Abbandonare il Dio tappabuchi

Don Mazzolari, don Milani e Bonhoeffer: esempi che individuano uno stile 

di Alessandro Russo
docente di Filosofia all’ISSR di Forlì

Imitare l’inimitabile

Si può imitare l’Inimitabile? A rigore, si dovrebbe rispondere di no: Cristo è l’Unigenito figlio del Padre e il suo stile di vita ha un’unicità irripetibile, oltre ogni portata e impossibile da eguagliare. Eppure spesso gli apostoli invitano i fedeli all’imitazione di Cristo (per es. 1Pt 2,21; 1Cor 4,16). Per non parlare poi di quell’importantissimo manuale di pietà del XV secolo intitolato appunto L’imitazione di Cristo. D’altra parte, lo stesso Cristo nei Vangeli invita più volte i suoi seguaci a imitarlo, a seguire il suo esempio, ad abbracciare il suo stile di vita (croce compresa): valga per tutti l’episodio della lavanda dei piedi in Gv 13,15 («Io vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io, facciate anche voi»). Allora? Provo a presentare due possibili risposte.


La prima è di Von Balthasar il quale, pur riconoscendo la sostanziale inimitabilità dello stile di vita di Gesù, parla di un ventaglio di stili cristiani (sia ecclesiastici che laicali) tutti protesi a ricalcare le orme di quell’impronta unica ed inimitabile del Maestro, ma ciascuno con lo stigma della libertà, dell’originalità, della creatività propria di ogni io. Ognuna di queste personalità - scrive il teologo svizzero - è «toccata nel centro dalla gloria della rivelazione divina, e ognuna cerca di rifrangere questa impressione, sempre partendo dal centro».
La seconda risposta è quella di Christoph Theobald che afferma: lo stile di vita di Gesù (definito come “santità ospitale” o come “ospitalità messianica ed escatologica”) è come uno “stile di stili” che promuove la libertà e l’autonoma risposta di fede di ciascuno, perché crea attorno a sé uno spazio accogliente che consente di scoprire la propria identità e di portare in luce ciò che già ci abita in profondità.
Insomma, c’è uno stile fondamentale, che coincide con la persona stessa del Cristo e che è come il traguardo e l’obiettivo di ogni “imitazione”; ma poi la libertà della fede si apre ad un’infinita molteplicità di stili (un ventaglio, appunto), che comporta diversità di atti, di linguaggio, di atteggiamenti, di testimonianze (nel caso di scritti, anche di particolarità stilistiche in senso stretto, cioè letterarie). Questa la necessaria premessa per aprire il piccolo “ventaglio” di cui ci occupiamo in questo articolo.

 Caratteristiche di identità

Che cosa hanno di comune e di diverso gli “stili cristiani” di tre grandi personalità del secolo scorso: don Primo Mazzolari (1890-1959), don Lorenzo Milani (1923-1967) e Dietrich Bonhoeffer (1906-1945)? Con quale particolarità hanno seguito lo stile inimitabile del Maestro? Che eredità ci hanno lasciato?
Intanto: hanno tutte e tre in comune la nettezza, la radicalità e vorrei dire l’intransigenza (naturalmente: in senso positivo, cioè non moralistico) della loro testimonianza cristiana; il coraggio di sostenere le proprie idee e la propria fede fino al martirio (è il caso di Bonhoeffer) o fino al contrasto deciso con il potere politico (vedi don Mazzolari e il fascismo) o addirittura con la propria istituzione di appartenenza (don Milani e la curia fiorentina).
Tutti quanti inoltre condividono la scelta per la non-violenza, per un pacifismo non buonista ma autenticamente cristiano. Anche Bonhoeffer, che nella particolare situazione storica della Germania negli anni ’30-’40 accetta di essere coinvolto nei piani di congiura contro il dittatore Hitler (durante la prigionia a Flossenburg dirà ad un compagno: «Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare ed afferrare il conducente al volante») rimane nonostante tutto un convinto pacifista. Quanto a don Mazzolari, dopo essere stato cappellano militare volontario nella prima guerra mondiale e partecipe della Resistenza nella seconda (otterrà poi la qualifica di “partigiano”), sarà un capofila nella battaglia per l’obiezione di coscienza e per la causa del pacifismo internazionale (sua l’opera Tu non ucciderai del 1955). Il nome di don Milani poi rimane indissolubilmente legato alla sua polemica pacifista contro i cappellani militari toscani. Questi ultimi avevano pubblicato nel 1965 un documento in cui, fra l’altro, si sosteneva che l’obiezione di coscienza era estranea al comandamento cristiano dell’amore. La risposta dura e netta di don Milani diede avvio ad una serie di vicende legali che si chiusero soltanto dopo la prematura morte di don Lorenzo nel 1967.

Queste sono due delle peculiarità stilistiche comuni ai tre personaggi. Ma quali sono le diversità, le sfumature, per dir così, del “ventaglio” stilistico?
La peculiarità dello stile cristiano di Bonhoeffer nasce dalla consapevolezza di dover vivere da cristiani adulti e responsabili in un mondo che è molto cambiato rispetto al passato. La nuova società secolare richiede che chi è cristiano abbandoni la fede consolatoria in un Dio Tappabuchi e si muova allo scoperto, senza comodi appoggi e sicurezze prestabilite, annunciando in mezzo alle necessità altrui il fondamentale messaggio di Gesù Cristo: le cose del mondo sono soltanto penultime rispetto alle verità ultime che Dio stesso, attraverso il suo Figlio incarnato, ha voluto rivelare agli uomini. Lo stile di Cristo è stato quello di porsi come mediatore e punto di ricapitolazione tra questi due ordini di realtà. Il cristiano non deve far altro che imitare questo stile, mettendosi alla sua sequela (Nachfolge è appunto il titolo di uno dei testi fondamentali di Bonhoeffer del 1937).

 Unità di pace e giustizia

La cifra stilistica di don Primo Mazzolari è l’unità di pace e giustizia. Esse sono come le due facce di una stessa medaglia, strette insieme sotto l’ineliminabile segno della croce. La Croce è una delle parole più ricorrenti negli scritti di don Primo (basterebbe scorrere l’elenco delle sue opere per trovare almeno una decina di libri intitolati: Via Crucis, Dietro la Croce, L’amore più grande: la croce…). «La Croce - scrive in Dietro la Croce - è l’unità di misura di questa nuova dimensione umana che sconfina sull’Eterno: il Crocifisso è la presenza di questa nuova realtà; senza la quale non si capisce niente e tutto diventa disumano, quaggiù». E ancora: «Potete inventarvi una civiltà senza croce, ma ricordatevi che sarà una civiltà senza Dio».
Quanto a don Milani è evidente in lui la vera dimensione pedagogica dello stile cristiano. Perché, se è vero che Gesù stesso invita a non proclamarsi maestri (cf. Mt 28,8), in realtà fa del suo stile inimitabile un invito all’esplicitazione di ciò che è già dentro ciascuno di noi (e-ducere) e alla proclamazione ai quattro angoli della terra di questa nuova dimensione umana. Tutti allora dobbiamo farci maestri: non nel senso arrogante e pedantesco di chi sale in cattedra ad impartire teorie, ma in quello umile e fattivo di chi con la propria vita cerca di imitare l’inimitabile e di farne un esempio propositivo per altri. «Essere maestro, essere sacerdote - scrive don Milani in una lettera - essere cristiano, essere artista e essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa».