Con rispetto e dolcezza

La speranza è la presa in carico del presente 

di Francesca Balocco
suora di Santa Dorotea della Frassinetti, docente di Teologia all’ISSR di Forlì

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 Una virtù da esercitare

Speriamo! Chissà quante volte ci è capitato di pronunciare questa parola. Ma cosa speriamo? In che cosa speriamo e di quale speranza si tratta? Nella maggior parte dei casi speriamo che qualcosa vada secondo i nostri piani, che assecondi i nostri desideri, che si pieghi alla nostra volontà. Noi speriamo, è vero, ma a volte senza troppa convinzione e con una buona dose di rassegnazione.

Eppure la sensazione è che, limitandoci a questa modalità, sfioriamo il rischio di ridurre la portata della speranza semplicemente addomesticandola ai nostri bisogni immediati. La speranza è una virtù da esercitare, o meglio la vita cristiana ci porta precisamente ad esercitarci nella speranza. L’essere umano non trova senza dover cercare, e non può cercare se non procedendo per tentativi.
In questo senso la speranza diventa un esercizio di cui rendere ragione, non tanto un cieco affidamento a un vago destino ma un faticoso lavorio che tenta vie di senso dentro la fatica della ferialità della vita. Ogni tentativo, infatti, porta in sé una minaccia: il pericolo del fallimento. La nostra speranza è sottoposta quindi continuamente al rischio, ad un procedere misto d’incertezza e di sicurezza nella fatica di scegliere, da un groviglio di possibilità, quella che permette la riuscita. La speranza è dunque a caro prezzo, poiché essa si presenta come la nostra grande domanda aperta: siamo chiamati a dare ragione non delle certezze ma delle domande a cui ancora non abbiamo trovato risposta, delle ambivalenze, della precarietà e dare ragione significa unire l’intelligenza agli affetti non per fuggire in vuoti spiritualismi ma per radicarci nella realtà portandone tutto il peso e la fatica.

 A partire dalla storia

Sperare, a partire dall’esperienza cristiana, è possibile solo a partire dalla dimensione della storia: Dio si è identificato in un segmento della storia umana particolare che è la storia di Gesù di Nazareth. Questo significa che ciò che accade, gli eventi, non solo quelli passati, ma quelli che avvengono sono veicolatori di un significato che si fa strada nell’urgenza di ritrovare la correlazione carica di speranza tra la domanda umana di senso e le sollecitazioni di senso che emergono dalla storia. Sono provvidenziali le nostre crisi di senso! La drammaticità del vivere, l’eccedenza oscura della vita rispetto ad ogni senso ideale, l’esperienza sempre più dolorosa della finitudine, della precarietà e della morte, la questione irrisolta del male e del negativo, lo scontro con la differenza e con l’ingiustizia: tutto questo fa beneficamente esplodere ogni risposta preconfezionata, ogni tentativo di ricondurre la realtà ad un ideale che sta oltre la realtà, è lo spiazzamento di ogni tranquilla presunzione di possedere una identità che non sia dinamicamente in evoluzione, queste crisi ci consentono di prendere finalmente congedo dalle sicurezze per iniziare veramente un cammino di vita adulta alla ricerca del senso e del significato. La risoluzione di questa esperienza drammatica che, molte volte, ci viene offerta è il tentativo, o forse è meglio dire la tentazione, della fuga; fuggire alla ricerca di risposte che vengano dall’esterno, da un altrove, da un fantastico cielo, fato o destino, carico di risposte e povero di domande. Questo è il paradosso: essere immersi nelle domande provocate dalla realtà ed essere, allo stesso tempo, alla ricerca di un punto a cui aggrapparsi per uscire dalla realtà, di fatto noi spesso speriamo in un magia capace di risolvere le nostre crisi.

 Un appello di senso

L’esperienza di fede - in cui si radica la speranza - è l’affidamento riuscito, che è per sua natura ospite, capace di dare e ricevere ospitalità nella fatica del vivere umano; ogni luogo umano è luogo visitato da Dio, dove è possibile desiderare e sperare l’esperienza di fede: sentire che siamo preceduti da un amore che può solo essere creduto. I luoghi dell’umano, che apparentemente potrebbero lasciar supporre un’assenza di Dio in realtà sono luoghi del passaggio di Dio. In che modo allora è possibile rendere ragione della speranza che sentiamo nascere in noi di fronte alle attese, di fronte alla difficoltà o di fronte alla ripetitività della quotidianità? La speranza diventa per noi un appello di senso: sperare è un atto di decisione nell’istante e per l’istante, che comporta farsi carico del presente.
Sperare in ciò che avviene, in ciò che ci viene incontro, significa portare il peso di tutto ciò che ci lega al tempo e allo spazio, così che l’avvenire non sia un invito a morire, ma una resurrezione del presente, come scrive il filosofo francesce Dieder Franck. La resurrezione del presente apre l’avvenire, apre ad un nuovo inizio, offrendo all’esistente un’altra possibilità, nessuna fuga ma un tenace radicamento nella realtà della storia. La speranza non è altro che il gusto della vita promessa, cercato, desiderato, tentato in ogni piega dell’umana esistenza. La possibilità di sperare quando non è permesso, e di scegliere ciò che sembra irreparabile come luogo di azione della speranza, ci interpella, in modo privilegiato, nel presente vissuto come sofferto e minacciato dalla morte. Nell’esperienza cristiana, la via, la verità, la vita, il senso sono di un’impressionante concretezza, hanno il volto di Gesù Cristo, ed è proprio la storicità della sua esperienza che ci consente di dare ragione della speranza non in forma teorica ma in forma pratica e patita. La nostra speranza prende avvio quando non ci sono più speranze perché radicata in Colui che dalla morte sa trarre la pienezza della vita. Una speranza che non cerca di convincere, che non si impone, ma che discretamente diventa parte del nostro stile di vita, del nostro modo di stare al mondo, con delicatezza e rispetto.
La speranza è questione di fiducia in una vita buona e bella voluta da Dio per me, per noi, fiducia nell’amore appassionato e incondizionato di Dio per ogni sua creatura, e questa fiducia diventa rispettosa speranza di trovare il senso profondo delle realtà della vita, di ciò che avviene e che ci viene incontro. Liberi da risposte preconfezionate, siamo chiamati a dare testimonianza dei nostri tentativi di credere alla parola di bontà che è posta all’origine della creazione; liberi dal dover dimostrare qualcosa, possiamo rischiare il tentativo di sperare nel nostro presente la vicinanza affettuosa di Dio. Per questa prossimità di Dio posso sperare e credere che le vicende della mia vita abbiano un senso, che i singoli momenti non sono un succedersi di fatalità, di caso o di destino, ma che sono uniti dalle invisibili trame della mano misericordiosa e provvidente di Dio. Solo la speranza che sa dare forma al mio modo di stare nel mondo può dare ragione di sé, con rispetto e dolcezza.