Il momento più delicato è l’inizio. Come varco la soglia della sala me ne accorgo. C’è sempre un po’ di tensione, di imbarazzo, di pudore anche. Aprirsi agli altri non è mai scontato. C’è una fatica da fare e un rischio da assumersi. Ci vuole coraggio, soprattutto se si è stati feriti. Mi siedo. Osservo i nostri amici, seduti in cerchio intorno a me e mi commuovo. So di contemplare l’imperscrutabile disegno delle interazioni umane: nessuno può prevedere cosa accadrà e quali saranno i frutti di questo scambio, eppure, a dispetto di ogni timore, sento che è già un dono essere con loro e farne parte.

a cura della Caritas di Bologna

  

Incroci di vita vissuta

La ricerca di uno stile cristiano non può prescindere dall’esperienza vissuta

 
Sara non c’è più

La domanda di oggi è delicatissima: esiste uno stile cristiano? Da che cosa l’abbiamo riconosciuto nelle nostre vite? La voce tranquilla e sicura di Maura scioglie il silenzio della sala, mentre un ricciolo di vapore si arrotola elegante sopra la brocca del tè.

«Prima di cominciare, ripeto le poche semplici regole che ci siamo dati. Ognuno parla in prima persona della sua esperienza della quale è protagonista e dalla quale ha certamente imparato qualcosa che, se si sente, può condividere. Quando una persona parla, tutti noi ascoltiamo con attenzione senza interrompere: ci vogliamo gustare un buon tè ma anche un tempo senza fretta per capirci a vicenda. Non giudichiamo e non interpretiamo le parole degli altri, ogni riflessione ha pieno diritto di essere espressa ed accolta perché è il frutto dell’esperienza di qualcuno. Non diamo consigli: siamo certi che ognuno di noi, se ne ha bisogno, può trovare da solo un aiuto, semplicemente ascoltando gli altri».
«Ascoltare, non giudicare, rispettare gli altri: lo stile cristiano è proprio questo qui! Possiamo andare. Incontro finito!». È Vincenzo, da anni in lotta con la depressione. La sua battuta fulminea fa evaporare la tensione in una risata generale. Ora siamo pronti ad aprirci, a rischiare.
«Ormai lo sapete» dice Carlos «io sono ateo e non credo, ma lo stile cristiano l’ho incontrato quando ho chiesto per diverse volte ad una parrocchia di procurarmi dei vestiti da donna. E loro l’hanno fatto, gratis e senza domande; senza stupirsi della mia richiesta strana. Lo sapevano che io sono solo, ma hanno capito che era importante per me. Lei era una amica». Il tono di voce cambia, si vela di tristezza «vorrei condividere questo con voi». Carlos si china ed estrae dallo zaino strapieno la foto del volto di una ragazza. «Si chiama Sara, aveva 39 anni, era senza dimora, tossicodipendente agli arresti domiciliari in struttura, era malata e prendeva medicine. Per più di un anno l’ho incontrata ogni giorno in mensa. Eravamo amici. Mangiavamo insieme. Siccome non poteva uscire, mi son permesso di vestirla: i vestiti che chiedevo erano per lei. Poi improvvisamente non è più venuta. È sparita di colpo e nessuno mi ha potuto dire che cosa le fosse successo. Solo dopo ho saputo che la morte, se l’era portata via… Non l’ho potuta neanche salutare. Ora rimane solo il fatto che non c’è più, ma nessuno viene a sapere quando una persona senza fissa dimora muore. Noi siamo invisibili e poi semplicemente scompariamo… ecco: questo non è cristiano! Dio insegna l’amore no? Anche noi allora abbiamo diritto ad amare e a soffrire per i nostri morti!». Piange Carlos e compie un gesto potentissimo, colmo di dolcezza e di riguardo: stringendo la foto, mostra con fiera lentezza a ciascuno dei presenti il volto di Sara. Poi ci sorride da dietro l’immagine, lasciando correre le lacrime giù per le guance ruvide: «Ecco, vorrei che voi guardaste questa foto, vorrei che voi guardaste il suo volto. Questa è Sara e non c’è più».

 
Attenzione leggerezza

Il tempo è sospeso. Siamo colpiti, emozionati, commossi. Incapaci di parole, piangiamo con lui. In quel gesto, reso sacro dall’amore di un uomo che si dichiara ateo, io riconosco gli stessi gesti del sacerdote e, nel volto di Sara, quello di Gesù. Esposta così al Mistero, mi manca il fiato. Mi sento piccolissima in mezzo a loro. Abbasso lo sguardo. Mi viene da pregare, chiedendo misericordia. C’è silenzio: nessuno ha la forza di rimettere in moto la voce e i secondi. Per fortuna Maura si prende cura di noi. Con estrema delicatezza per questo momento straordinario e solenne, va a cercare le parole, le ritrova, ce le restituisce. Il tempo riparte.
Antonella ha ancora gli occhi gonfi quando dice: «Anch’io vorrei condividere qualcosa di speciale con voi. Era il 13 di dicembre. La notte prima avevo fatto un sogno bellissimo: avevo sognato che dormivo su un cuscino di polvere di stelle. Mi sentivo dentro che sarebbe accaduto qualcosa di grande. La sera di quel giorno, tornati dalla mensa, Davide ed io stavamo giocando a carte alla luce della torcia perché ci hanno staccato la luce. Era tutto buio nel resto della casa. Suonano alla porta e chiedono di me. Quando apro, ci sono tre ragazzi, hanno un pacco grande in mano. Di nuovo mi chiedono se sono proprio io, ripetono il mio nome e cognome per essere sicuri. Non so chi fossero o chi li mandasse, ma cercavano proprio me! Il pacco era un regalo ed era pieno di cose buone da mangiare. C’era anche una lettera bellissima. Ogni volta che la rileggo, mi emoziono. La lettera spiegava che il Natale è la festa della luce che ogni giorno aumenta un po’. Diceva che la luce è speranza anche per me; non dovevamo abbandonare quella speranza! Non so chi mi abbia fatto quel dono, forse un angelo, ma ho capito che qualcuno, da qualche parte, mi aveva vista». Davide, accanto a lei, le accarezza la schiena con gesti lenti, teneri e poi dice: «Io ho avuto dei guai sul lavoro ed ora che non ho più soldi, nessuno mi cerca più, sono diventato invisibile, ma sono credente. Ho fede e mi rendo conto che davvero ogni giorno la provvidenza ci aiuta».
«Ma che bello! È proprio così - conferma Maurizio - lo stile cristiano è silenzioso, non si vanta, dà con leggerezza senza far vergognare l’altro per il suo bisogno, senza farlo sentire un bisognoso. Non fatelo sentire povero, anche se lo è! Trattatelo come uno uguale a voi! Non è questo il messaggio di Cristo?».
«Il fatto è che Dio non può scendere dal cielo per venirti incontro. Allora manda qualcuno sulla tua strada per aiutarti» dice Anna che viene dal Congo «Io ho incontrato tanti angeli perché ho fatto una strada lunga per arrivare in Italia. E poi ho capito che, senza chiederti il permesso, Dio manda anche te come Suo angelo per aiutare qualcun altro e a volte nemmeno te ne accorgi! Sapere questo è da cristiani!».
«Secondo me è nello stile cristiano anche far comprendere con delicatezza a chi ha bisogno, qual è il modo giusto per essere ascoltati; ci sono persone che diventano prepotenti quando hanno bisogno e questo non va bene - dice Vincenzo -. Per me lo stile cristiano è riconoscersi come esseri umani. Non siamo tutti identici, ma la fede, la fiducia che possiamo darci a vicenda, questa è vera per tutti, anche per chi ha una fede diversa; per me lo stile cristiano è questo parlare, questo conoscersi fra diversi…».
Rachid non parla bene in italiano, ma ascolta tutti, attento. Poi dice la sua, guardando in alto verso un angolo della stanza: «Per me lo stile cristiano è quello che ho conosciuto qui in Caritas e per me la Caritas è la casa della gioia».

Sentirsi figli amati

«Conosco poco Cristo e la sua chiesa» ci confida Pierre del Camerun «ma quand’ero a casa, ho chiesto ad una mia amica cristiana di pregare per me, perché superassi l’esame e potessi venire a studiare in Italia… la prima volta mi hanno bocciato. Allora ho capito da lei che lo stile cristiano è credere che se le cose non vanno bene subito, come vuoi tu, una ragione c’è; ma se hai fiducia e non ti arrendi, poi la tua vita cambia. Ed è stato proprio così, anche per me. Ma non sempre i cristiani si comportano da cristiani. Quando sono arrivato qui, ho saputo che la mia nipotina più piccola era morta. Soffrivo tanto. Piangevo ogni giorno. Provavo nostalgia. Non studiavo più. Il mio compagno di stanza, vedendomi così triste, non mi ha detto nulla; mi passava accanto senza parlarmi. Quando si resta indifferenti, questo non è cristiano! Bisogna saper ascoltare i problemi delle persone ed ognuno è diverso nel suo bisogno».
«Io sono Leone, faccio colletta davanti al supermercato, vivo di quello che mi dà la gente, dormo fuori. Per me lo stile cristiano è quello di chi si ferma perché si ricorda di me e magari mi cerca pure, perché vuole lasciare la sua monetina proprio a me. Anch’io credo che la provvidenza esista, ma devi sapere vederla per coglierla e se non ne hai bisogno non la vedi proprio. L’altro giorno ero seduto sotto i portici e ad un certo punto ho visto una carta da 5 euro per terra. Sono passate 3 o 4 persone e nessuno l’ha raccolta…andavano troppo in fretta o forse avevano il portafoglio già pieno!».
La luce si sta spegnendo fuori. Guardo con soddisfazione le briciole sparse di quella che era stata la merenda. Piano piano ognuno si è servito da solo. In questo pomeriggio così straordinario, ognuno ha avuto modo di nutrirsi ascoltando gli altri, esattamente come aveva detto Maura. Siamo felici. No anzi, è qualcosa di più: ci sentiamo custodite e benedette dalla bellezza di queste persone.
«Certo che Dio è proprio spiritoso…». È la “teologia della leggerezza” di Maurizio a chiudere l’incontro in dolcezza: «Quando sei nei guai, Lui ti raggiunge in modi speciali e discreti, mica ti accorgi che è Lui! È davvero un Maestro in questo. Secondo me, Gli piace proprio giocare: ti trova e ti aiuta in certi modi stranissimi che potrebbe inventare solo Lui!».

Lo stile cristiano è sentirsi figli amati e gioiosi di un Dio fatto così.