«Il fratello universale»: così san Giovanni Paolo II definì san Francesco nel 1986 ad Assisi, nell’incontro di preghiera per la pace che vide riuniti tutti i principali capi delle religioni del mondo. È l’incontro fraterno che cambia le persone, a cominciare da se stessi, e così cambia il mondo. Fraternità è la parola più preziosa che Francesco scopre nel vangelo e che applica perfino a fratello lupo e sorella acqua.

Dino Dozzi 

Che il gruppo si cambi in fraternità

La fraternità è il luogo dove la perfezione si incarna collettivamente 

Rubrica Parole francescane 01-foto-di-Ivano-PuccettiImparare da tutti

Le parole che ritornano più frequentemente negli scritti di san Francesco sono Dominus (410 volte) e frater-fratres (306 volte).

Ponendosi di fronte a Dio padre di tutti, Francesco scopre ovunque dei fratelli e delle sorelle. Quando alcuni verranno per vivere con lui e come lui il vangelo, egli dirà: «Il Signore mi dette dei fratelli» (Test 14: FF 116). È la paternità universale di Dio a indicare i confini della fraternità, che dunque non ha confini; ed è il vangelo del Signore a dire come ci si comporta da fratelli di tutti. Per questo Francesco andrà oltre i confini istituzionali della fraternità per incontrare i ladri di Montecasale; uscirà dalle mura di Assisi per scendere giù nella piana a incontrare e mettersi al servizio dei fratelli lebbrosi; si spingerà oltre i confini della cristianità e della crociata per dialogare con il sultano.
Per dialogare con tutti, bisogna imparare la lingua di tutti. A proposito di quel ferocissimo lupo di Gubbio, il fioretto illustra splendidamente la capacità di Francesco di ascoltare seriamente le ragioni degli altri: il lupo è aggressivo perché ha fame, gli abitanti di Gubbio gli danno la caccia perché hanno paura. Se c’è la volontà sincera (volontà politica, dice oggi qualcuno) di trovare la soluzione, la cosa non è poi tanto difficile: basterà dare da mangiare al lupo, che diventerà mansueto e non farà più paura a nessuno. Quanti lupi, quante paure e quante guerre ci sono in giro! E quante barriere abbiamo innalzato e continuiamo ad innalzare per dividere, difendersi, contrapporre, tener lontani i diversi!

 Rubrica Parole francescane 02-foto-di-Ivano-PuccettiMai abbandonare un fratello

Il nemico della fraternità non è tanto il potere, quanto il dominio, l’utilizzare il potere non per servire ma per dominare gli altri. Il potere ci vuole. Se ne accorge ben presto anche Francesco che, visto il numero crescente dei frati, è costretto a mettere dei responsabili che hanno un potere: a loro gli altri fratelli dovranno obbedire. Ma non li chiamerà superiori o capi, bensì “ministri” che vuol dire “servi” e gli altri frati non saranno chiamati “sudditi”, ma “gli altri frati”. Francesco attinge dall’esempio di Gesù e dalla terminologia evangelica. Nei capitoli della Regola in cui parlerà dei rapporti all’interno della fraternità, parlerà dell’obbedienza ai ministri - altrimenti a che servirebbero? -, ma dirà che ancora più importante è l’obbedienza vicendevole, di tutti a tutti (cf. Rnb V,14: FF 20): questo obbedire al bisogno del fratello sarà il vero collante della fraternità.
Se il ministro comandasse qualcosa contro la coscienza, cioè contro la regola e il vangelo, il frate non potrà obbedire, ma non dovrà in nessun caso abbandonare il fratello ministro che ha perso la strada: il non abbandonare mai il fratello in difficoltà sarà chiamato “perfetta obbedienza” (Am III,9: FF 150). Francesco stesso si troverà a combattere contro la grande tentazione di separarsi dai fratelli che non vogliono seguire fedelmente la via della minorità. Ma come all’inizio aveva scelto di vivere il vangelo in una chiesa che non sembrava il luogo più adatto, alla fine della vita sceglie di restare in una fraternità che fa molta fatica a seguirlo con la radicalità da lui desiderata. All’eroismo personale Francesco preferisce la fatica di restare nel gruppo; alle regole preferisce i fratelli, persino quando, come nel brano della vera letizia, gli diranno «noi ora siamo tanti e tali che non abbiamo più bisogno di te» (FF 278).
A quel ministro che gli chiede di ritirarsi in un eremo perché i suoi fratelli gli sono di ostacolo ad amare il Signore Dio, egli risponderà di considerare le difficoltà che incontra come una grazia e di non desiderare che gli altri siano diversi, ma di amarli proprio così come sono. E ciò che consigliava agli altri era ciò che faceva. Nella Regola non bollata scrive di tenere le porte del cuore e delle case sempre aperte a tutti: «E chiunque verrà da loro, amico o avversario, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà» (Rnb VII,14: FF 26). E, sapendo che spesso è più difficile trattare da fratelli i confratelli che gli altri, aggiunge: «E ovunque sono i frati e in qualunque luogo si incontreranno, debbano rivedersi con occhio spirituale e con amore e onorarsi a vicenda senza mormorazione» (Rnb VII,15: FF 26).
Una delle caratteristiche tipiche e più umane di Francesco è il rispetto per l’altro e la valorizzazione di ognuno. Non aveva uno schema prefabbricato di come dovesse essere il perfetto frate minore: in ciascuno vedeva una dimensione unica e preziosa. Come frutto di questa osservazione attenta e amorosa seppe descrivere il vero francescano come realtà “in fieri” e sintesi di molti modi di vivere: la fede di Bernardo, la semplicità di Leone, la cortesia di Angelo, il buon senso di Masseo, la contemplazione di Egidio, l’orazione di Rufino, la forza di Giovanni, la pazienza di Ginepro… (cf. Specchio di perfezione 85: FF 1782). Verrebbe da dire che l’antropologia di Francesco non deriva e non si esprime nel singolo ma nella fraternità: servono tutte le tessere per comporre il mosaico.
La perfezione - “un autentico frate minore” - per Francesco non è un ideale astratto, ma il come ogni persona incarna nel miglior modo possibile qualcuna delle molte virtù. Questa perfezione non è patrimonio di uno, ma armonia di un gruppo di fratelli. Non si tiene conto della distinzione tra ordine soprannaturale e ordine naturale: quello che conta è quello reale. Le virtù dell’uomo esistenziale non esistono allo stato puro e possono essere accompagnate da controvalori: la forza fisica di Giovanni poteva essere accompagnata da una certa brutalità e la semplicità di Ginepro a volte cadeva nel ridicolo; ma questo non impedisce di apprezzare gli aspetti positivi di ognuno. È stato detto che Francesco non fu un grande organizzatore; per alcuni aspetti è vero; ma come organizzatore dei rapporti fraterni fu e resta eccezionale.

Simbolo di pace

Nel 1986 san Giovanni Paolo II, circondato da tanti altri capi religiosi, così introdusse una delle giornate più importanti del secondo millennio: «Ho scelto Assisi come luogo della nostra giornata di preghiera per la pace per il significato particolare dell’uomo santo venerato qui, san Francesco, conosciuto e rispettato da tante persone nel mondo intero come un simbolo di pace, di riconciliazione e di fraternità. Le nostre differenze sono numerose e profonde. In passato spesso sono state motivo di lotte dolorose. La fede comune in Dio ha un valore fondamentale: facendoci riconoscere tutte le persone come creature di Dio, essa ci fa scoprire la fraternità universale. Per questa ragione, con il nostro incontro di Assisi, vogliamo iniziare un cammino comune».
È quello che è stato chiamato lo «spirito di Assisi», che le «Parole francescane» vogliono coraggiosamente riprendere.