Fiat sudore della fronte

Doni, difficoltà e modalità storiche della lettura della Bibbia

di Piero Stefani
docente di ebraismo alla Pontificia Università Gregoriana e Presidente di Biblia

Un brano ispirato

Stefani 01Il Prologo di Giovanni racconta in diciotto versetti una storia che abbraccia in se stessa creazione, rivelazione, incarnazione e redenzione. Non solo, riesce a dare spazio anche alla testimonianza di Giovanni Battista: «in principio era il Verbo (...) tutto è stato fatto per mezzo di lui (...) Veniva nel mondo la luce vera che illumina ogni uomo (...) E il Verbo si fece carne (...) Giovanni gli dà testimonianza e proclama (...) Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia» (cf. Gv 1,1-16). Questa straordinaria sintesi è stata resa possibile dal fatto che il protagonista è uno solo: il Logos (Parola).


Il Prologo è un brano ispirato, per questo è in grado di racchiudere in poche righe l’intera storia del rapporto tra Dio e mondo. Simili concentrazioni non sono alla nostra portata. Non fa eccezione il compito di proporre, in un paio di paginette, la storia della lettura della Bibbia. In realtà l’operazione potrebbe anche essere tentata, ma solo a patto di parlare al singolare di «lettura». Tuttavia, quando ci si muove in prospettiva storica, si è obbligati a ricorrere al plurale: ci sono molte, varie e a volte persino reciprocamente incompatibili letture della Bibbia.
In effetti esiste un ambito nel quale non è improprio rivolgersi al singolare. Ciò non significa che in esso non vi sia pluralità. Tuttavia si tratta, per ricorrere a una immagine musicale, di variazioni sul tema. Si è, dunque, davanti a una molteplicità riconducibile a unità. Ciò avviene quando ci si muove all’interno di una tradizione. Per spiegare quanto fin qui si è cercato di dire, ricorriamo a un brano del concilio Vaticano II: «perciò dovendo la Santa Scrittura essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e alla unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede» (Dei Verbum, n. 13). 
Appellarsi allo Spirito non significa sostenere che la Bibbia sia piovuta dal cielo bella e fatta o che sia sorta come un dettato indirizzato, parola per parola, all’autore sacro. Per provare che il Concilio la pensava diversamente è sufficiente citare un altro passo tratto dal paragrafo undici della Dei Verbum: «Per la composizione dei Libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva che fossero scritte». Vale la pena di sottolineare che la formula «veri autori» era, allora, del tutto inedita nel lessico dei pronunciamenti ufficiali della Chiesa cattolica.

Dentro la Tradizione, aiutati dallo Spirito

Cosa si intende con il fatto che la Scrittura va letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito con cui è stata scritta? Innanzitutto diciamo cosa la frase non vuol dire: tutto ciò non implica affatto indulgere alla prassi ingenua di chi, a fronte di un brano biblico, si mette in ascolto di quel che lo Spirito gli suggerisce come se si trattasse di un dono diretto e immediato. La frase significa invece leggere le Scritture all’interno della Tradizione viva della Chiesa. Il che non implica per nulla essere costretti a ripetere sempre le stesse cose.
Leggere la Bibbia all’interno della Tradizione e con l’aiuto dello Spirito attesta che l’incontro con la parola biblica è parte integrante della vita di una comunità di fede. Essa si alimenta nella misura in cui il testo scritto diventa «altro da sé» nell’ascolto, nella comprensione, nella preghiera e nell’esistenza dei credenti. Tutto ciò non avviene nell’immediatezza. Rispetto alla Bibbia vale, a maggior ragione, quanto Dante affermava per l’Eneide: «vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore / che m’ha fatto cercar lo tuo volume» (Inferno, 1,83-84). Studiare e amare un libro comporta cercarlo e scrutarlo.
Stefani 02C’è dell’altro. La Dei Verbum al numero otto dichiara che, con l’aiuto dello Spirito, la crescita della comprensione tanto delle cose quanto delle parole trasmesse avviene «sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cf. Lc 2,19.51), sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di verità». Senza ascolto reciproco i tre «sia» perdono senso e consistenza. Non si tratta di compiere una pura somma di addendi: questo più quello, più quell’altro. Al contrario ogni «sia» si dà unicamente in relazione con gli altri due. La predicazione episcopale è sterile se non presta ascolto alla meditazione e all’intelligenza della Parola presente nella comunità dei credenti. In modo analogo l’approfondita speculazione personale porta all’isolamento e al settarismo se non si confronta con la voce di chi presiede l’assemblea. È proprio in questo contesto, a un tempo plurimo e unitario, che la comprensione della Parola, raggiunta attraverso uno studio amoroso, diventa edificazione reciproca fruttuosa anche perché in grado di leggere i «segni dei tempi». Unità non significa però fissità e ancor meno acritica difesa del passato.

Mettere in preventivo la fatica

Tutto quanto fin qui detto vale se c’è il singolare «lettura»; ma non è solo così. Esistono, lo sappiamo, molti modi culturali di leggere la Bibbia. Essi sono inseriti nella storia senza presentarsi come espressioni dirette e comunitarie della Tradizione. Quando sono consapevoli, queste letture sono tutte accomunate da un convincimento di fondo, sanno che non si tratta di un’operazione facile. Non lo è né quando ci si accosta direttamente al testo, né quando si guarda a esso in modo mediato. Attorno alla Bibbia pesano due serie di difficoltà antitetiche: se ci si avvicina in presa diretta alla Scrittura essa, in molte delle sue parti, appare culturalmente legata a modalità di espressione remote, per noi ormai difficili da comprendere; al contrario, se si sceglie di avvicinare la Bibbia in maniera mediata, allora tra il lettore e il Libro si frappongono distese pressoché inesauribili di interpretazioni, apparati esegetici e filologici, approcci ermeneutici e così via. Ciò non vuol dire che studiare la Bibbia sia fatica vana, significa semplicemente che bisogna mettere in preventivo che bisogna far fatica.

__________________

Dell’Autore segnaliamo

I volti della misericordia, Carocci, Roma 2015, pp. 158.