’assemblea liturgica “come gli altri poveri”, che non tutti i giorni possono partecipare alla messa.
Certo lui per malattia dovrà ascoltare quel brano; ma è importante anche la mediazione del fratello che legge, perché Francesco ha imparato che è solo ascoltando il fratello che può ascoltare il Signore: non riesce a dimenticare che l’inizio della sua conversione è legato all’ascolto del grido silenzioso dei lebbrosi. Trovo in questo stile di Francesco più “ascolto” che “lectio”, più attenzione alla mediazione umana che rapporto diretto con il divino, più “studio” dei fratelli che del testo biblico, più rispetto per la quotidianità liturgica che per la “lectio continua”, più adattamento familiare che programma strutturato.

Lectio fraterna

C’è un’altra pagina che trovo illuminante: si tratta della descrizione che egli fa del “buon frate minore”, riportata dallo Specchio di perfezione (FF 1782): «Diceva che sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati: la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l’amore della povertà; la semplicità e la purità di Leone, che rifulse veramente di santissima purità; la cortesia di Angelo, che fu il primo cavaliere entrato nell’Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà; l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto; la mente elevata nella contemplazione che ebbe Egidio fino alla più alta perfezione; la virtuosa incessante orazione di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessantemente lo spirito unito al Signore; la pazienza di Ginepro…».
In questo brano Francesco dice chi è per lui il vero frate minore, e ci rivela anche, di riflesso, il suo modo di pregare, che non potrà essere individuale ma necessariamente collettivo, fraterno. Come il vero frate minore è l’armonizzazione delle qualità di questi fratelli, così la vera preghiera di questo frate minore sarà l’armonizzazione del modo di pregare di tutti questi fratelli, i quali hanno un nome e un volto precisi: la preghiera del vero frate minore dovrà avere le caratteristiche e il volto di ognuno di loro. La preghiera francescana non può far a meno dei fratelli: sarebbe incompleta, non sarebbe la vera preghiera del vero frate minore.
In tutta la vita cristiana, e dunque anche nella preghiera, rapporto filiale con Dio e rapporto fraterno con gli altri debbono sempre coesistere, e per tutti è fondamentale e indispensabile la Parola di Dio. Ma ecco la diversità. La “lectio divina” è fatta da singoli che, attraverso la Parola, si mettono in contatto con Dio: il rapporto tra le persone oranti viene dopo, al momento della condivisione e come frutto dell’incontro personale con il Padre. La “lectio franciscana” è fatta da una fraternità che, servendosi della Parola mediata da ognuno dei fratelli, si mette in contatto con Dio: il rapporto tra le persone oranti viene prima, come modalità e quasi come condizione dell’ascolto della Parola. La preghiera di san Francesco, più che “lectio divina”, potrebbe venire chiamata “lectio fraterna”.