L’architrave della misericordia

Riconoscersi popolo di Dio, rigenerato dalla sua fedeltà

di Valentino Romagnoli
frate cappuccino, biblista, responsabile della pastorale giovanile 

Una ricca ecclesiologia

Romagnoli 01La Prima lettera di Pietro non ha mai avuto troppa fortuna nella lettura cattolica; forse ha scontato l’ammirazione che Lutero nutriva per essa. Eppure contiene immagini originali e temi stimolanti che non sono presenti altrove nel NT.

Grazie a Dio negli ultimi decenni questo piccolo scritto è stato finalmente rivalutato e i suoi tesori sono ora pienamente accolti e recepiti. Tra queste perle troviamo la sua ricca e variegata “ecclesiologia”, per cui la chiesa è descritta con una molteplicità di immagini e di figure che la illuminano da prospettive differenti e originali: una di queste angolature è la stretta connessione tra la Chiesa e la “misericordia”.
In 1Pt il termine èleos (misericordia) ricorre poche volte, tre in tutto, concentrate in due soli versetti: 1,3 e 2,10: si trovano all’inizio e alla fine della prima parte della lettera (1,1 – 2,10), dove l’autore tratta il tema della “rigenerazione in Cristo”, cioè della nuova vita di chi è rinato in Gesù. Iniziare e concludere questa parte con la parola èleos indica che tutto l’argomento esposto, la rigenerazione, va letto sotto la luce della misericordia: la rinascita in Cristo è possibile per la sua misericordia, e la nuova vita in Lui è possibile solo se usiamo misericordia.
Questa suggestione si arricchisce ulteriormente se approfondiamo l’analisi di 1Pt 2,10: «Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia». Esso si trova a conclusione della sezione 2,4-10 dove viene descritto l’ultimo atto del processo della rigenerazione in Cristo: la nascita della Chiesa. Un cristiano, pare dire la 1Pt, non si può limitare alla sola santità personale ma deve aprirsi a una dimensione sociale, collettiva, creare un corpo nuovo. 1Pt 2,4-10 descrive le caratteristiche di questa nuova comunità in modo originale ricorrendo a tre gruppi di immagini.

 Un edificio di pietre vive

«Avvicinandovi a lui [Cristo], pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale» (2,4-5). La prima immagine è quella della casa, o meglio dell’edificio spirituale. La Chiesa è una comunità che può essere descritta come un edificio di cui noi siamo tante pietre mentre Cristo ne è la pietra angolare. Questa suggestione è talmente vivida che è stata accolta sin dai primi secoli della vita cristiana, e ancor oggi il termine Chiesa indica una duplice realtà: da una parte la comunità che celebra il Signore Gesù, dall’altra l’edificio fisico nel quale questo Mistero viene celebrato.
«Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (2,9). In secondo luogo la comunità è descritta tramite tre figure tratte dall’AT: sacerdote, re (“sacerdozio regale”) e profeta (“perché proclami le opere ammirevoli di lui”). Nella narrazione biblica tali figure rivestivano il ruolo speciale di “mediatori” tra Dio e gli uomini, perché governavano in nome di Dio (i re), a Lui alzavano sacrifici (i sacerdoti) e in Suo nome parlavano (i profeti); erano gli “unti del Signore”. Con la Chiesa, dice la 1Pt, l’unzione non è più riservata a pochi eletti, ma è estesa a tutto il popolo; tutti in virtù del battesimo sono abilitati a intercedere presso il Padre, a governare e a proclamare le sue meraviglie.
«Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (2,10). 1Pt 2,10 conclude la descrizione della Chiesa con un’allusione ad alcuni passaggi del profeta Osea, in particolare a Os 2,25: «Io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata, e a Non-popolo-mio dirò: “Popolo mio”, ed egli mi dirà: “Dio mio”».
Il profeta, per disposizione divina, ha dovuto prendere in moglie una prostituta che gli ha dato due figli chiamati “non-popolo” e “non-amata”. Con questo comportamento paradossale Osea intendeva scioccare Israele mostrando che la relazione tra Dio e il suo popolo è simile a quella di un uomo (Dio) che sposa una prostituta (Israele); mentre Dio resta fedele al suo patto d’amore, Israele si dà alla prostituzione, si svende ad altri dèi. Tuttavia, nonostante questa vergogna, Dio continuerà a essere vicino alla sua “sposa” e, dopo averla condotta nel deserto per un periodo di redenzione, Israele sarà di nuovo chiamato “popolo mio” e “mia amata”. In questo passaggio traspare una delle immagini più dense dell’AT: l’appartenenza al popolo di Dio non è una questione etnica ma relazionale, riguarda un rapporto personale, di amore e di affetto che Dio vuole costruire con la vita di ogni uomo, singolarmente prima e comunitariamente poi.
Con questo rimando a Osea l’autore di 1Pt vuole sottolineare che la Chiesa può essere sì immaginata come un edificio spirituale costituito da “pietre vive”, come una comunità di sacerdoti, re e profeti, ma occorre sempre ricordare che non esiste popolo se non c’è misericordia, prima ricevuta e poi donata. Detto altrimenti la 1Pt sembra dire ai suoi lettori: vuoi essere un sacerdote? Bene, ma ricorda che la vera offerta gradita a Dio è quella della misericordia, come ha fatto Gesù nel suo sacrificio sulla croce! Vuoi regnare? Certo che puoi, ma sappi che il tuo regno è un regno di misericordia, non è di questo mondo, come ha proclamato Gesù a Pilato (cfr. Gv 18,36)! Vuoi parlare in nome di Dio? Allora ricorda a tutti gli uomini che Egli è misericordia senza fine, come già ha fatto Gesù nella sua predicazione.

Romagnoli 02Da un Francesco all’altro.

Innocenzo III aveva sognato qualcuno che potesse risollevare le sorti della Chiesa.
Otto secoli dopo anche un altro Papa, questa volta di nome Francesco, fa un sogno. Anch’egli si trova a vivere in una situazione difficile dovuta a scandali e corruzione, a una perduta credibilità delle istituzioni ecclesiali, a un mondo che vive sul baratro di un conflitto indescrivibile. Anche oggi serve una vera e incisiva Riforma, c’è una Chiesa da risollevare. A quale architrave ci si può appigliare?
«L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza; nulla del suo annuncio verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole» (Misericordiae Vultus, 10). La Chiesa è un edificio, ci dice la 1Pt, e come tutti gli edifici con il tempo si logorano. Alcuni vorrebbero che la riforma partisse dalla riaffermazione convinta dell’immutabile patrimonio di idee e princìpi inalienabili (o “non negoziabili”); altri vorrebbero una forte presa di posizione identitaria in contrapposizione a certi fenomeni religiosi fanatici sempre più aggressivi.
Papa Francesco percorre un’altra via. Se vogliamo riformare la Chiesa, occorre ricordarle chi essa è: un popolo convocato perché ha ricevuto misericordia da Dio. «La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia… e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice» (Dives in misericordia, 13).