L’importanza delle radici

Intervista a padre Ezio Venturini, missionario in Turchia

Rubrica in Missione 02-Efeso-Tomba-di-San-Giovanni-foto-Ivano-PuccettiL’esperienza missionaria di padre Ezio Venturini è singolare, perché dopo aver ricoperto il ruolo di segretario dell’Animazione missionaria per alcuni anni, è partito come missionario, incontrando realtà diverse, da quella sudafricana a quella turca, dove vive attualmente a Bayrakli. Mettendo insieme tutte le realtà missionarie conosciute, prima come segretario e poi in prima persona, è possibile costruire una sorta di album fotografico delle missioni cappuccine di questi ultimi decenni. Con lui ho provato a inserire nelle pagine di questo album qualche istantanea, sulla base di ciò che più lo ha colpito.

Parto dai tempi in cui ero segretario delle missioni e spesso visitavo l’Etiopia. Uno degli aspetti che più mi colpiva erano le comunità molto numerose, che stavano crescendo ed erano anche molto vivaci. La difficoltà maggiore per me era la non conoscenza della lingua locale, perché non è facile comunicare attraverso i catechisti. Questo era un limite importante, di cui ero ben consapevole, ma di certo l’aspetto che mi colpiva maggiormente era proprio la crescita impressionante e rapida di quelle comunità. Per quanto riguarda il Sudafrica, anche se come cattolici eravamo la minoranza, le comunità erano decisamente bene amministrate e i fedeli erano molto coinvolti nella gestione della parrocchia. Dove ero missionario, a Port Elizabeth, nella vita della parrocchia di Malabar i laici avevano un peso preponderante, attraverso il Consiglio pastorale, il Consiglio economico. Anche vari ministeri venivano portati avanti dai laici, che erano coinvolti anche nella catechesi.
L’organizzazione dell’intera chiesa locale era buona o si trattava di una parrocchia particolare?§
Era tutta la chiesa locale ben organizzata, così come la parrocchia dove sono arrivato e dove ho avuto solo il “problema” di inserirmi in un lavoro già avviato, favorendo l’ingresso di qualche figura nuova, magari in sostituzione di qualcuno che aveva affrontato nuovi impegni, e che non poteva più sostenere altre attività nell’ambito parrocchiale. Ricordo che un aspetto molto bello era rappresentato dai diaconi sposati, presenti in gran numero, perché il vescovo aveva puntato molto sulla valorizzazione di questo importante ministero, attraverso una formazione molto lunga e quindi anche selettiva, che li portava ad avere una ottima preparazione, decisamente utile per portare avanti le attività della parrocchia. Pur essendo comunità molto vive, il numero di sacerdoti del clero locale era decisamente esiguo, con poche vocazioni. L’esatto contrario dell’Etiopia dove sia le vocazioni sacerdotali che religiose erano molto numerose. In Sudafrica - come anche in Etiopia - i cattolici erano una esigua minoranza, anche se i cristiani erano molti. Ho lasciato Port Elizabeth quando le vocazioni cominciavano a muoversi, grazie anche al vescovo che operava molto bene, nel valorizzare i laici impegnati.
Per quanto riguarda la Turchia, dove vivo ora, la minoranza diventa davvero esigua e le comunità sono piccole, se non piccolissime, tanto che a volte si tratta solo di una dozzina di persone. Cinquant’anni fa - mi dicono i missionari più vecchi - le comunità erano molto più numerose e vivaci, perché formate dai levantini (cattolici di origine straniera) e anche nella chiesa di Bayrakli si celebravano eucaristie con duecento persone, con anche il coro e molti laici impegnati. Poi, per varie ragioni, hanno abbandonato la zona per altre considerate più sicure, col risultato che alcune parrocchie si sono ingrossate mentre altre, come quella dove sono io, hanno perso quasi tutti i fedeli.
Rubrica in Missione 03-Ezio-in-Etiopia-foto-di-Ivano-PuccettiLa parrocchia di Bayrakli è nuova o sei andato a sostituire qualcuno che se ne è andato?
La parrocchia faceva già parte della Custodia dei Cappuccini dell’Emilia-Romagna, che ora è diventata una Delegazione (vedere MC n. 2/2015); a dire il vero è una delle poche parrocchie della Delegazione. Il nostro scopo è di mantenere in vita le poche parrocchie e gli ambienti che abbiamo, anche perché se li si abbandona vanno perduti. Non è pensabile infatti affidare, come capita altrove, le opere al clero locale, perché in pratica non esiste e le strutture sarebbero incamerate dallo Stato da cui sarebbe impossibile riprenderle.
Quello che mi colpisce della Turchia, è che lì è iniziata la predicazione e la diffusione alle genti della nostra fede. In Sudafrica non era certo così, mentre in Etiopia forse si poteva provare qualcosa di simile solo in alcuni posti più antichi al nord, anche se non era la stessa cosa. Le origini del cristianesimo - penso a Efeso, a Tarso, ad Antiochia, alle sette chiese dell’Apocalisse - sono in Turchia; nel sentirsi parte di una storia così importante si trova la forza per continuare, anche se ci si sente inevitabilmente “un piccolo resto”. Va detto comunque che, per quanto esigua minoranza, siamo benvoluti dalla popolazione turca e anche a Bayrakli tutti sanno dov’è la chiesa cattolica e ogni tanto qualcuno arriva in visita o vengono ad invitarci per le loro celebrazioni, come al tempo del Ramadan, quando ci invitano alle cene al termine del digiuno, come segno di rispetto nei nostri confronti.
I fedeli che frequentano la parrocchia di che origine sono?
Sono ancora oggi turchi levantini, anche se sono calati molto di numero. Un tempo, quando la comunità cristiana era più numerosa, si celebravano anche i matrimoni all’interno del gruppo, mentre oggi sono sempre più frequenti le unioni tra cristiani e musulmani.
Nella mia piccola parrocchia quest’anno ho celebrato un battesimo e tre prime comunioni e per me è un risultato importante. D’altra parte, con una piccola comunità, sono ridotte anche le possibili attività che, essenzialmente, ruotano attorno alla celebrazione delle liturgie, al catechismo e agli incontri periodici del gruppo di preghiera di Padre Pio, che si riunisce tutte le settimane per un’ora e mezza di preghiera. Un momento simpatico, dedicato al fare comunità, è la domenica dopo la messa, quando ci troviamo per festeggiare con tè e biscotti. Da qualche tempo si è aggiunto un gruppo di famiglie polacche che ha chiesto di potersi riunire nelle sale della parrocchia due volte al mese. Tra le altre cose hanno chiesto che venga fatto il catechismo ai loro bambini e per questo, grazie a Dio, si sono resi disponibili due frati polacchi presenti in zona.
In Sudafrica la maggior parte della comunità cristiana che frequentava la parrocchia era di origine indiana, trapiantata là nel 1850 per coltivare la canna da zucchero, mentre in Turchia ho trovato fedeli di origini levantine. In tutte e due le realtà si tratta di persone per cui il legame con la terra di origine è molto sbiadito, ma pur sempre legato a migrazioni.
Non tutte le chiese hanno comunità così piccole; tra le più importanti ve ne sono alcune in cui alle celebrazioni possono esserci anche tre o quattrocento persone, ma in genere la situazione è quella di una piccola minoranza. Ma davvero in Turchia quello che conta sono le radici su cui quella piccola minoranza può contare. Oltre ai luoghi che dicevo prima, sopra Efeso, secondo la tradizione, sulla collina dell’usignolo c’è la casa della Madonna, dove avrebbe trascorso gli ultimi nove anni di vita, portata lì dal discepolo Giovanni che è sepolto proprio a Efeso.
Il fatto che non tutte le comunità cristiane siano piccole lo dimostra il successo dei Dernek. Riconosciuti dallo Stato, i Dernek, che in italiano significa proprio Associazione, in Turchia stanno prendendo piede grazie alle chiese protestanti, richiamando anche molti turchi, attirati dalle tante attività proposte. Si tratta certamente di una realtà interessante anche se rimangono delle perplessità importanti: per ricevere il battesimo da noi occorrono anni di preparazione, mentre da loro bastano pochi mesi, a scapito della conoscenza. Questo non toglie che i Dernek rappresentino una proposta davvero interessante, in grado di mettere insieme l’aspetto aggregativo con la preghiera, con la possibilità di concludere con la liturgia i vari incontri.
Certo in Turchia, diversamente dall’Etiopia e dal Sudafrica, è una forte limitazione non poter predicare al di fuori della chiesa, dove qualsiasi testimonianza evangelica è vietata. L’unico luogo in cui è consentita la testimonianza ed è possibile portare anche il saio è Meryemana, la casa della Madonna sopra Efeso. È lì che ho trascorso il primo anno di missione in Turchia; un luogo davvero emozionante, con oltre un milione di visitatori all’anno, molti dei quali di fede islamica, che pregano accanto a cristiani ortodossi e cattolici, riconoscendo, in un certo senso, in Maria una figura capace di unire fedi diverse.