Pare che, oltre che lo stomaco, scaldi anche il cuore. Lo chiamano “il tè delle tre” e sostituisce la “incursione in famiglia” dello scorso anno. Dopo aver trattato il tema di ogni numero nella Bibbia (Parola), nel francescanesimo (e sandali) e nell’attualità (per strada), quest’anno abbiamo pensato di proporre i nostri temi ai poveri. Per far questo, abbiamo chiesto la collaborazione della Caritas Diocesana di Bologna, che - anche grazie ad una amica infiltrata da quelle parti - ha accettato. Ringraziamo di cuore tutta l’Équipe.

La Redazione di MC

Il motore della speranza

Tavola rotonda tra persone semplici in ascolto dei bisogni dell’uomo

a cura della Caritas Diocesana di Bologna

Il Te delle Tre 01Fuori è un bellissimo pomeriggio di sole novembrino. L’atmosfera è limpida e vibrante come solo l’autunno regala, a volte. Dalla finestra del nostro ufficio in Caritas Diocesana, proprio nel cuore di Bologna, si scorge una piazzetta; poco più in là, il cancello della Curia, chiuso. È presto: manca quasi un quarto d’ora alle tre.


Dentro invece c’è la confusione abituale del centro di ascolto dopo una lunga mattinata impiegata ad accogliere le persone in difficoltà che si rivolgono a noi. Sulla scrivania all’entrata, foglietti sparsi, qualche nota scritta al volo, volantini informativi, fotocopie di documenti e pile di cartelle da archiviare… Le ragazze del Servizio Civile si stanno dando da fare per mettere a posto: è bello il loro impegno umile e quotidiano, espressione del desiderio di “servire la patria” seriamente, senza proclami e senza violenza. Caterina è una di loro; alza la testa spostando una massa di riccioli castani e mi guarda un po’ stupita. Gli occhi le brillano di curiosità intelligente, di entusiasmo e di gioventù: «Scusa, ci hanno detto che arriveranno delle persone per un’intervista, ma che succede oggi? E la ciambella che hai in mano, per chi è?».
Io, che sono operatrice qui da parecchio tempo e certe attenzioni dovrei ormai averle assimilate, sento una fitta dolorosa: abbiamo parlato parecchio in équipe dell’iniziativa di oggi pomeriggio, abbiamo pensato e preparato insieme questo “Tè delle tre”, ma poi ci siamo completamente dimenticati di coinvolgere le ragazze… perché nel mondo Caritas a volte funziona proprio così: per il “bene di chi sta peggio” pensiamo, organizziamo e facciamo tanto, anzi tantissimo, ma poi - così coinvolti nell’azione e presi da mille urgenze - dimentichiamo di “essere inclusivi”, di responsabilizzare altri, ed alla fine, oltretutto, ci lamentiamo pure se “restiamo solo noi”! Quello che dovrebbe essere il fondamento del nostro agire, cioè dar voce agli “ultimi” per animare il servizio alla carità nell’intera comunità cristiana e nella società tutta, scivola via e va alla deriva nel mare sempre troppo mosso delle tante cose da fare.
Caterina sorride, attenta, quando mi sente dire che siamo stati invitati a dare “voce” e “visibilità” alle idee delle persone che incontriamo qui al centro di ascolto. Questa proposta ci è sembrata un’occasione d’oro per iniziare qualcosa di nuovo e di bello anche per noi operatori: non siamo più coloro che “aiutano”, ma siamo noi ad aver bisogno di essere aiutati a capire. Per una volta le persone possono venire al centro, non spinte da una necessità materiale o esistenziale, ma semplicemente perché invitate a raccontarci il loro punto di vista. Ancora sorride Caterina, quando le dico che la ciambella è per rendere più dolce il nostro incontro che oggi sarà sulla misericordia.
Sono quasi le tre. Sento di essere agitata. E se le persone invitate non avessero affatto voglia di confrontarsi con noi? Se scoprissimo che non siamo in grado di gestire bene il dialogo fra gente che non si conosce? Mi rassicura l’idea che la discussione sarà guidata da Maura, collega e coordinatrice del centro. Fra noi, la più anziana in servizio e certo la più esperta anche nella conduzione di scambi in gruppo.


Il Te delle Tre 02I nomi della misericordia

Mi affaccio di nuovo alla finestra: un uomo alto e imponente attraversa la piazza a passo spedito. È il nostro primo ospite, si chiama Arturo. In poco tempo arrivano tutti, sono Massimo, Tina, Meris e Anthony. Qualcuno non viene: il bello degli inviti sta proprio nella libertà di declinarli.
Il tè fuma vapore sul tavolino al centro della stanza. Partiamo. Una breve presentazione e poi Maura prende la parola, mentre velocemente ci osserva seduti in cerchio. I nostri sguardi si incrociano. Anche a lei brillano gli occhi e capisco, istantaneamente, che c’è una giovinezza senza età, fatta di passione e di fiducia nel prossimo; una forza potente, pronta a riemergere in ognuno di noi. Realizzo con certezza che tutto andrà bene. Massimo prende la parola. Parlando di misericordia gli vengono in mente i tanti volontari che incontra qui al centro e in mensa: «Nessuno li costringe ad aiutare, ma scelgono liberamente di star lì, senza farlo pesare a nessuno. Sembrano spiccioli di società, ma fanno una cosa importantissima dandoci il loro tempo e lo fanno gratis: debbo ringraziare chi ha avuto misericordia di me». Meris viene dal Perù, anche a lei viene in mente subito l’aiuto ricevuto dal Centro: la misericordia per lei è “la buona accoglienza” data al marito. Dopo aver perso il lavoro, si era ammalato, «si era quasi distrutto nel nervoso e nello stress, perché -sapete? - si diventa diversi nel dolore ma, dopo aver raccontato i suoi problemi qui, si è come svegliato. Ha ritrovato una ragione per alzarsi dal letto. La misericordia è ritrovare la luce, anche se è lontana, in fondo al tunnel». È il turno di Arturo: ci racconta di lui, italo-argentino che ha visto “cose atroci” nel suo paese d’origine e che, stabilitosi qui, non riusciva a farsi aiutare dalle istituzioni italiane. Viveva in strada, ma, senza una casa, «nessuno è disposto a crederti. Io ero malato di cuore, ma nemmeno i medici mi hanno creduto all’inizio. Ero solo… come si dice? Ecco: un barbone! La misericordia per me è essere creduti. La mia misericordia si chiama Silvia, come l’operatrice che per prima mi ha creduto!».
Tina si guarda le unghie smaltate mentre ci dice che per lei tutti i problemi sono cominciati con un licenziamento ingiusto, frutto di discriminazione, perché «non è facile essere accettati quando la tua personalità femminile non corrisponde a ciò che sta scritto di te sul documento d’identità». Ora le è stato riconosciuto il diritto di essere la donna che si è sempre sentita. «La mia vita è stata piena di ripartenze: dopo l’abbandono dei miei, dopo aver perso il lavoro, dopo aver perso l’amore, dopo aver perso la casa… ma ho imparato a lottare, a non arrendermi. Ho vissuto per strada e so cosa significa stare nei guai. Ecco, per me la misericordia è ricordarsi di quando ho avuto bisogno io ed è bello, ora, poter aiutare qualcun altro».
«Sono il primogenito maschio» dice Anthony che viene dal Camerun «e questa è una grande responsabilità in Africa, ma da piccolo non capivo perché mio padre mi mettesse tanta pressione. Voleva che io diventassi un medico, invece io sognavo di diventare un calciatore professionista. La misericordia per me è credere in un sogno, anche se puoi contare solo sulla tua forza per realizzarlo». Il suo italiano si inceppa mentre ci descrive la fatica di aver dovuto lottare contro la volontà di suo padre per venire a Bologna, in una università così prestigiosa, “solo” per studiare Scienze Motorie. «Prima di arrivare al Centro, ho fatto un intero semestre senza neppure una moneta in tasca. Anche condividere è misericordia. Adesso lo so, come so cosa significa non avere neanche un pacco di pasta da mangiare».

Il Te delle Tre 03Il caldo tepore del tè

Terminato il primo giro, Maura rilancia e si parla più a ruota libera. «Per me il primo passo per essere misericordiosi è prendere una decisione: ascoltare», dice Massimo. «Sì, insomma, bisogna fermarsi ed ascoltare sul serio. Magari il problema non esiste neanche, a volte il dolore fa ingrandire le cose, ma non importa. Perché se ascolti davvero, capisci che ognuno ha la sua storia ed è già tanto». Il nostro tè ha fatto effetto. L’atmosfera si scalda. «Però è misericordia anche non dare ascolto a chi ripete sempre lo stesso schema», interviene Tina, «voglio dire che è importante anche scuotere chi si lascia cadere nella depressione e non trova più la forza per cambiare». «Io penso che sia importante ricordarsi i momenti di difficoltà: è questo che ti aiuta a metterti velocemente nei panni degli altri», ribatte Anthony. «È vero!» approva Meris «a volte bastano anche piccole cose, piccoli gesti. Tutto quello che posso, io divido perché vedo che c’è chi sta peggio di me». Arturo interviene ricordandoci che anche le parole contano: «Ci sono parole che fanno male e altre che fanno bene. Bisogna sceglierle con attenzione».
Il tempo è volato. Negli occhi di Maura vedo luccicare un’idea. «Ascoltandovi mi è venuta in mente una proposta: che dite se al vecchio elenco aggiungiamo qualche nuova opera di misericordia spirituale?». Si discute e alla fine si decide di aggiungerne due che davvero sono il frutto dell’esperienza vissuta, vera, ricca e preziosa per tutti noi, di queste persone. Eccole: «Ridare speranza a chi l’ha perduta» e «Aiutare a scoprire le proprie risorse».
I nostri ospiti ci lasciano, ringraziando per il bel pomeriggio. Siamo contente.
Il tè delle tre, a differenza di quello delle cinque, riempie il cuore e non la pancia di calore e dolcezza. La sapienza degli umili fa questo effetto.