Senza sottrarsi a nessuno

La capacità di accogliere descrive lo stile cristiano 

di Erio Castellucci
arcivescovo di Modena e abate di Nonantola

 
È tutto scritto lì

Noi cristiani, per affrontare le questioni di stile, non dobbiamo fare lunghe ricerche: basta sfogliare il Vangelo. Lo stile da imitare è sempre quello di Gesù. Christoph Théobald coglie giustamente, tra i tanti aspetti dell'opera e dell'evento di Cristo, la sua capacità di rivolgersi a tutti. Vorrei quindi semplicemente abbozzare alcuni tratti di questo stile, che deve essere anche il nostro.


Gesù si rivolge a chiunque, accettando di essere ascoltato, incontrato e giudicato da chiunque. A differenza di altri maestri del mondo antico e moderno, non riserva la sua predicazione e azione ad un gruppetto di persone scelte, non forma una scuola “esoterica” come Pitagora, ma - pur riservando all’occorrenza alcune spiegazioni ai discepoli (cfr. Mc 4,34) - si presenta a tutti, parla a tutti e agisce di fronte a tutti.
Gesù, in un certo senso, accetta che ciascuno porti a casa qualcosa di lui, che ognuno possa avvicinarlo, capirlo o rapportarsi a lui secondo le proprie attese, capacità e necessità. Lui, certo, mira ad una piena accoglienza e comprensione del suo messaggio e della sua persona: ed esprime tristezza quando viene malinteso e respinto (cfr. ad es. Mt 23,37); ma non si chiude ad accoglienze o comprensioni parziali e non reagisce facendo “muro contro muro” quando viene rifiutato (cfr. Lc 9,53-55). Gesù non è affetto da alcuna sindrome da “cittadella assediata”, ma avverte - anche di fronte alla crescente chiusura da parte delle autorità politiche e religiose - che il suo campo d’azione è la strada, il popolo, il villaggio, la gente.
Per questo si lascia avvicinare da tutti. Attorno a lui ruotano migliaia di persone: alcune raccolte occasionalmente, come “la folla” che si radunava nei villaggi e nelle città e che, certamente, cambiava di volta in volta; altre che lo seguivano con costanza, fino ad essere indicate come un gruppo stabile, i settanta o settantadue; vi era poi il gruppo di coloro che egli aveva scelto per nome, ricostruendo simbolicamente l’unità delle tribù di Israele, ossia i Dodici. 

Costruire il dialogo

Ma tanti altri personaggi accostano Gesù e “portano a casa” qualche cosa di lui, senza necessariamente capire tutto o accoglierlo completamente. La donna affetta da emorragia non dimostra una vera e propria “fede” soprannaturale, ma una sorta di attesa magica e superstiziosa nei confronti di Gesù: “se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata” (Mt 20,21); eppure lui si lascia toccare il lembo del mantello, loda la fede della donna e la guarisce. Il centurione non appartiene al popolo eletto e sembra rivolgersi a Gesù solo per ottenere una guarigione: eppure anche lui riceve da Gesù una grande lode per la sua fede, oltre che il beneficio richiesto (cfr. Mt 8,5-13). Alla donna di dubbia fama che in casa di Simone fariseo gli lava i piedi con le lacrime e glieli asciuga con i capelli, Gesù perdona i peccati perché “ha molto amato” (cfr. Lc 7,47-48), senza esprimere condanne e senza nemmeno chiedere pentimento e conversione. Con l’ebreo Nicodemo, membro del Sinedrio che avvicina Gesù “di notte” - come un cercatore di verità curioso e timoroso - Gesù instaura con lui un lungo dialogo, che non si conclude (cfr. Gv 3,1-21): quasi a dire che quel dialogo rimane aperto verso chiunque voglia accostare Gesù, anche senza diventare suo discepolo. E rimane sospesa anche la domanda di Pilato a Gesù - “che cos’è la verità?” (Gv 18,38) - che risulta paradossale, essendo di fronte alla verità in persona (cfr. Gv 14,6), ma che lascia trasparire in quell’uomo pavido e dubbioso un desiderio di autenticità da lui probabilmente intravista nel Nazareno.
L’elenco dei vari personaggi evangelici potrebbe allungarsi di molto. Ma arriviamo velocemente al gruppo “scelto”, i Dodici. Sono chiamati direttamente da Gesù, dopo una notte di preghiera (cfr. Mc 3,13-16): eppure anch’essi, durante la loro avventura con Gesù, rivelano una comprensione sbagliata o parziale della sua persona e del suo messaggio. Il primo approccio di Natanaele (con ogni probabilità il Bartolomeo dei Sinottici) nei confronti di Gesù non è certo privo di pregiudizi: “da Nazaret può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46). L’indole pratica di Filippo, che già si manifesta nella moltiplicazione dei pani (cfr. Gv 6,5-7), lo porta ad uno scivolone nei confronti di Gesù, quando - quasi interrompendo le sue rivelazioni sul Padre - gli chiede a bruciapelo: “mostraci il Padre e ci basta” (cfr. Gv 14,8). Giacomo e Giovanni domandano a Gesù di innalzarli nella gloria, vagheggiando una superiorità sugli altri dieci, subito dopo che Gesù aveva profetizzato il suo abbassamento nella morte (cfr. Mc 10,32-45). Pietro, nonostante una decisa professione di fedeltà, finisce per rinnegare il Maestro (cfr. Mc 14,31.66-72). Per non parlare di Giuda, il traditore, che sceglie proprio il segno più eloquente dell’amicizia, il bacio, per consegnare Gesù alle guardie (cfr. Lc 22,48). E Tommaso, che vuole vedere per credere (cfr. Gv 20,25), non è certo un modello di quella fede che piuttosto consiste nel credere per vedere.
Come mai Gesù non allontana chi lo accosta senza capirlo del tutto? Perché non corregge chi lo avvicina per superstizione o interesse, per curiosità o per sfida? E perché si fa seguire da discepoli arrivisti, provocatori, incoerenti, dubbiosi, traditori? Non poteva costruirsi un gruppo di credenti veri, selezionati, lasciando da parte le zavorre che probabilmente gli provocavano critiche e incomprensioni? 

La comunità non è un club esclusivo

Nella scelta di Gesù - lasciarsi avvicinare da tutti, lasciare che ciascuno porti a casa qualcosa di lui - c’è il segreto della Chiesa: una comunità di peccatori in cammino, non un club di impeccabili puri. Nella Chiesa raccolta e voluta da Gesù c’è spazio per tutti, anche per chi non intende farne parte: Gesù ha qualche cosa da dire a tutti, si lascia accostare da tutti, dà a ciascuno ciò di cui ha bisogno. La santità, nel Vangelo, non è una condizione preliminare ma un traguardo verso cui camminare. Gesù invita, certo, a seguirlo pienamente, a riconoscere in lui il Messia e il Figlio di Dio; ma non si rifiuta a chi lo cerca solo perché vede in lui un uomo interessante, un saggio capace di dargli qualche beneficio.
Esistono, del resto, i discepoli che credono “pienamente” e quelli che credono “parzialmente”? Senza negare che la fede possa assumere diversi livelli di intensità - il che anzi è un fatto facilmente riscontrabile - occorre riconoscere che nessuno è bloccato nel suo cammino di fede e che credere è una conquista quotidiana. L’emorroissa e il centurione, Pilato e Nicodemo, così come Pietro, Giuda, Natanaele, Giacomo e Giovanni, Tommaso e Filippo… sono dentro di noi, sono parti di noi, abitano nel nostro cuore. La buona notizia del Vangelo è che nessuno è escluso, che non esiste la parola “squalificato” nel vocabolario di Gesù, che ciascuno di noi può accostarlo anche nei momenti in cui dubita, rinnega, è affetto dalla superstizione o dall’arrivismo, vive fasi di scetticismo e disincanto, cerca Gesù per interesse, come ultima spiaggia, oppure tradisce o si lascia prendere dai pregiudizi. Gesù non si sottrae a nessuno. Ogni vero cammino di conversione, per lui, comincia dall'accoglienza. Poi uno cammina, cambia, si pente… ma prima deve essere accolto.

 Dell’Autore segnaliamo:

Lo stupore dei primi passi
Ed. Insieme, Ragusa 2016