VEDERE E CREDERE 

Parlare di san Francesco senza tener conto della sua fede è togliergli l’anima, il respiro, la vita. La fede è la capacità di vedere tutti e tutto con occhi nuovi. Nella Ammonizione I (FF 141-145) egli parla di «vedere e credere»: prende come esempio gli apostoli di fronte a Gesù e noi di fronte all’Eucaristia. Tutti vedevano Gesù, ma solo alcuni credevano che egli era il Figlio di Dio; tutti vediamo il pane e il vino consacrati, ma solo alcuni credono che lì è presente il Signore Gesù. Tutti vedono, solo alcuni vedono e credono.

Dino Dozzi 

Occhi nuovi per credere

Col suo modo di guardare le persone, Francesco vi scopriva la presenza di Dio 

Rubrica Parole francescane 01Occhi spirituali

Questi occhi nuovi, capaci di vedere e credere, vengono chiamati da Francesco “occhi spirituali”, doni dello Spirito Santo, che abilita gli occhi del nostro corpo al vedere con fede.

E la fede è la capacità di vedere la presenza e l’azione del Signore nella creazione e nella storia. È la fede che fa vedere a Francesco la presenza del Signore nel vangelo: da qui deriva il suo ritornello «Così dice il Signore nel vangelo» ogni volta che ne cita una frase; e non gli interessa che sia quello di Matteo o di Marco o di Luca o di Giovanni: è parola del Signore, come proclama anche la liturgia al termine della lettura del brano evangelico. Fondamentale è poi quel suo uso costante del presente “dice”: attraverso le parole evangeliche è il Signore che parla oggi con lui, Francesco.
Nel suo Testamento (2Test 14-15: FF 116) lascia scritto che «dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò». Non dobbiamo pensare ad una rivelazione particolare e straordinaria. 1Cel 22 (FF 356) ci racconta come avvenne questa rivelazione-scoperta: «Un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza, subito, esultante di spirito Santo, esclamò: “Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!”».
Questo è un esempio classico del “circolo ermeneutico”, in cui il lettore (aiutato in questo caso dal sacerdote e dalla liturgia) interpreta il testo biblico e il testo interpreta il lettore (è questo che stavo cercando e che l’Altissimo mi rivela). Questo dialogo testo-lettore e Dio-Francesco è chiaramente illuminato dalla fede. Ed è tanto importante questa consultazione che, alla venuta dei primi compagni, Francesco la ripeterà con loro, ottenendone con riconoscente stupore la stessa risposta (cf. Anper 10-11: FF 1497).

Rubrica Parole francescane 02  Foto di Sara FumagalliAnche se poverelli

Con questi “occhi spirituali” egli lo sa riconoscere non solo nel Crocifisso di San Damiano che gli parla e con cui egli parla, ma anche in quei poveri cristi crocifissi che sono i lebbrosi al cui servizio si pone. E lo sa riconoscere nella Chiesa che non sempre brilla per santità e che viene duramente contestata per la sua immoralità e la ricerca di ricchezza e potere, ma che egli chiama costantemente “la santa madre Chiesa”, perché è in essa che egli riceve la Parola e i sacramenti del Signore. E lo sa riconoscere nei sacerdoti anche se “poverelli” di cultura e di moralità, perché sono loro che gli danno in nome di Dio il perdono dei peccati e l’eucaristia. E lo sa riconoscere nel “signor papa” a cui va a chiedere l’approvazione del suo modo di vivere il vangelo.
Oltre che nel testo sacro e nella Chiesa, Francesco sa cogliere la viva presenza del Signore nei suoi fratelli, anche quando tale operazione non risulta facilissima. È quanto emerge dalla lettera che egli scrive a quel ministro che gli aveva parlato dei fratelli a lui affidati come ostacolo e impedimento ad amare il Signore, chiedendo di potersi ritirare a vita eremitica. Francesco gli risponde di cambiare gli occhiali, mettendosi quelli della fede, capaci di leggere tutto come “grazia”: «E non aspettarti da loro altro, se non ciò che il Signore ti darà». Nella seconda parte della frase ci si aspetterebbe «se non ciò che loro ti daranno» e invece ecco il cambio di soggetto: lo sguardo di fede fa vedere dietro a ciò che loro ti daranno, «ciò che il Signore ti darà».

Beatitudine eterna

Rubrica Parole francescane 03 Foto di Sara FumagalliAlla luce della fede Francesco rileggerà nel Testamento (FF 110-131) tutta la sua vita come un susseguirsi di doni del Signore: il Signore dette a me frate Francesco di incominciare a fare penitenza così, il Signore stesso mi condusse tra loro (i lebbrosi), il Signore mi dette tale fede nelle chiese, poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti, e dopo che il Signore mi dette dei fratelli… Persino in quel «Vattene, tu sei un semplice e un illetterato, qui non ci puoi venire ormai: noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te!» drammaticamente autobiografico egli saprà riconoscere l’unica «vera letizia e vera virtù e la salvezza dell’anima» (cf. FF 278). Qui lo sguardo di fede diventa di una limpidezza tale da trasfigurare anche il male più meschino e l’offesa più ingiusta in provvidenziale e riconoscente letizia.
Ma è soprattutto nelle preghiere che si rivela la fede di Francesco. Dalla prima davanti al Crocifisso (FF 276) nella quale chiede all’alto e glorioso Dio l’illuminazione delle tenebre del cuore con «fede diritta, speranza certa e caritade perfetta» a tutte le altre, in cui non ha più nulla da chiedere, ma solo da lodare e ringraziare. Come nel capitolo XXIII della Rnb (FF 63-71) la cui prima parte è scandita dal ritornello «ti rendiamo grazie» perché ci hai creati, ci hai redenti e tornerai a salvarci; la seconda parte poi è un invito accorato, commosso e universale a non desiderare altro che Lui, a far in modo che «niente dunque ci ostacoli, niente ci separi, niente si interponga» tra noi e Lui, vero e sommo Bene.
Sarà la contemplazione commossa ed estasiata del Crocifisso a rendere possibile il miracolo delle stimmate, a rendere l’amante immagine dell’Amato. È quella contemplazione trasformante che Chiara consiglierà ad Agnese di Praga: «Poni la tua mente nello specchio dell’eternità, poni la tua anima nello splendore della gloria, poni il tuo cuore nella figura della divina sostanza e trasformati tutta, attraverso la contemplazione, nell’immagine della sua divinità». Questa fede è impregnata di mistica, cioè di amore totale e senza ritorno, beatitudine eterna già iniziata.