Tra i molti aspetti che differenziano le culture, il cibo è forse è uno dei più rilevanti. La maggior parte delle religioni attribuisce al cibo significati tali da giustificare la predisposizione di regole, che possono avere un impatto anche molto rilevante nella quotidianità. Sedersi a tavola insieme rimane il modo più immediato per conoscere l'altro, ma può essere fonte di malintesi a causa di pregiudizi.

Barbara Bonfiglioli

Menù del giorno: pani e pesci

Cucinare deve essere una pratica che ci avvicina a Dio 

di Massimo Salani
docente di Storia delle Religioni e Patrologia allo Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore (LU)

Rubrica Religioni in dialogo 01Una grande tovaglia

L’uomo per sua natura è un essere religioso, si apre naturalmente ad un Altro da sé.

L’uomo sapiens è un uomo religiosus e non a caso si è servito del cibo per “comunicare” la sua credenza nell’Altro. Il cibo e l’acqua presenti nelle tombe in tempi antichissimi rivelano la speranza di poter continuare a vivere nell’aldilà.
A differenza degli animali, l’uomo non si ciba, mangia. Loro si alimentano raccogliendo e consumando carne cruda, noi cuciniamo quanto il Creatore ci ha messo a disposizione. Perché sorprenderci se l’uomo “primitivo” si servì del cibo per comunicare con Dio? E perché mai non dovremmo fare così anche noi uomini del terzo millennio? Perché non servirci dell’alimentazione per raccontare la nostra fede in Dio? Cucinando l’uomo è consapevole che il cibo dono di Dio è strumento privilegiato per costruire una relazione con Lui e con i suoi fratelli.
Dunque, è necessario riconoscere al cibo una valenza simbolica che rimanda alla dimensione umana (culturale) e divina (religiosa). Come lo è la strada, “luogo” privilegiato per incontrare e condividere; scambiare esperienze e accogliere; conoscere gli altri e conoscere meglio noi stessi. Come la strada, il cibo è “luogo” di scontro, perché non sempre accettiamo chi è diverso.

Cibo come incontro

Prima di accostarci al cibo, le diverse religioni invitano alla preghiera di ringraziamento. Se possiamo mangiare è perché chi cucina ha a disposizione i beni che Dio ha donato nella Creazione: tutte le religioni conoscono preghiere prima e dopo i pasti. Per noi cristiani, si tratta di mantenere viva questa prassi, purtroppo, sempre meno frequente.
Ogni normativa alimentare propone un allontanamento dal cibo. Astinenza e digiuno non sono uno svilimento del cibo. Anzi: proprio perché dono di Dio, rinunciando a qualcosa per un periodo limitato, oppure rifiutando per un certo arco di tempo cibo e bevande, costruisco in me uno spazio dove, veramente, sono in grado di avvicinarmi a Dio, in quanto tutto (compreso il mio corpo) è proteso verso Lui. Conosciamo Yom Kippur (giudaismo) e Ramadan (islam). Purtroppo, non è facile che i cristiani ricordino (quindi, come possono vivere il digiuno?) il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo: regole ampiamente disattese. Figurarsi il digiuno eucaristico!
Se molti cristiani mangiano prodotti lavorati secondo l’alimentazione ebraica (kashrut) come i carciofi alla giudea o musulmana (halal) come il cous cous, ciò non costituisce una sorta di sincretismo religioso. La normativa alimentare presente nelle religiosi traduce sì la fede a tavola, mantenendone, tuttavia, la specificità. Anche per il cristianesimo.
Pane e vino eucaristici, soprattutto. Pensiamo, poi, alle feste religiose: tutte le religioni propongono una dieta che si differenzia dal pasto quotidiano. Compresa quella cristiana. Invito il lettore a pensare al Patrono della città in cui vive. Oppure ad un santo cui è devoto. Purtroppo i cristiani non sanno più testimoniare la fede servendosi della tavola. Consumare, ad esempio, gli sfinci di San Giuseppe significa combinare l’arte della cucina alla teologia alimentare cristiana.

Rubrica Religioni in dialogo 02Cibo come scontro

Il dialogo diventa più vero e autentico, percepiamo “a pelle” chi è e come pensa, se chi mi sta di fronte è seduto a tavola. Siamo chiamati, però, a compiere uno sforzo. Accettare, ad esempio, l’idea  che ciò che io penso non debba essere giusto. Come il gusto: il mio non è l’unico. Impariamo a conoscere anche quello dell’altro.
Il cibo può essere un terreno di scontro. Anche nella relazione con Dio. È  sufficiente ricordare che immediatamente dopo la creazione segue la caduta da parte della prima coppia umana. Una trasgressione alimentare! Un peccato gastronomico dà inizio alla vita terrestre di Adamo ed Eva. Dunque, ogni normativa alimentare, se si caratterizza come “luogo” di accesso a Dio e agli uomini, può divenire anche occasione di separazione.
Un esempio tra i tanti. Come ci poniamo nei confronti della carne? Chi abbraccia una dieta vegetariana e vegana, come chi rifiuta alcune carni, quella dei suini tanto per intenderci, sono completamente “separati” da chi, come i cristiani, si avvalgono della libertà alimentare inaugurata da Gesù che permette loro anche il consumo della carne di maiale. Cosa impedisce agli “altri” di mangiarla? Non motivi scientifici né salutistici, tanto meno ragioni economiche. Solo una questione religiosa: se Dio attraverso il libro sacro ne vieta il consumo, il fedele non può che abbracciare il divieto per quello che è. Un divieto divino. Come per il frutto che leggiamo in Genesi. Accettare le regole di Dio, anche quelle sulla tavola, permette all’uomo di avvicinarsi a Dio ma rischia di mettere a repentaglio la comunione con i suoi simili. O forse, no.

Rubrica Religioni in dialogo 03Tutti a tavola!

Il dialogo e la convivenza si possono costruire anche a tavola. Il titoletto, tratto da At 10, 9-16, rimanda a Cornelio, simpatizzante del Dio Uno ma pagano, e Pietro, riferimento dei discepoli di Gesù, ma legato alle prescrizioni alimentari ebraiche. La grande tovaglia è occasione per avvicinare e superare le distanze sociali e religiose ancora presenti oggi.
Compito di Pietro, e nostro, è di essere segno di accoglienza, di convivialità, di pace. La tavola e l’alimentazione permettono a noi di dare concretezza all’invito divino.
Diversamente potremmo trovarci alla sinistra di Gesù e, secondo l’immagine di Mt 25, condannati. Dare da mangiare agli affamati e dare da bere agli assetati, a tutti gli affamati e a tutti gli assetati, è condizione per collocarci alla sua destra. L’Anno Giubilare della Misericordia ci aiuta a rimuovere dalla credenza le opere di misericordia corporali e spirituali. E le prime due sono: “dare da mangiare agli affamati” e “dare da bere agli assetati”!
Poiché la dieta alimentare rivela le coordinate della fede degli uomini, accettiamo l’invito neotestamentario di sederci intorno alla tavola, dove su una grande tovaglia, grazie anche alle differenze, potremo apprezzare la ricchezza simbolica del cibo e sapremo gustare la prelibatezza delle bevande. Insieme, tra fratelli. Comunicando, anche con Dio.
Manca il cuoco! Chi cucinerà?
Gesù stesso, il Pane di vita. Colui che si rivela ad Emmaus spezzando il pane (Lc 24, 30) e che Risorto arrostisce il pesce per Pietro e i suoi compagni (Gv 21, 13). Buon appetito!

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Dell'autore segnaliamo:

A tavola con le religioni. Cristianesimo, EDB, Bologna 2014
A tavola con le religioni. Ebraismo, EDB, Bologna 2014
A tavola con le religioni. Induismo, Buddismo, Jainismo, EDB, Bologna 2014
A tavola con le religioni. Islam, EDB, Bologna 2014