Minorità

Minorità fa rima con umiltà. Di persone davvero umili ce n’è poche in giro: io, voi e pochissime altre... Ma se proprio vogliamo allargare il nostro ristrettissimo club, bisognerà che ne parliamo di queste due parole tipiche del francescanesimo, anche se non è affatto facile.

Dino Dozzi

Minore, a fianco dell’ultimo

Vivere umilmente valorizza gli altri e crea empatia e fratellanza 

Rendere gli altri degni di essere amati

Rubrica Parole francescane 01-foto-di-Ivano-Puccetti«Siano chiamati frati minori»: così ha scritto Francesco nella Regola non bollata (VI,3: FF 23) e così conferma nella Regola bollata (I,1: FF 75). Un nome che è un programma: prima di tutto ‘fratelli’ e poi ‘minori’.

Dice la grammatica che ‘minori’ è un comparativo, ma qui manca il comparato: minori di chi? Di tutti. Come la povertà e come la fraternità, anche la minorità è un modo di rapportarsi con gli altri. Purtroppo questa dimensione relazionale fu a volte dimenticata nel corso della storia, riducendo la minorità ad un titolo onorifico di cui fregiarsi, magari con feroci battaglie “fraterne” per stabilire quale gruppo francescano ne fosse il titolare più autentico.
Tra di loro - scrive Francesco - i frati si sentano minori gli uni degli altri, si obbediscano vicendevolmente (cf. Rnb V,13-14: FF 19) e: «l’uno lavi i piedi dell’altro» (Rnb VI,4: FF 23). Rispetto alle persone che incontrano, dovranno essere minori e sottomessi a tutti: potranno fare qualsiasi tipo di lavoro onesto anche nelle case di altri «ma siano minori e sottomessi a tutti coloro che sono in quella stessa casa» (Rnb VII,2: FF 24). Per i frati che vanno in missione, Francesco scrive che il primo modo di evangelizzare sarà «che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (Rnb XVI,6: FF 43). Il suo Saluto alle virtù si conclude con un inno alla obbedienza-minorità: «Allora egli è suddito e sottomesso a tutti gli uomini che sono nel mondo, e non soltanto ai soli uomini, ma anche a tutte le bestie e alle fiere, così che possano fare di lui quello che vogliono, per quanto sarà loro concesso dall’alto dal Signore» (Salvir 15-18: FF 258). Questa è un’obbedienza totale e universale che può derivare solo da una minorità totale e universale.
La minorità per Francesco deriva dall’umiltà, che egli contempla in Dio - “Tu sei umiltà” dice nelle Lodi di Dio Altissimo (LodAl 4: FF 261) - e che vuole imitare con i suoi frati: «Tutti i frati si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo» (Rnb IX,1: FF 29). L’umiltà fa vedere gli altri degni di essere amati e serviti e fa vedere se stessi gioiosi debitori di questo amore e di questo servizio a tutti: «E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada» (Rnb IX 2: FF 30).

Senza giudicare nessuno

Rubrica Parole francescane 02-foto-di-Ivano-PuccettiSe l’umiltà è la radice o il terreno su cui può crescere la minorità - come, d’altra parte, ogni altra virtù - la fraternità è il suo frutto. Va detto con chiarezza per evitare eventuali dogmatismi rigoristi e fondamentalismi di tipo talebano: la povertà e la minorità non sono fini a se stesse, ma sono le condizioni per una autentica fraternità. Francesco si scopre e si sente figlio di Dio e quindi fratello di tutti. Per esprimere e vivere questa fraternità universale in modo reale e credibile, egli scende e invita a scendere al livello degli ultimi (minorità); una condizione importante per restare al livello degli ultimi è rinunciare al potere che deriva dall’accumulo del denaro e delle ricchezze (povertà). Partendo dal basso, la trafila è questa: poveri per essere minori sempre e di tutti, minori per essere fratelli sempre e di tutti. Povertà, minorità e fraternità sono e vanno tenute intimamente collegate per non farne degli idoli magari ammantati di sacro e non crearsi ideologie fuorvianti.
Una verifica di autenticità per la minorità - ma vale anche per la povertà e per la fraternità - si ha nella capacità di non giudicare gli altri. Perché sarebbe semplicemente ridicolo ritenersi minori di tutti e poi giudicare tutti dall’alto della propria (presunta) perfezione ascetica. La piccola parabola evangelica del fariseo e del pubblicano che salgono al tempio per pregare dice chiaramente come la pensa Gesù.
Francesco raccomanda ai frati la povertà, la minorità, l’austerità ma aggiunge subito: «Li ammonisco però e li esorto a non disprezzare e a non giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti morbidi e colorati e usare cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso»” (Rb II,17: FF 81); e quando vanno per il mondo i frati «non giudichino gli altri, ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili» (Rb III,10-11: FF 85), «e colui che mangia non disprezzi colui che non mangia, e chi non mangia non giudichi colui che mangia» (Rnb IX,12: FF 32). Ci può essere chi è più austero e chi meno, chi più scrupoloso e chi più libero, ma il criterio vale per tutti: giudicare e disprezzare gli altri significa aver perso l’autentica minorità e la vera fraternità. Non basta espropriarsi di abiti ricchi e privarsi di cibi succulenti, occorre espropriarsi anche e soprattutto dell’abito dell’orgoglio e dell’abitudine al giudizio e al disprezzo, non raramente mascherata da profetismo e spiritualismo.

Parole da vivere

Chi legge queste pagine potrà forse dire che la minorità riguarda i frati. E invece no. Nella sua Lettera a tutti i fedeli Francesco scrive: «Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti (servi et subditi) ad ogni umana creatura per amore di Dio» (Lfed 47: FF 199). E questa è la minorità.
Nel presentare le “parole francescane” cito spesso gli scritti di san Francesco, e mi accorgo ora che tali citazioni sono più numerose in questa parola ‘minorità’. Come mai? La risposta è semplice. Parlare di fraternità è abbastanza facile, perché mi piace sia l’idea sia quel po’ che riesco a fare; parlare di povertà è già più difficile, perché altro è parlarne altro è viverla davvero; parlare poi di minorità è difficilissimo, perché divento rosso ad ogni riga che scrivo. Meglio dunque far parlare lui, san Francesco. Spero comunque che non sia del tutto inutile cedergli la parola su questi temi difficili, presentare il suo esempio e partecipare ad incontri dove in tanti, dopo esserci scoperti molto lontani dai veri poveri e dai veri ultimi, magari troviamo il coraggio di rimboccarci umilmente le maniche per scendere la scala e arrivare a guardare negli occhi i tanti che sono laggiù in fondo, magari anche solo per stringere per una volta la loro mano. Forse servirebbe un po’ a loro, ma soprattutto a noi.