Evasione, la parola incantata

L’esperienza di scrivere e leggere in carcere

a cura di Fabrizio Zaccarini
vicemaestro dei postulanti cappuccini a Lendinara
 

Leggersi dentro, scrivere fuori

Zaccarini 01-foto-di-Silvia-Cavedoni«Il luogo non è molto distante,/ l’inchiostro scorre al posto del sangue,/ basta una penna e rido come fa un clown», canta Caparezza. Per questo Chiara Giannelli e altri volontari dell’associazione bolognese “Poggeschi per il carcere”, associazione fondata dal gesuita Fabrizio Valletti, attualmente residente a Scampia, hanno pensato di proporre ai detenuti del carcere della Dozza un laboratorio di giornalismo. In carcere l’inchiostro può prolungare la corsa del sangue?


«Sì, credo proprio di sì», mi risponde Chiara, «ma il nostro primo obiettivo è portare dentro quelli che stanno fuori. Con il nostro laboratorio vogliamo mettere i giovani universitari in contatto con il mondo del carcere. Facendo incontrare due parti di società che normalmente non si incontrano, possiamo aiutare giovani di 20-25 anni, che domani potrebbero essere avvocati, giudici, professionisti, a formarsi una coscienza sui temi della colpa, della misericordia. Si possono scoprire tanti punti di contatto con quelli che sono considerati i cattivi e, spesso, sono invece semplicemente i rifiutati, quelli che vivono ai margini. Poi il nostro laboratorio vuole aiutare i detenuti a custodire le relazioni, a interiorizzare il valore che ogni persona è. L’obiettivo è che siano loro a raccontare la vita in carcere. Perciò li aiutiamo a documentarsi e a scrivere, poi ogni settimana escono uno o due articoli sul portale www.bandieragialla.it nella nostra rivista “Ne vale la pena”». MC lascia la parola alla redazione di “Ne vale la pena”, ai detenuti della Dozza.

 

Amico muro

Qui, ognuno di noi ha la sua storia da raccontare. Le persone, le cose a cui tieni, stanno dall’altra parte del muro. Lui ti separa da tutto, ma raccoglie le tue imprecazioni, i tuoi lamenti, ma anche le tue speranze, i tuoi sogni futuri.

Chi in un modo, chi nell’altro, siamo tutti alla ricerca di noi stessi, di un perché, di un senso da dare alla nostra esistenza, ma tutti dobbiamo fare i conti con il nostro destino. Il destino, l’insieme imponderabile delle cause che hanno condizionato le fasi della nostra esistenza. Come un grande tetto che sta sempre sulle nostre teste e non ci abbandona mai. Ma è il destino che decide per noi, oppure siamo noi che possiamo cambiarlo con le nostre scelte?

In fondo questi muri sono compagni, che ti aiutano a riflettere, a confrontarti con te stesso, anche a maturare. Forse ti insegnano qualcosa.

Francesco Carrubba

 

Foglie

Il vento soffiava forte, loro provavano a resistere. Ma era una lotta impari, Lui le strappava dai loro rami, le faceva volare per decine di metri. Lontano dalla loro pianta madre. Quando si placava per qualche istante, come se volesse prendere fiato, le faceva scivolare, cadere in giù, verso il basso, fino al suolo. Poi ricominciava a soffiare, le raccoglieva in isterici vortici, le mescolava fra loro, le depositava in mucchietti misti, di forma e colore. Poi le riprendeva nelle sue braccia, le sparpagliava, le rimescolava e ne faceva altri mucchietti. Fino a quando era stanco, esausto, non andava via, lasciandole lì, dove capitava, ammassate, mischiate, tutte insieme. Di forma e razza diversa. Erano foglie, seghettate, palmate, dentate, fesse, tutte diverse. Anche quelle nate degli stessi rami, dalla stessa pianta non erano uguali. Più piccoli, più grandi, rosicchiate da qualche bruco. Tutte diverse fra loro, ognuna rara, a modo suo unica.

Noi detenuti siamo come quelle foglie, tutte diverse fra loro, anche quelle che possono sembrare uguali non lo sono. Ognuna con la sua forma, ognuna arriva dalla sua pianta madre, dal suo ramo. Portati, mescolati e ammucchiati fra noi da una tempesta di vento, restiamo vicini per qualche tempo, ci conosciamo, ci scambiamo qualche raro momento di vita, ci raccontiamo. Fino a quando un altro colpo di vento ci porta via. E molto probabilmente non ci incontreremo mai più. Ognuno raccolto dal proprio vento.

Michelangelo

 

Evasione?

Chiedo ai compagni di sezione: “Cos’è per te l’evasione?” e spiego che con le loro risposte ci voglio fare un articolo. Ovviamente loro resteranno tutti anonimi e io userò uno pseudonimo.

«Se l’alternativa a vivere questo presente è la morte, allora anche questa è vita».

«L’evasione è sofferenza perché mi ritornano in mente cose che non posso avere. Cerco di immergermi più che posso nella realtà del carcere perché mi sento “istituzionalizzato”».

«Evadere è pensare al mio futuro fuori dal carcere, insieme alla mia famiglia».

«Andare a scuola mi trasmette una sensazione fisica di normalità».

«Quando sono in fabbrica, il lavoro mi assorbe così tanto che mi distacco totalmente dalla realtà carceraria».

«Delle volte mi accorgo che è solo l’idea di un’altra vita a tenermi avvinghiato a questa».

«Andare con mio figlio in una fattoria piena di animali, senza alcun collegamento con il resto del mondo, spegnendo telefonino, televisione, ecc...».

«Cerco di non evadere perché è sempre dolore, qualunque cosa si pensi o si ricordi».

Ascoltando l’ultima risposta mi ritorna subito alla mente una frase di Lord Byron:“Il ricordo della felicità non è più felicità. Il ricordo del dolore è ancora dolore”.

Addis

 

Zaccarini 02-foto-di-ottaniDolce evasione!

Sono fuori in permesso premio. Non ho dormito quasi tutta la notte, forse perché il materasso era morbido… dopo tutti questi anni a dormire in una branda, mi ci vuole un po’ ad abituarmi a un letto vero. Questa sera, è la mia serata. Sono emozionato e preoccupato, davanti a me c’è un pubblico curioso ed interessato, “stai tranquillo, sono con te”, mi dice Ilaria. C’è la presentazione de “La dolce Evasione”, il libro che raccoglie le ricette che ho scritto durante questi anni, da quando faccio parte del laboratorio di giornalismo. Oggi scrivo una ricetta per voi, magari quando esco in permesso la preparo per mangiarla insieme a voi.

Ingredienti: 3 dischi di pan di Spagna/ 300 gr. di yogurt/ 50 gr. di miele (colato in una terrina finché non diventa una crema densa)/ 100 gr. di burro/ 100 gr. di zucchero a velo/ 100 gr. cioccolato fondente

Preparazione: Lavoriamo il burro per ammorbidirlo con lo zucchero a velo, finché non diventa cremoso, mescoliamo il cioccolato con200 grammi di yogurt e miele e facciamo una crema. Spalmiamo sul primo disco di pan di Spagna la crema di burro e adagiamo sopra l’altro disco e versiamo metà della crema di yogurt. Adagiamo poi l’ultimo disco di pan di Spagna e sopra spalmiamo il resto di crema allo yogurt con il cioccolato. Mettiamo in frigo per un paio d’ore prima di servire, decoriamo con la restante crema di yogurt senza zucchero. Buon appetito!

Gazmend Kullav

 

Forse è vero, almeno un po’, magari soprattutto per chi sta in carcere, come per Caparezza: «China Town, (la città dell’inchiostro ndr)/ il mio Gange/ la mia terra santa/ la mia mecca./ Il prodigio che dà voce a chi non parla/ a chi balbetta».