Il nuovo anno di questa rubrica inizia con uno sguardo alla Turchia, dove i missionari delle varie famiglie religiose stanno cercando di camminare insieme e dove in settembre si svolgerà il primo campo di lavoro nel convento dei cappuccini. Poi presentiamo le lettere di due missionari in Centrafrica, scritte, subito dopo la visita di papa Francesco nel “Cuore dell’Africa”, da Bangui, “la capitale spirituale del mondo”.

Saverio Orselli

 Fidarsi per far rete missionaria

Progetti e proposte per una testimonianza viva in Turchia

a cura di Michele Papi
missionario cappuccino e segretario dell’Unione Religiosi Turchi

Rubrica in Missione 01 Michele Papi Foto di Ivano PuccettiRimodellarsi con coraggio

Proviamo a parlare della missione in Turchia, dove siamo impegnati in diversi frati cappuccini dell’Emilia-Romagna.

La lunga intervista al ministro provinciale, padre Matteo Ghisini, pubblicata in due puntate nei primi numeri dello scorso anno, si concludeva preannunciando l’incontro che si sarebbe tenuto in giugno2015 aIskenderun, organizzato dall’Unione Religiosi Turchi (URT) e destinato a tutti i religiosi presenti nella terra dove è nato l’Apostolo Paolo e dove per la prima volta è stato usato il nome “cristiani” per i seguaci di Gesù.
Diceva padre Matteo, parlando dei cappuccini e dei contatti tra i religiosi delle varie famiglie presenti in Turchia: «Forse noi in questi anni siamo rimasti un po’ fuori, rispetto a questi rapporti, al margine di questo movimento. Per questo ho spinto i frati a partecipare all’evento che si terrà in giugno per tutti i religiosi presenti in Turchia. Saranno degli esercizi spirituali promossi dall’URT a Iskenderun ai quali è importante partecipare per favorire la conoscenza e la condivisione. Ci sono tante realtà diverse impegnate in attività importanti e sarebbe davvero assurdo fermarsi a pensare ai soli cappuccini, con il rischio di pensare alla missione come una gestione “nostra”, quando i presenti sono tanti. Ci sono altri francescani, gesuiti, domenicani, salesiani e, per quanto la situazione non sia facile, considerato anche il fatto che i vescovi sono ai limiti di età e abbiamo subito degli assassinii, dobbiamo considerare gli aspetti positivi che la stessa fragilità vocazionale comporta con il calo dei numeri, primo fra tutti il bisogno di metterci insieme».

Imparare ad ascoltarsi

Oggi, con tutta la redazione di MC, salutiamo il nuovo Vicario Apostolico in Anatolia, mons. Paolo Bizzeti S.J., eletto il 14 agosto 2015, e il nuovo Arcivescovo di Smirne, il domenicano fra Lorenzo Piretto, ordinato il 19 dicembre 2015, e raccogliamo con piacere l’invito che padre Jean Mark ha rivolto ai missionari in Turchia, a conclusione della relazione sugli esercizi spirituali, di cui riporto alcuni passaggi significativi: «Non temete di scrivere qualche piccolo articolo sui “Notiziari” delle vostre congregazioni per sensibilizzare le vostre comunità e i vostri superiori a comprendere la necessità di lavorare per l’unità e per suscitare “vocazioni per la Turchia” fra quelli che il Signore chiama…». Ecco ciò che ha scritto padre Jean Mark.
Durante gli esercizi abbiamo imparato ad ascoltarci e fidarci gli uni degli altri, a creare un clima fraterno; a rispettarci e a parlare ad un livello profondo nonostante le nostre differenze; a spenderci personalmente e insieme in questo Paese a beneficio della gente che qui vive. Abbiamo compreso che siamo uniti dalla chiamata di Cristo e non separati dalla lingua, dalla cultura, dalle attività o dai vari carismi e che abbiamo una comune chiamata all’unità.
Per fare questo, siamo stati aiutati da una dinamica che comprendeva tempi di preghiera personale, condivisioni in piccoli gruppi e scambi nell’assemblea plenaria. Questa dinamica ci ha condotti in diverse fasi: dopo un tempo di rilettura personale della nostra “storia sacra”, abbiamo riletto la nostra condivisa storia religiosa in Turchia in questi ultimi quindici anni e abbiamo registrato lungo la “linea del tempo” quelli che per noi sono stati gli eventi più significativi, risvegliando i nostri sentimenti di fronte ad essi e parlando di come questi stessi sentimenti hanno reso manifesti i nostri bisogni e desideri, le nostre soddisfazioni o delusioni. Abbiamo poi chiesto al Signore di aiutarci a svelare le ombre nel nostro lavoro e di farci vedere la nostre personali responsabilità per il peccato che colpisce il nostro gruppo di religiosi presenti in Turchia.
Abbiamo quindi cominciato ad ascoltare la chiamata che Cristo ci rivolge personalmente e come gruppo di religiosi in Turchia, scoprendo così la comune chiamata che abbiamo formulato in questo modo: “Il Signore oggi ci chiama all’unità, tra noi e con gli altri, per essere segni del Regno”. L’impegno dell’URT e di tutti noi sarà quello di andare in questa direzione.
A quanto scritto da padre Jean Mark aggiungerei che forse la cosa più importante è stato il clima di quei giorni. Siamo stati tra noi in amicizia, fratellanza cristiana, nella comune consapevolezza che il vivere in una terra che sembra non avere bisogno di noi e del vangelo ci richiede una testimonianza ancora più forte e coerente. Tutti hanno sottolineato come sia facile chiudersi in uno stile di vita borghese e distaccato dall’impegno pastorale, come sia facile rimpiangere i tempi nei quali la cura dei cristiani di origine europea (i “levantini”) riempivano le giornate, come sia facile criticare semplicemente il sistema-paese senza giocarsi in prima persona.
Il desiderio di fare qualche cosa di nuovo rivolto soprattutto ai giovani turchi, che spesso manifestano un desiderio e una ricerca di senso, c’è e va di pari passo con la vocazione al dialogo con le altre fedi. Un peso che molti segnalavano è quello delle strutture obsolete e pesanti che ci risucchiano le energie; sono l’eredità di una chiesa istituzionale troppo legata alle logiche colonialiste di una vecchia Europa, Francia in testa, ormai anacronistica; pare spesso un peso anche l’obbligo di non vendere strutture dato dalla Santa Sede. Presenze più snelle, laicali e inserite nel tessuto sociale, che sappiano attirare una piccola comunità attorno a sé (l’esempio dei Focolari e delle Piccole Sorelle di Charles de Foucauld a Istanbul è luminoso), che intessano relazioni ecumeniche e interreligiose costanti e solide, pare a tutti una strada da percorrere, ma verso la quale spesso manca il coraggio (sarebbe una presenza più fragile e col rischio di essere allontanati) o la libertà (c’è la messa di orario da dire...) per percorrerla.
Un dato interessante è che più della metà dei religiosi risiede a Istanbul, le altre presenze sparpagliate per il paese sono spesso isolate e faticano a vivere la dimensione fraterna, ma sono anche spesso segni più forti della vicinanza alle persone, quando non si chiudono in una vita da stranieri non integrati. Nell’incontro di sabato 24 ottobre dell’URT a Istanbul, abbiamo ripreso i contenuti e il metodo degli esercizi e ci siamo dati alcuni impegni concreti da portare avanti, affidandoli alla nuova segreteria eletta, nella quale padre Pawel, il nostro delegato del provinciale per la Turchia, è stato eletto vice-presidente per i prossimi tre anni. Il desiderio è quello di aumentare la comunione tra le famiglie di religiosi attraverso una comunicazione e una preghiera reciproca costanti, aiutate anche dalla pubblicazione di un nuovo annuario, inoltre si è manifestata la volontà di fare qualche cosa insieme sul campo del sociale, in particolare coordinando gli sforzi che già si compiono per aiutare i profughi delle guerre mediorientali.