La medicina che cura la malattia

Appunti per una storia della misericordia nella Chiesa

di Enrico Galavotti
docente di Storia del Cristianesimo all’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara
L’elemento fondativo

Galavotti 01La misericordia rappresenta un elemento fondativo della vicenda cristiana e questo anzitutto per il suo profondo radicamento tanto nelle Scritture ebraiche quanto nel Nuovo Testamento.

Non si contano i passi dei libri veterotestamentari che indicano nella misericordia l’elemento identitario più forte del Dio che si è rivelato ad Abramo e sono i salmi, più tardi diventati la preghiera cristiana per eccellenza, a ribadirlo costantemente; viene anzi da dire, a rimarcare la paradossalità e la grandezza di questo sentimento, che Dio si costringe alla misericordia proprio per rendere ancora più evidente la sua grandezza, che sfugge alla logica mondana e la rigetta. Non a caso nel Magnificat (Lc 1,54-55) si parla di un Dio che, quasi umanizzato, si ricorda di una promessa di misericordia già fatta ad Abramo; Gesù stesso poi, nella parabola del padre misericordioso (o del figliol prodigo), rinnovava tale impegno al livello più alto e compiva tutta una serie di gesti ispirati appunto alla misericordia e per questo guardati con scandalo dai contemporanei: ciò che soprattutto turbava sempre era la sua sospensione del giudizio di condanna del peccato (la parabola della zizzania è eloquente) che andava in controtendenza con l’orientamento prevalente; a sua volta Paolo ricorderà che Dio aveva «rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia» (Rm 11,32).
Ma se si dovesse scrivere una storia dell’idea di misericordia nella storia della Chiesa si dovrebbe anzitutto prendere atto di come essa sia costantemente oggetto di tentativi di negazione o di ridimensionamento, destinati irrimediabilmente al fallimento. Da subito, infatti, i cristiani percepirono lo scandalo che suscitava questa scelta e di volta in volta non solo si stabilì un regime penitenziale piuttosto esigente, ma nacquero sette e movimenti che opponevano alla misericordia una propria idea di giustizia divina retributiva. La misericordia, insomma, veniva percepita sempre più spesso come una risposta debole rispetto alle sfide poste di fronte ai cristiani.

La via della misericordia

Basti ricordare, ad esempio, quanto era capitato in occasione della crisi donatista nel IV secolo, quando appunto c’erano cristiani che si opponevano fermamente alla concessione del perdono (e dunque alla riammissione all’interno della comunità dei fedeli) di coloro che, nel momento delle persecuzioni intraprese dall’Impero romano, non erano stati capaci di testimoniare la propria fede sino alla effusione del sangue (i cosiddetti lapsi): e sarà proprio Agostino di Ippona ad opporsi fermamente a questa posizione, poi condannata come ereticale, insistendo sulla necessità della via della misericordia: e questo perché si trattava dell’indirizzo più corrispondente al messaggio evangelico. Questo non aveva impedito né impedirà per tutta la storia dei concili, da Nicea al Vaticano I il ricorso all’anatematismo/maledizione come suggello delle decisioni dottrinali e disciplinari assunte dai vescovi: ancora una volta, e davvero al massimo livello, si appurava la difficoltà dell’assunzione della misericordia come via esclusiva per l’evangelizzazione.
L’abbraccio tra cristianesimo e potere politico, a partire dall’Impero romano e ben oltre questo, rese tale opzione addirittura irrealistica per coloro che governavano la Chiesa, quantunque non fosse possibile per essi abolire un dato essenziale per la rivelazione cristiana. Questo riemerse con vigore, e davvero inattesamente, nel corso della lotta per le investiture, in una fase in cui si espresse l’apogeo del muscolarismo papale di fronte alle ingerenze dell’autorità secolare. Accadde precisamente in occasione del celebre episodio del pentimento dell’imperatore Enrico IV a Canossa: si trattò, in tutto e per tutto da parte dell’imperatore, di una messinscena, di una scelta di ripiego dopo che i precedenti tentativi di indebolire Gregorio VII erano falliti. Eppure questo Papa, pure impegnatissimo in una politica di blindatura della supremazia papale, non poté fare a meno, proprio come sacerdote e a dispetto del risentimento dei suoi alleati politici, di adire la via della misericordia di fronte al suo avversario (che più tardi non mancherà di riprendere a tessere le sue trame contro il vescovo di Roma).

Amore per chi sbaglia

Galavotti 02Più tardi, in una stagione storica sempre più segnata dalla lotta senza quartiere contro l’eresia, sarà Francesco d’Assisi a riattualizzare con forza la via della misericordia. Francesco, infatti, non si accodò a molti suoi contemporanei nella denuncia della corruzione del clero, ma espresse invece la sua venerazione per coloro che potevano consacrare l’eucaristia; e il suo Cantico delle creature, che molti nei secoli successivi banalizzeranno in semplice protoesempio di poesia italiana o manifesto “verde”, rappresentò anzitutto una risposta al catarismo, che vedeva nella natura e nella materia il male: anche in questo caso Francesco non scelse la via più battuta della contrapposizione frontale e della condanna, bensì quella della misericordia, riformulando in positivo il pensiero della Chiesa.

La Riforma del XVI secolo e più tardi le conseguenze della Rivoluzione francese irrigidirono ulteriormente le scelte del magistero, costantemente impegnato ad indicare i propri nemici e sempre più indotto a collocare nell’oblio la via della misericordia. Emblematico di ciò un passaggio dell’enciclica Mirari vos di Gregorio XVI (1832), laddove il Papa diceva di sentirsi obbligato a ricorrere al «bastone» per contrastare i gravi errori che si andavano diffondendo. E sulla stessa linea si collocherà anche Pio X che, dopo aver indicato nell’enciclica Pascendi (1907) l’insidia «modernista», svilupperà un durissimo meccanismo di repressione. Si trattò di una linea che venne ribadita ulteriormente con la più grande scomunica di massa della storia, che nel 1949 privò dei sacramenti milioni di persone che aderivano al socialcomunismo. Ma nove anni più tardi fu eletto un papa, Giovanni XXIII, che rinunciò programmaticamente a perseguire la via della condanna, prendendo anzitutto atto della sua inefficacia.
Papa Roncalli aprendo il concilio Vaticano II inaugurò così una vera e propria rivoluzione della misericordia, indicando in quest’ultima la «medicina» a cui la Chiesa intendeva ricorrere per sanare le malattie non solo del mondo, ma anche della Chiesa stessa. Una linea che venne ribadita nell’enciclica Pacem in terris, quando Giovanni XXIII stabilì una volta di più che, se restava fermo l’impegno del cattolicesimo nel denunciare gli errori come tali, era altrettanto necessario guardare con amore all’«errante», rimanendo in questo modo fedeli all’esempio di Gesù. Ecco quindi che anche la tappa più recente di questa storia della misericordia, apertasi l’8 dicembre con l’inizio dell’Anno Santo si iscrive in questo percorso di autoconversione della Chiesa: che sempre è indotta alla scorciatoia della censura e del giudizio, ma che deve sempre riscoprirsi serva e non sostituta dell’amore misericordioso annunciato da Gesù di Nazareth.

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Stella Morra, Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale, EDB, Bologna 2015.