Fioretto cappuccino 

Come frate Marcellino fu tentato nella carne e salvato da una bicicletta 

Rubrica in Convento 03-Marcellino-disegno-Cesare---MC-7-FiorettiFrate Marcellino, fresco dei voti emessi al termine del noviziato a Cesena, era in attesa di fare anche lui l’esperienza comune ai fratelli laici: la questua. Dopo aver appreso dai frati più esperti i segreti del “mestiere”, venne anche per lui il tempo di percorrere la campagna cesenate per la questua di primavera, le uova. Il convento disponeva di una vecchia bicicletta da donna, senza fanale - i frati non vanno in giro di notte -, e frate Marcellino, sapendo che le strade di campagna erano in terra battuta, per precauzione ne gonfiò le gomme, oliò ben bene gli ingranaggi, verificò che il campanello trillasse a dovere, e fissò dietro il sellino, sul parafango della ruota posteriore, una capiente cassetta con uno strato di sabbia sul fondo. Infine controllò i freni, trovandoli quasi fuori uso: «Poco danno - si consolò - andrò adagio e frenerò con i piedi». E si avviò.

Dallo stradello dissestato che dal convento scendeva ripido verso la strada asfaltata spuntavano pericolosi sassi aguzzi e numerosi erano i solchi scavati dalla pioggia, ma frate Marcellino, stringendo a tutta forza le leve dei freni e strisciando un piede sul fondo stradale, riuscì ad arrivare intero in fondo. Attraversò la città e di pedalata in pedalata si ritrovò sulle strade della generosa campagna cesenate, dove poteva finalmente respirare l’aria profumata dei campi e ammirare i prati in fiore, che gli apparivano come la tavolozza di un pittore. Pedalava senza fretta, in pensiero sull’accoglienza che avrebbe ricevuto nel presentarsi alle case, lui così giovane e ancora imberbe, a chiedere l’elemosina. Brava gente i romagnoli, senza dubbio, se non che, appena scorgono una tonaca, sfogano sul malcapitato un paternoster di parole irriverenti ereditate dai loro avi. Frate Marcellino si faceva coraggio col ripetersi che i contadini erano meno prevenuti, perché, quando andavano a confessarsi dai frati, li trovavano sempre di manica larga.
Rubrica in Convento 04-Marcellino-restauratore---MC-7-FiorettiQuando vide la prima casa, rallentò l’andatura e, giunto sull’aia, tirò più che poté i freni strisciando i piedi a terra, scese, appoggiò la bicicletta al muro e, trattenendo il respiro, bussò alla porta. Gli aprì una donna, che al vederlo esclamò: «Oh, ‘ch bèl fratén! L’é què a la zérca dagl’ôv?» (Oh, che bel fratino! È qui alla cerca delle uova?). Frate Marcellino, rassicurato dal suo viso pacioccone, rispose con una parola sola: «Chiaramente!». La donna entrò in casa e quando ne uscì reggeva in mano un cestino con diverse uova di colore rosato. «San Francesco le renda merito!», disse frate Marcellino, che non si aspettava quel ben di Dio in una sola volta. Depose a una a una le uova sulla sabbia della cassetta, separandole con carta di giornale per evitare che cozzassero tra loro.
Incoraggiato da questo primo incontro, salì di nuovo sulla bicicletta e si diresse verso la casa vicina, più grande, segno di una famiglia numerosa. Anche qui si annunciò bussando alla porta semiaperta. Dopo qualche istante si affacciò un’azdóra (massaia) dal viso polposo e rubicondo: «Oh, fratén, mé an l’ho mai vést préma. Un l’è brîsa e fré dl’an!» (Fratino, io non l’ho mai visto prima. Non è mica il frate dell’anno scorso!). Frate Marcellino rispose: «Sì, è la prima volta. Quest’anno alla cerca hanno mandato me. Mi hanno detto che in questa stagione le galline fanno tante uova e che la gente è generosa!». Poi aggiunse: «Ne ha qualcuna anche per i poveri frati?». La donna dal viso florido lo fissò ben bene, e non si trattenne dal dire la sua, quella che gli frullava per la testa da quando aveva visto quel fratino così giovane: «E mé fratén, ló l’è trop zóven, un l’ha d’andé a la zérca dagl’ôv, ma d’èter!» (Il mio fratino, lei è troppo giovane, non deve andare a cercare delle uova, ma di altro!). E aggiunse: «C’al vègna in cà» (Venga in casa).
Frate Marcellino, che non aveva mancato di lanciare un fugace sguardo a una burdèla (ragazza) dal viso fresco di gioventù intenta a sciacquare i panni alla fontana, era diventato un po’ rosso, perché aveva colto molto bene il significato dell’antifona. Quando fu in casa, la donna ribatté il chiodo: «Ch’s al va in zîr ló, acsé zovén e bèl, par dagl’ôv? Ch’al vaga ben a la zérca d’èter» (Che cosa va in giro lei, così giovane e bello, per delle uova? Vada bene in cerca di altro). Frate Marcellino si fece ancora più rosso del viso rubicondo della donna, e un’ombra di imbarazzo gli passò sul volto: «… Signora, ognuno ha la sua strada. La mia… a me… va bene così!». La donna, intenerita come di fronte a un figlio, lasciò perdere e gli disse: «Ch’al sènta! Ló al sta què, e a la zérca i andràn i mé fiôl» (Senta! Lei rimane qui. E alla questua vi andranno i miei figli). Frate Marcellino si sentì sollevato dal fatto che l’azdóra avesse lasciato perdere le sue proposte terrene e… seducenti.
La donna diede una voce ai suoi uomini intenti a lavorare nella stalla e li sguinzagliò per le case vicine alla questua di uova per il fratén. Doveva essere certamente una donna dal carattere forte e autorevole, perché i figli non fecero storie. In attesa frate Marcellino si era messo a discorrere con la donna, curiosa di sapere dove fosse nato e chi gli avesse messo in testa di entrare in convento. Frate Marcellino le parlò delle sue montagne nel Montefeltro, della vita disagiata che si viveva lassù, e poi della sua entrata in seminario a dieci anni, e come fosse poi divenuto frate, cambiando il nome di battesimo, Gino, in Marcellino. La donna ascoltava con interesse, e ogni tanto ribadiva il suo vecchio pensiero: «Acsè znén! Adèss l’è carsù. In zîr ui è tant bèli burdèli!» (Così piccolo! Adesso è cresciuto. In giro ci sono tante belle ragazze). Frate Marcellino accennò un sorriso, abbandonando l’iniziale disagio per il calore di quella accoglienza così umana. Finalmente uno a uno i figli ritornarono, ciascuno con tante uova. Frate Marcellino si perdeva in ringraziamenti mentre collocava con cura le uova nella solita cassetta, separandole anche questa volta con carta, finché divenne quasi piena.
Prima di ripartire, frate Marcellino, alquanto confuso, ringraziò tutti come gli riuscì, mentre la donna cordiale e generosa gli fece un ultimo sorriso malizioso, come per dirgli: «Siamo intesi!». Risalì sulla bicicletta e si avviò verso casa senza voltarsi indietro, evitando con cura le buche della strada, fatali per le uova contenute nella cassetta. Il tratto in salita e lo stradello disastrato che conduceva al convento li fece a piedi, reggendo di lato la bicicletta e attento a non inciampare, perché la frittata voleva farla in cucina non per la strada. Attraversando il portone d’entrata, trasse un lungo sospiro. Nella sua mente si rincorrevano ancora le parole della donna dal viso tondo e rubicondo: «In  zîr ui è tant bèli burdèli!» (In giro vi sono tante belle ragazze), e vi faceva capolino l’immagine seducente della burdèla alla fontana. Non ci voleva una donna esperta della vita come un’azdóra a fargli notare che vi erano creature ben più attraenti e appetibili delle uova da mettere in padella per la cena o sotto calce per l’inverno.
Frate Marcellino seguitò nei giorni seguenti ad andare alla cerca di uova, stando sul chi va là quando si imbatteva con donne “troppo premurose”, e ora, anche se di anni ne ha già sgranato più di un rosario e da tempo ha abbandonato il lavoro “pericoloso” della questua per darsi alla pittura di cui è maestro, ricorda ancora l’azdóra incontrata nella campagna cesenate e gli ritorna negli occhi la burdèla alla fontana, ma è grato alla vecchia bicicletta senza fanale del convento, che lo aveva allontanato dalla… seduzione della carne.