Fioretto cappuccino

Frate Samuele indiano tra gli indiani


Rubrica in Convento Samuele 01Frate Samuele era un uomo sempre sicuro di sé e dai modi spicci, che non ammettevano incertezze o ripensamenti, e che talora si spingevano fino al limite di una cosciente incoscienza.

Era divenuto sacerdote a ventitré anni. Nel 1947 era partito con un numeroso gruppo di confratelli per la missione del nord India, ai piedi dell’Himalaya. In quell’anno l’India aveva conquistato l’indipendenza dall’Inghilterra, ma si era ancora nel periodo di transizione, per cui i missionari europei potevano godere di molte agevolazioni nei viaggi e nelle loro attività da parte degli inglesi ivi residenti. Frate Samuele non era di quelli che avevano a schifo le condizioni politiche favorevoli allo sviluppo della missione, e sapeva come trattare con tutti, inglesi o indiani che fossero. Non vi erano ancora leggi ferree che regolassero ogni momento della vita, e chi sapeva arrangiarsi ne traeva sempre qualche vantaggio. Frate Samuele era uno di questi, forse il più disinvolto, aiutato da una furbizia innata, tipica dei montanari. Soprattutto non gli mancava l’inventiva e il coraggio. Il cambio di guardia alla guida della nazione tuttavia, con il passare del tempo, si faceva sempre più sentire e occorreva adattarvisi. Cosa che a frate Samuele non creava eccessivi problemi, perché lui sapeva come trattare con il padrone di turno.
Nei primi anni della sua presenza in India, si era dato all’agricoltura per insegnare agli abitanti dei villaggi come divenire autosufficienti. Un impegno che gli valse, tra i missionari, il titolo di “fattore”. In seguito fissò la sua residenza in un villaggio di montagna, Jeolikote, a circa 4.000 metri di altezza, dove fondò una missione con un orfanatrofio per bambine e ragazze rimaste senza genitori in seguito alla sanguinosa lotta di separazione del Pakistan dall’India. Pesava sulle sue spalle dover provvedere il necessario per il mantenimento di quella sua numerosa famiglia, ma egli, che le orfanelle chiamavano «papà», pur di reperire quello che serviva, era disposto a tutto, o quasi. Lassù, a Jeolikote, regnava una pace invidiabile, dove si poteva parlare con gli alberi, con gli uccelli, con le api, con tutto ciò che caratterizzava quel piccolo villaggio. A frate Samuele quel povero agglomerato di case ricordava il paese natale, tanto che ne fece la sua dimora stabile fino al suo ritorno in Italia nei primi anni Settanta. Ospitava anche i missionari che si portavano lassù nel periodo estivo, per sottrarsi, almeno per qualche giorno, al calore insopportabile e terribilmente umido della pianura indiana.
Rubrica in Convento Samuele 02Lassù dove i venti freddi della catena himalaiana nel periodo invernale si facevano pungenti, si rendeva necessario procurare la legna, non solo per riscaldarsi ma pure per cucinare. Con il cambio della guida politica del paese, le cose erano tutt’altro che semplici, per via della diffidenza che i funzionari indiani nutrivano verso gli stranieri. Attorno alla missione vi erano immensi boschi con tanti begli alberi, che aspettavano solo di essere tagliati. Mancava però l’autorizzazione. La cosa non sarebbe passata sotto silenzio, se egli avesse preso autonomamente l’iniziativa di abbatterli. Gli fu facile ottenere il consenso dalle autorità locali, che conoscevano lo stato di necessità del suo orfanatrofio. Ma il documento che gli era stato rilasciato sarebbe stato carta straccia, senza il timbro del funzionario del distretto, che risiedeva nella capitale Lucknow. Come fare?
Un mattino, salì sulla Vespa che si era portata dietro dall’Italia, si portò a Lucknow, ed entrò nell’ufficio dove si trovava il funzionario addetto a timbrare quel documento. Già altre volte vi era stato, e quindi a quel funzionario non era del tutto sconosciuto. Altro però era conoscersi, e altro farsi rilasciare il timbro desiderato. Perché i nuovi funzionari indiani, dopo l’avvicendamento con le autorità inglesi, erano alquanto sospettosi e, inesperti com’erano, temevano sempre di essere circuiti, soprattutto se si presentava un europeo. Frate Samuele bussò alla porta ed entrò tenendo nella mano sinistra il foglio piegato in quattro, con la faccia da timbrare rivolta all’esterno. Il funzionario riconobbe subito il nuovo entrato, anche perché il visitatore vestiva l’inconfondibile abito missionario Rubrica in Convento Samuele 03bianco. Lo salutò con cortesia e lo invitò a sedersi. Samuele si accomodò e il suo sguardo andò subito ai timbri che erano appoggiati sul tavolo. Il funzionario gli chiese come andasse la vita della missione e frate Samuele, fissando quei timbri, ma senza darla a intendere, gli raccontò che tutto andava bene e che nel nuovo clima politico la gente dei villaggi era fiera dell’indipendenza raggiunta, sottolineando che anche i missionari - e questo non corrispondeva del tutto alla verità - erano soddisfatti del nuovo corso politico.
Il funzionario annuiva orgoglioso, e le domande e le risposte si susseguivano in un clima amichevole. Ma frate Samuele non era venuto per vendere parole. Sicché, tra una chiacchiera e l’altra, prese in mano distrattamente il timbro più grande, si accertò che fosse quello giusto, e poi disse al funzionario: «Ma qui avete cambiato anche i timbri! Che bel timbro avete ora, davvero originale e bello! Nemmeno in Italia abbiamo timbri così. Me lo faccia provare». Sulla scrivania vi erano tanti fogli e frate Samuele cominciò a timbrarne alcuni, tra cui aveva messo “distrattamente” alla rovescia anche il suo. «Bel timbro davvero! Mai visto uno così nitido! – disse prendendo in mano un foglio qualsiasi e mostrandolo al funzionario – In Italia i timbri sono vecchi e lasciano un’impronta illeggibile!». Questi dimostrò gradimento per i tanti complimenti e non si accorse che frate Samuele intanto aveva ripreso il suo foglio timbrato, mettendoselo in tasca.
Quando gli sembrò di avere detto tutto, fece un cenno di saluto per andarsene. Il funzionario si meravigliò che il missionario non gli avesse chiesto un favore e dovette pensare che quell’europeo avesse un comportamento un po’ bislacco: «Padre, come mai è capitato da queste parti?». A frate Samuele, che sapeva come trattare gli indiani da indiano, non mancavano mai le giuste risposte: «Ero passato in città per questioni con il vescovo  e non potevo ripartire senza presentare i miei ossequi a chi oggi guida la nazione!». Il funzionario non nascose un sorriso di compiacimento, si alzò e strinse la mano di frate Samuele, che gli porse la mano destra, mentre teneva la sinistra in tasca per non perdere il foglio con il timbro sospirato. Frate Samuele, dopo essersi assicurato che il documento con il prezioso timbro fosse al sicuro in una tasca chiusa con un bottone, fece ritorno a Jeolikote in sella alla sua Vespa, che cantava come non mai. In un baleno si trovò a casa, sui monti. Da quel momento nella foresta attorno alla sua missione si sentì solo lo stridìo va e vieni delle seghe e i colpi secchi delle scuri. Gli alberi cadevano sul terreno uno a uno con grande fragore, come il colpo di un timbro su un foglio di carta.