Porte che devono aprirsi
di Dino Dozzi
Direttore di MC
All’inizio di questo nuovo anno, di che cosa parliamo: di Parigi o di Bangui, di attentati dell’ISIS, della Conferenza internazionale sul clima, della guerra in Siria? Parliamo del Giubileo della misericordia, che è iniziato con il coraggio che ha portato papa Francesco in Africa, pochi giorni dopo gli attentati di Parigi, su una macchina scoperta, senza giubbotti antiproiettile, con battute sdrammatizzanti: «Ho più paura delle zanzare che delle bombe!», «se non mi fate andare in Centrafrica mi butto con il paracadute!». Ha aperto la prima porta santa a Bangui, capitale del Centrafrica, che ha chiamato “la capitale spirituale del mondo”. Ha aperto l’Anno santo andando nel continente dimenticato e nel Paese oggi più torturato dalla violenza.
Durante il viaggio di ritorno, in aereo, papa Francesco ha risposto come sempre alle domande dei giornalisti, senza politichese o teologhese, traducendo in cultura il Giubileo della misericordia. A chi gli ha chiesto se i leader religiosi debbono impegnarsi di più in politica ha risposto un deciso “no”: «Il leader religioso faccia il prete, il pastore, l’imam, il rabbino: questa è la sua vocazione. Ma deve predicare valori veri come la fratellanza tra noi. E così si fa politica indirettamente, una politica di unità e di riconciliazione, di convivenza, di amicizia! Il fondamentalismo è una malattia che c’è in tutte le religioni. Noi cattolici ne abbiamo alcuni - non alcuni, tanti! - che credono di avere la verità assoluta e vanno avanti sporcando gli altri con la calunnia, con la diffamazione, e fanno male. Il fondamentalismo religioso non è religioso; è idolatrico, come è idolatrico il denaro».Alla domanda su che cosa lo abbia colpito maggiormente in Centrafrica, ha risposto: «La voglia di pace, di riconciliazione, di perdono. Fino a quattro anni fa, qui cattolici, protestanti, islamici, sono vissuti come fratelli. Ieri sono andato dagli Evangelici, che lavorano tanto bene, e poi sono venuti a Messa, la sera. Oggi sono andato e ho pregato nella moschea; anche l’imam è salito con me sulla “papamobile” per fare il giro nel piccolo stadio». E sulla guerra ha aggiunto: «Le guerre sono un’“industria”, un affare di armi. Chi dà ai terroristi le armi per fare la guerra? C’è lì tutta una rete di interessi, di soldi, di potere. Le guerre sono un peccato e distruggono l’umanità, sono la causa di sfruttamenti, di traffico di persone: si debbono fermare!».
Alla domanda se ha senso dialogare con i musulmani, ha risposto: «Certo che si può dialogare! Loro hanno tanti valori e questi valori sono costruttivi. Non si può cancellare una religione perché, in un certo momento della storia, ci sono alcuni gruppi di fondamentalisti. È vero, le guerre fra religioni sempre ci sono state, ma anche noi cristiani dobbiamo chiedere perdono».
Nell’udienza generale del 2 dicembre ha condiviso un ricordo che gli è rimasto nel cuore: «A Bangui ho incontrato una suora italiana. Si vedeva che era anziana: “Quanti anni ha?”, ho chiesto. “81”. “Mah, non tanto, due più di me”. Questa suora era là da quando aveva 23-24 anni: tutta la vita! Era con una bambina. E la bambina, in italiano, le diceva: “Nonna”. E la suora mi ha detto: “Io sono del Paese vicino, del Congo, sono venuta in canoa, con questa bambina”. Così sono i missionari: coraggiosi. “E cosa fa lei, suora?”. “Mah, io sono infermiera e poi ho studiato un po’ qui e sono diventata ostetrica e ho fatto nascere 3.280 bambini”. Tutta una vita per la vita degli altri. E come lei tanti altri, suore, preti, religiosi, laici, che bruciano la vita per annunciare Gesù Cristo. La missionarietà non è fare proselitismo. Mi diceva questa suora che le donne musulmane vanno da loro perché sanno che le suore sono infermiere brave che le curano bene, e non fanno la catechesi per convertirle! Annunciano il Vangelo con la loro vita. È bello, vedere questo, è bello! Io vorrei dire una parola ai giovani: pensate cosa fate della vostra vita!».
La porta santa che è stata aperta a Bangui, poi a Roma, poi in tutto il mondo deve servire non tanto per entrare (certo non è proibito entrare in chiesa!) quanto piuttosto per uscire (una chiesa “in uscita”, missionaria, per portare il vangelo nelle periferie di ogni tipo!). Il Giubileo della misericordia nel cinquantesimo anniversario della conclusione del concilio Vaticano II, vuole riproporre l’apertura della Chiesa al mondo. Queste porte sante aperte in tutto il mondo per uscire a portare perdono e misericordia non solo quelle delle cattedrali, ma anche di carceri, di ospedali, di luoghi di accoglienza di immigrati, nuove cattedrali che, facendo incontrare uomini che soffrono, fanno incontrare Dio.
Un 2016 che è iniziato con una porta aperta di fronte a noi: siamo invitati ad uscire per offrire misericordia, perdono, solidarietà. Se troveremo il coraggio di farlo, sarà davvero un anno santo e bello per tutti.