Pubblica versus privata

I dilemmi della scuola, vissuti tiepidamente a più voci

di Alberto Casalboni e Nazzareno Zanni
frati cappuccini, già professori, Alberto in un liceo pubblico, Nazzareno in un liceo privato


La cartella clinica dei due moribondi

È sempre vero l’antico adagio, a maggior estensione corrisponde minor comprensione. Da quando la scuola è d’obbligo tutti i ragazzi, senza distinzione, sono soggetti a tale dovere/diritto: a risentirne quanto alla qualità è certamente la scuola pubblica.
Agli inizi degli anni Settanta ho cominciato a insegnare in una scuola pubblica, in una prima media di provincia, una brevissima esperienza: una classe vivace. Ricordo un alunno, biondo e piuttosto alto in rapporto ai coetanei. Mi avvicino, lo prego di comporsi, anche per rispetto dei compagni; comprende l’atteggiamento nient’affatto minaccioso, mi sorride e dice, vede professore, tra poco compio quattordici anni e andrò a fare l’idraulico, la scuola non mi interessa: mai per lui i genitori avrebbero cercato una scuola privata. E gli alunni affetti da vari handicap?
E tuttavia non è questo il momento di chiedere a due moribondi chi stia meglio o meno peggio: la scuola soffre, per infiniti motivi, non ultimi i tagli cui da tempo è soggetta: entrambe, pubblica e paritaria, vanno elemosinando scampoli di fondi, ma il vaso è vuoto. Ed è certo la scuola pubblica a risentirne di più, anche per l’inserimento di bambini e adolescenti, in ogni momento dell’anno scolastico, provenienti dalle varie immigrazioni, sprovvisti di conoscenza di base della nostra lingua. Il fenomeno è poi doppiamente grave perché anche i genitori la ignorano: nessun punto di riferimento dunque; e in alcune classi questi alunni costituiscono un quarto, e talvolta anche un terzo degli alunni; questo, si dice, è il trend. E fossero tutti della medesima lingua e cultura!
All’interno dell’istituto poi non si parli dell’uso dei mezzi della tecnologia, la scuola non ha soldi né per acquistarli né per usarli; mancano soldi per l’acquisto di carta per le fotocopie. E i docenti? Alle emergenze moderne si assommano quelle tradizionali, la scarsa preparazione di tanti, un deficit nel disimpegno delle lingue straniere, delle dinamiche di personalità degli adolescenti (psicologia, pedagogia). E i dirigenti? Troppo spesso dei burocrati, quale garanzia giuridica in rapporto ad un operato che diversamente avrebbe difficoltà a rimanere in linea con le direttive ministeriali. E i ragazzi? Con poco controllo, si lasciano andare a indiscriminati fenomeni di bullismo, con rispettiva emarginazione dei più deboli, se poi gli uni e gli altri non si lasciano adescare nel giro della droga. E i genitori? Spesso, quando non assenti, arroganti, quasi a difesa di un’insussistenza educativa, espressione, spesso, di sensi di colpa più o meno consapevoli.

Il pericolo di chiudersi al dialogo

E il dialogo? Cosa di pochi! Un tempo si parlava di eccessiva presenza della politica nelle aule scolastiche, specialmente all’indomani dei cosiddetti Decreti delegati, con rispettive e frequenti assemblee di classe e di Istituto - e certo non contribuivano all’espletamento dei programmi ministeriali - non bene, certo. Ma ora? Una generalizzata chiusura verso il proprio particulare, a somiglianza dei grandi: poco interessano la realtà sociale, il mondo del lavoro, proiettati verso miti più o meno immaginari, preda di una civiltà dell’immagine. Non più il mondo delle speranze, ma delle illusioni. Questo nella generalità delle situazioni. Pure esistono docenti preparati che ancora considerano l’insegnamento come un’arte più che come un lavoro e si spendono al di là di quello che sarebbe un professionale impegno. Mi ha sempre sorpreso, nei momenti meno didattici, come le gite scolastiche, l’abilità di giudizio dei ragazzi, grazie alla loro intuizione, capaci di cogliere tutti gli aspetti, dei loro docenti, anche la loro visione di vita.
Quanto a me, sono stato oggetto di osservazione, magari anche a lungo. Ricordo l’alunna F.L.; al termine del triennio mi confessò questo suo atteggiamento; ormai era proprio contenta di aver finito questa scuola…, la cosa che rimpiangeva era la mia presenza in aula. Infine, quanto ai vantaggi, la scuola pubblica ha docenti non raccomandati o, comunque, non scelti secondo determinati criteri di giudizio, cui poi devono in qualche modo sottostare, a danno della libertà di insegnamento, per quanto responsabile: si sa che, potendo, l’insegnante preferisce la scuola pubblica, anche se in certe scuole paritarie si studia di più, e i genitori, anche per motivi confessionali, sono disposti a pagare di più. Quanto a me, molto mi è piaciuta la franchezza dei rapporti nelle impegnative gite di istruzione, non solo, ma anche nei ritagli che l’orario scolastico riserva.

Alberto Casalboni

Scegliere la compresenza educativa

Non ho mai frequentato una scuola pubblica: parificate le elementari, privati le medie, il ginnasio e il liceo classico. L’università è stata per me la prima esperienza in contesto statale. Una volta laureato, ho svolto per venticinque anni la mia attività di docente nel liceo classico e scientifico di una scuola legalmente riconosciuta, cioè con i programmi previsti dallo Stato e con titoli riconosciuti dalla legge, e che comprendeva tutte le classi dalle elementari fino alla maturità, con oltre mille studenti. La mia esperienza di insegnamento si è limitata a tale scuola, ma penso che il mio giudizio si possa estendere a scuole analoghe.
Questa scuola, retta da un Ordine religioso con una lunga esperienza nel campo dell’educazione, ha elaborato un proprio progetto educativo con l’obiettivo di raggiungere il pieno sviluppo della persona e di insegnare agli alunni un metodo di studio utile anche per il loro futuro. Chiunque può inscriversi, purché ne accetti o almeno ne rispetti l’orientamento culturale e pedagogico-didattico, senza che nessuno sia tenuto ad aderire ai principi religiosi che la ispirano.
Rispetto alle scuole statali, in cui l’onere economico delle famiglie, qualunque sia, è di gran lunga inferiore e in cui comunque i genitori devono affrontare spese riguardanti i libri, i trasporti, i viaggi di studio e altro, nelle scuole paritarie, a queste spese, si aggiungono quelle di iscrizione, le rette mensili, che costituiscono i fondi necessari e sufficienti all’ordinaria gestione della scuola, e quelle delle attività parascolastiche offerte dai vari istituti, che, senza dubbio, incidono in maniera significativa sul bilancio familiare.
E ora mi trovo a riflettere su quali potevano essere i motivi e le aspettative per cui numerosi genitori preferivano per i loro figli proprio questa scuola. Il tempo trascorso a scuola tende sempre più a prevalere su quello vissuto in famiglia, ed è nota l’incidenza quantitativa delle ore passate in ambito scolastico sulla formazione di un fanciullo prima e di un giovane poi. Da qui l’importanza che i genitori possano scegliere tra le diverse scuole quella che più corrisponde alla formazione che essi vorrebbero dare ai loro figli e vederla poi confermata e sostenuta dal personale scolastico.

C’erano una volta tre fratelli

Qui mi piace pensare a tre fratelli, orfani di papà dalla primissima infanzia, che ho visto crescere nel corso degli anni del mio insegnamento. La loro mamma ha fatto di tutto per consentire loro di frequentare tale scuola dal primo anno delle elementari fino alla maturità: un investimento certamente oneroso, ma per lei prioritario. I ragazzi sono sempre stati stimolati all’impegno per ottenere il miglior rendimento, in modo tale da meritare il sostegno della scuola, e così avere, con la massima riservatezza, le agevolazioni economiche loro necessarie per completare gli studi in quell’istituto con ottimi risultati. In questi casi il Rettore otteneva dalle famiglie con più ampie disponibilità economiche e che volentieri collaboravano, un contributo di solidarietà per chi meno aveva.
Ognuno di noi insegnanti considerava ogni alunno prima di tutto una persona nel delicatissimo momento della crescita: le sue doti, il suo impegno, la sua capacità di apprendimento e il suo rendimento venivano sempre valutati in modo assolutamente personale, così da formulare un giudizio mirato a comprendere le eventuali difficoltà del giovane e aiutarlo a superarle. Penso che questo elemento insieme ad altri rispondesse alle attese di quei genitori che intendono la scuola come «comunità educante», che li affianchi in un progetto non solo culturale, ma anche in sintonia con i valori coltivati in famiglia.
Piuttosto che impegnarmi in un confronto tra i tipi di scuola, statale o riconosciuta dallo Stato, ho preferito portare la mia unica esperienza personale. Aggiungo che mi capita spesso di incontrare ex alunni, miei studenti, già con famiglia e con grandi responsabilità, che si dichiarano orgogliosi della scuola frequentata. Nella maggioranza dei casi hanno iscritto i loro figli alla stessa scuola o a scuole analoghe, considerando questo come un donare ai loro figli ciò che avevano ricevuto essi stessi dai loro genitori.

Nazzareno Zanni