Fioretto cappuccino

Come frate Isidoro divenne «frate mitra»

Rubrica in Convento 04-Fioretto-cappuccino-disegno-di-Cesare-GiorgiFrate Isidoro, un uomo piccoletto e dall’aria ingenua, sapeva simulare molto bene alla bisogna la sua innocuità, tanto che chi l’avesse incontrato per la prima volta non concepiva il benché minimo sospetto su di lui.

Ma è proprio dai piccoli di corporatura che bisogna tenersi alla larga, perché riescono a fartela sotto il naso quando meno te l’aspetti e sanno cavarsela anche nelle situazioni più disperate.
Per sfuggire agli orrori della guerra che nel 1944 incombevano sul convento di Bologna, molti frati avevano lasciato il convento per trasferirsi in famiglia o presso canoniche, preferibilmente in zone montagnose, luogo più sicuro degli abitati più popolosi. Anche frate Isidoro si era rifugiato nel suo piccolo paese, Monteacuto Vallese, sulle montagne bolognesi. Ma fu come passare dalla padella alla brace. Tra quei monti agiva una formazione partigiana autoctona, la brigata «Stella Rossa», comandata dal famoso Mario Musolesi, detto Il Lupo, che impegnava le truppe tedesche in scontri mordi e fuggi, con conseguenti lutti e distruzioni per le popolazioni del luogo. Che fare? Frate Isidoro, tutt’altro che sprovveduto, avendo intuito che per le truppe tedesche i giorni erano contati, aveva fatto la scelta di unirsi ai partigiani. Questo non deve destare meraviglia, perché quasi tutti i componenti della brigata, erano originari di quei monti. Inoltre, nonostante il nome «Stella Rossa» voluto dallo stesso Lupo, quella formazione non aveva una colorazione nettamente politica, in quanto costituita dagli abitanti di quei paesi, gente semplice, che andava regolarmente a messa tutte le domeniche. Frate Isidoro venne così a sperimentare una vita fatta di precarietà e pericoli continui, ma confidava sempre nella sua buona stella, che non lo aveva mai abbandonato. Da buon cappuccino evitava di esporsi in azioni di guerriglia, perché ammazzare la gente, a qualunque sponda appartenesse, non era per lui. Per questo si limitava a fare l’informatore e a fornire armi e munizioni, reperite chissà dove.
Rubrica in Convento 05-Fioretto-cappuccino-Isidoro-partigiano-foto-archivio-provincialeUna mattina di luglio, dopo aver partecipato alla messa nell’oratorio San Rocco in cima a una collina, venne avvistato dai tedeschi con un altro frate e a due sacerdoti della zona, questi ultimi sospettati di favorire i partigiani, e fu catturato. Pure lui fu trasferito a Bologna, prima presso le Caserme Rosse e poi nelle affollate carceri di San Giovanni in Monte. Una vita dura quella di prigioniero, nel continuo terrore di essere deportati in Germania. Spinti dalla disperazione, alcuni detenuti proposero di fare una novena alla Madonna di San Luca, patrona di Bologna, per la loro liberazione, ma frate Isidoro, ormai più abituato alle parole non proprio canoniche dei suoi commilitoni partigiani che alle preghiere devozionali, non faceva mistero del suo scetticismo. A torto, però. Al nono giorno della novena, verso il mezzogiorno del 9 agosto, frate Isidoro e gli altri tre prigionieri di Monteacuto vennero scarcerati come soggetti innocui. Ma l’incredibile avvenne poco dopo, nella stessa giornata, quando tutti i carcerati di San Giovanni in Monte riuscirono a «evadere» in maniera rocambolesca. Si erano presentati al carcere due automobili nere, dalle quali erano scesi dei partigiani travestiti da ufficiali tedeschi e da militari fascisti con finti partigiani «catturati» da mettere al sicuro dietro le sbarre. Non fu difficile farsi aprire le porte del carcere e sopraffare la guardia tedesca, riuscendo a mettere in libertà più di 200 prigionieri, internati per motivi politici e delitti comuni. Frate Isidoro, di fronte all’evidenza, dovette ricredersi e si trovò, assieme a tanti altri evasi, a salire il lungo porticato che portava al Santuario di San Luca per ringraziare la Madonna.
Frate Isidoro, rientrato nel convento di San Giuseppe in Bologna, continuò la sua attività clandestina, dando rifugio a perseguitati politici e divenendo autore di nuovi colpi di mano. Un giorno un frate cappellano tedesco bussò alla porta del convento chiedendo di poter celebrare la messa. Frate Isidoro con un altro partigiano di fede socialista lo disarmò della pistola d’ordinanza, costringendo il soldato tedesco che l’accompagnava a consegnargli il suo fucile mitragliatore con le munizioni. La messa fu celebrata sotto l’occhio vigile di frate Isidoro e, quando ebbe termine, il cappellano e il soldato tedeschi dovettero ritornarsene senza le armi da dove erano venuti. Con ogni probabilità i due non denunciarono l’episodio, e il convento fu lasciato in pace.
Rubrica in Convento 06-Fioretto-cappuccino-foto-archivio-provincialeIl fucile mitragliatore scomparve poi nel nulla e nessuno sapeva dove fosse finito. Ma non frate Isidoro che l’aveva accuratamente nascosto non si sa dove nel convento. Rispuntò a guerra finita, la notte tra il 17 e il 18 agosto 1946, quando dei ladri avevano deciso di razziare il convento semidistrutto dal bombardamento alleato, sicuri che i frati dormissero sonni profondi. Non avevano però fatto i conti con frate Isidoro, che stava di guardia, intuendo i pericoli di un convento sventrato dalle bombe. Quando i ladri, con l’intento di scoraggiare un’eventuale reazione dei frati e avere così via libera, lanciarono contro una finestra una bomba a mano, frate Isidoro imbracciò il fucile e da un finestrotto poco lontano dal portone d’ingresso del convento sparò ripetute raffiche di mitra. Ma non si accontentò. Scorgendo nel buio i ladri in fuga, spalancò il portone e li rincorse sparando ancora a più non posso. Il rumore degli spari svegliò i vicini, che a buon conto si affrettarono a chiudere ben bene le finestre delle case. Era ancora viva la memoria di quei tristi rumori vissuti durante la guerra, ed era cosa prudente tenersene alla larga.
La notizia di quella sortita notturna non passò però inosservata, tanto che qualche giorno dopo i giornali ne diedero ampia notizia, interrogandosi però come i frati possedessero un fucile mitragliatore di tal genere. Anche le autorità preposte all’ordine pubblico se ne occuparono, ma per quanto la polizia facesse indagini, di quel fucile mitragliatore si era perso di nuovo ogni traccia. La «Domenica del Corriere», nel settembre 1946, dedicò all’episodio la copertina illustrata a colori, disegnata da Walter Molino, il quale lasciò volare la sua fantasia immaginando i frati imbracciare fucili o puntare pistole contro i ladri. Quando, invece, il tutto era stato opera di un solo frate «inoffensivo», piccolo e dell’aria innocente, frate Isidoro, che, quando un giorno, anni dopo, si recò a San Giovanni Rotondo per fare visita a Padre Pio, che mai aveva conosciuto, si sentì apostrofare con parole dure: «Frate mitra, non si uccide la gente!».
Anni più tardi frate Isidoro venne nominato cavaliere per le sue imprese partigiane, ma cavaliere o no, a lui importava essere riuscito a salvare la pelle nei giorni bui della guerra, perché di onorificenze «alla memoria» non avrebbe saputo che farsene. Continuò invece a essere un frate piccolo di statura e dall’aria ingenua. Ma non troppo.