Lasciamoci bagnare dal mare

Cari amici, sono un’abbonata da secoli... sempre soddisfatta. Volevo solo sapere da dove l’autore del bellissimo articolo a p. 6 di marzo-aprile 2015 ha tratto l’idea (pag. 8) di un Campana “folle di Dio”. Convertito in vita, non mi risulta (Rebora sì). Però c’è scritto, veramente “anche lui ora”: cioè ambedue in paradiso? Ma perché proprio Campana? Grandissimo, per certi aspetti: ma anche proprio prosaicamente matto, mentre Francesco era a suo modo razionalissimo. Grazie e auguroni.

Nanni

Carissima Nanni, hai inteso bene l’allusione insita in quel «anche lui ora». Pensavo proprio a san Francesco e Dino Campana a cantare l’amore di Dio in un solo coro celestiale. Campana “non convertito” e “prosaicamente matto”? Sì, proprio lui, soprattutto per quel verso: «fabbricare fabbricare fabbricare, preferisco il rumore del mare».
Qualunque fosse il significato di quelle parole nel loro contesto originale, l’interpretazione che ne do io è questa: “fabbricare”, come equivalente di ciò che fa l’uomo; “rumore del mare”, equivalente di ciò che fa Dio creatore; “preferire” il secondo termine al primo, come dice di fare il profeta di Marradi, è una mossa di inattaccabile razionalismo credente, se non nelle intenzioni dell’autore, almeno nella mia interpretazione. Sinceramente non vedo un antidoto migliore contro il virus di un’impostazione volontarista e/o giustizialista della nostra vita di fede: in entrambi i casi ciò che fa l’uomo conterebbe più di ciò che fa Dio. Francesco e Campana, nell’unisono della comunione celeste, ci dicono: “no! non è così!”. Queste due impostazioni possono essere facilmente intaccate anche da un atteggiamento fondamentalista che esclude ogni approccio dialogico, sia in campo ecumenico), sia interreligioso (tra credenti di diverse tradizioni religiose).
Infine, Nanni, se permetti, vorrei aggiungere qualcosa su quell’aggettivo, “razionalissimo”, che applicato a Francesco, a me richiede un minimo di riflessione. La follia vera, quella che (auto)distrugge noi e il mondo con noi, per me, è quella che non sa ascoltare “il rumore del mare”, troppo presa da programmi aziendali e obiettivi programmatici. E allora qualche volta, te lo confesso, sono tentato di pensare che i matti siano lo specchio delle nostre alienazioni, che prenderci cura di loro sia l’unico modo che noi abbiamo per guarire tutti insieme. Del resto, il confine tra la santa pazzia dei mistici e quella “prosaica” dei manicomi non è poi così indiscutibilmente chiaro. Anche di Gesù un giorno alcuni parenti pensarono che fosse diventato matto. Vuoi mica vedere che più di una volta i cliché di normalità e di salute mentale sono stati usati come grimaldelli utili a normalizzare chi avesse qualche fantasia debordante dalla misura della rispettabilità e del conformismo?
Quando i frati guardiani e intellettuali chiedevano a Francesco una regola più chiara (cf. FF 1564), più facilmente applicabile, si sentivano rispondere che il vangelo e la regola erano già sufficienti, che il Signore aveva voluto che lui fosse un “novello pazzo” in questo mondo, ecco, io son tentato di credere che, in quel momento, quei frati abbiano guardato a Francesco come a un “pazzo”, sì, ma non tanto “novello”. E poi la sua pazzia più grande, più evangelica non fu quella di lasciare l’ordine nelle loro mani, senza imporre la propria volontà, limitandosi a consegnare loro, in forma di testamento, il racconto della sua conversione? “Razionalissimo” Francesco, sì, certo, ma di quella razionalità evangelica che non è schiava di sé, ma sa di doversi superare per uscire da sé verso la libera gratuità dell’amore.
Nanni, su, non sarebbe poi male se anche noi, con un po’ di paura in meno di passar per matti, diventassimo un po’, poeticamente e misticamente, pazzerelli di Gesù, per cantare le sue lodi, già oggi, da vivi, e Dino Campana, Francesco, e chissà quanti altri risorti con noi… non è così ogni volta che celebriamo l’eucaristia?

Fabrizio Zaccarini