Esserci o non esserci

Il Progetto Formativo dei cappuccini italiani punta sulla fraternità

di Giovanni Salonia
frate cappuccino, psicoterapeuta

Formarsi in un tessuto relazionale

Il Progetto Formativo dei Cappuccini Italiani (PF) è stato il frutto di un decennale lavoro e confronto: approvato nel 1993, è stato recentemente aggiornato. È un testo innovativo e sapienziale, che - come fonti autorevoli ebbero a dichiarare - prospetta orizzonti nuovi nell’ambito della formazione alla vita consacrata. Proviamo ad enucleare alcuni di questi spunti sia negli aspetti ormai assimilati che in quelli che ancora rimangono orizzonti aperti ed entusiasmanti.


Innanzi tutto il passaggio da una formazione che porti l’allievo ad adeguarsi a delle regole ad una prospettiva progettuale e dinamica: formazione come itinerario, come percorso, come orizzonte di riferimento. Autonomia e responsabilità si coniugano con la personalizzazione dei percorsi richiesta da una visione non di indottrinamento ma di crescita attraverso l’assimilazione.
Ripensati sono l’iter e il punto d’arrivo della formazione: non si tratta di apprendere contenuti o di riprodurre comportamenti. Punto di arrivo della formazione - cardine del PF - è la relazionalità fraterna. «La fraternità è il luogo di crescita in quanto in essa si attua il dono-compito della comunione che fonda e realizza ogni esistenza e ogni vocazione» (Art. 2,1). Esistere, cioè, è procedere verso una vocazione e tutto questo si fonda sulla relazionalità: la fraternità, dunque, luogo e meta della crescita.
Questi concetti esprimono un cambiamento di paradigma ormai diventato quasi scontato a livello di prospettiva (anche se non di realizzazione) e testimoniano la ricezione sia delle novità degli studi francescani sulla fraternità (si pensi a R. Manselli, a G. Miccoli, a K. Esser, a L. Pellegrini), sia di quella nuova prospettiva maturata dalle scienze umane, per cui si guarda alla crescita come maturazione della competenza relazionale (ad esempio il “sé narrativo” di Stern, il “contatto” della Gestalt Therapy, gli ultimi sviluppi dell’Infant Research). Formare, quindi, alla fraternità attraverso la vita fraterna.
Nuovo fu anche l’evidenziare che la formazione permanente deve precedere nell’attenzione e nel quadro formativo la formazione iniziale. In altre parole, la chiamata, anche se viene da Dio, prende forma in una comunità, in un tessuto relazionale. Solo una fraternità serena e gioiosa della propria vocazione può generare altre vite. Coloro che chiedono di far parte dell’Ordine Francescano entrano - come si usava dire agli inizi - nell’obbedienza, ossia nella rete relazionale dell’amore che unisce i frati. L’idea che la formazione permanente preceda quella iniziale tornerà poi anche nei documenti magisteriali, nella ferma certezza che formare i… formati è la migliore strada per formare i formandi.

La crisi come passaggio

In questo contesto si inserisce anche l’attenzione ad una formazione che si inscriva nelle varie fasi del ciclo vitale dell’esistenza. Ricordo le difficoltà che suscitò questa parte del documento, in quanto ad alcuni sembrava una prospettiva troppo estranea alla tradizione. Fu il richiamo al bellissimo testo di Romano Guardini (Le età della vita) che convinse anche i più resistenti. Scriveva padre René Voillaume che ad ogni nuova stagione della vita deve corrispondere un nuovo differente innamoramento del Signore. L’esperienza ci dice come sia più immediata la comprensione della categoria esistenziale della “compagnia” se si parte dall’esperienza dei compagni di viaggio della stessa fascia di età. Ogni età, infatti, ha un suo compito evolutivo e apre verso una pienezza umanamente inesplorata (V. Di Sante). Le fraternità che hanno fatto l’esperienza di tener presente le fasce di età nella formazione hanno riscontrato un senso di concretezza e di immediatezza formativa.
Un altro passo coraggioso del PF è l’aver voluto descrivere la crisi in termini positivi parlando del “concetto formativo di crisi”. La crisi, nel PF, ritrova il suo volto di “cambiamento in vista della crescita”. Non deve essere temuta la crisi, ma attraversata nella consapevolezza che ogni formazione è trasformazione, ossia continuo adattamento creativo agli appelli che vengono dall’interiore spinta alla crescita e dalla voce dei fratelli vicini e lontani.
Suggestiva la pagina nella quale viene tentata una descrizione delle caratteristiche principali dello stile francescano della formazione: materno-fraterno; affettivo-relazionale, attivo-personalizzato, aperto-creativo, fiducioso-propositivo. Una sintesi pregnante che racconta di secoli di tradizione e di saggezza educativa: un tesoro ricco e fecondo (cf. gli studi di E. Bettoni, R. Zavalloni, L. Iriarte) che ha costituito l’affascinante e ineliminabile sfondo di ogni riflessione educativa all’interno del carisma francescano.

Nel mistero della Trinità

Alla luce delle prospettive aperte dal PF dei cappuccini italiani, diventa più efficace evidenziare che oggi non viviamo un’emergenza educativa ma fondamentalmente un’emergenza degli educatori (A. Melloni). Sono gli educatori che devono ritrovare le linee portanti e gli atteggiamenti adeguati per tessere e donare relazioni. Il punto nevralgico della postmodernità è proprio la difficoltà degli educatori ad offrire relazioni dentro le quali acquistino un senso la vita, le regole, l’appartenenza, il futuro, la speranza. Un giovane inserito dentro una relazione, infatti, riesce a ritrovare se stesso e gli altri; fuori dalla relazione smarrisce le coordinate dell’esser-ci e del con-esser-ci.
Forse il punto di forza di tutto il PF è l’aver individuato la matrice di tale fraternità nel Mistero comunionale della Trinità e la sua ispirazione stilistica nella fraternità di Francesco. Una fraternità che si declina e conferma sulle note di quell’obbedienza alla Chiesa ed apertura ai poveri che è la sintesi dei testamenti di Francesco (ecclesialità, fraternità e povertà). Anche i consigli evangelici (obbedienza, povertà e castità) vengono riletti nella loro dimensione relazionale di espressione e maturazione nella fraternità.
E dal momento che è nell’ascolto della Parola e nella celebrazione eucaristica che ogni relazionalità cristiana trova la sua fonte inesauribile, vertice di riferimento della formazione diventa la valenza formativa del Mistero pasquale. A livello cristiano si rende cioè necessaria una formazione che rilegga, o meglio che faccia emergere dal Mistero pasquale il cuore della relazionalità. Come scrivono due dei più significativi teologi di oggi: Cristo è un evento relazionale (G. Ruggieri) e ci ha annunciato e donato la capacità di uno stile relazionale accogliente e ospitale (C. Theobald).
Bello, infine, il recupero della dimensione formativa dello Spirito Santo che prende le mosse dall’affermazione di Francesco che lo dichiarava vero Ministro generale dell’Ordine (FF 779). Il Risorto si accomiata dai suoi donando (è il suo testamento!) il soffio dello Spirito Santo (Gv 20,22): lo Spirito che darà anche agli uomini il bacio tra il Padre e il Figlio. Potremmo parafrasare Francesco riaffermando che lo Spirito è il formatore perché continuamente dona comunione fraterna, perdono delle colpe, guarigione delle ferite.
Questa è la direzione per ogni percorso formativo. Il PF non voleva e non poteva essere una summa, quanto piuttosto una bussola portatile che intende indicare la direzione verso la quale dirigere i cammini formativi della fraternità.