Fra Michele Papi è da alcuni mesi missionario in Turchia, paese dalla grande storia e dalle grandi contraddizioni. Gli abbiamo chiesto di condividere con noi le sue prime impressioni su un dialogo tra le Chiese e con l’Islam che da anni ormai i francescani stanno compiendo. Nonostante le paure del presente e le incomprensioni del passato, non si può tornare indietro e forse gli umili passi fatti possono esserci di aiuto per capire meglio.

Barbara Bonfiglioli

Costruire il dialogo col perdono

La Turchia è un mondo complesso da amare per poterlo capire

di Michele Papi
frate cappuccino missionario in Turchia

Rubrica Religioni in dialogo 01 - Mongolfiere nel suggestivo paesaggio della Cappadocia  Ciò che traspare

Sui mezzi di comunicazione rimbalzano spesso notizie sulla Turchia. Per citare solo un fatto recente, ha destato molto scalpore la forte reazione del governo turco alle dichiarazioni di papa Francesco sul genocidio degli Armeni del 1915.

Altro tema ricorrente riguarda l’ingresso in Europa di questo paese economicamente in crescita, dallo stile di vita occidentalizzato ma anche accusato di violazioni dei diritti civili come la libertà di espressione e di opposizione.
Quasi tutti in Occidente conoscono la figura del premier ora presidente Recep Tayyip Erdoğan, uomo forte che dal 2002 porta avanti la sua politica accentratrice sostenuto dal Partito per la Giustizia e lo Sviluppo di ispirazione islamico-conservatrice. Spesso abbiamo visto titoli di giornali nei quali la Turchia veniva associata alla questione del terrorismo internazionale, dall’attentato a papa Giovanni Paolo II perpetrato da Ali Ağca nel 1981 al tema odierno del passaggio dei combattenti stranieri diretti sul fronte siriano a dar sostegno alle truppe dell’ISIS.
Altre volte, quando sentiamo parlare di questo paese, lo colleghiamo emotivamente all’iconografia romantica di fine Ottocento, oppure agli eserciti dell’Impero Ottomano che si spinsero fino alle porte di Vienna. In pochi tuttavia ricordano la Turchia come territorio dell’Impero Romano d’Oriente e culla delle maggiori comunità cristiane dei primi secoli della nostra era. Allo stesso modo risulta meno conosciuto il tema dell’oppressione delle minoranze religiose o etniche (Armeni e Curdi in primis) che rappresenta una ferita aperta per una parte considerevole della popolazione, spesso rinnovata da politiche, silenzi e dichiarazioni della classe dirigente.

Catapultato in una città cosmopolita

In questo ambiente così complesso mi sono trovato catapultato a partire dallo scorso dicembre per i miei primi tre mesi (ottenere il visto a lungo termine non è facile per un religioso) di servizio presso la chiesa cappuccina di Santo Stefano a Istanbul. La complessità oltre che politica e sociale è anche religiosa, soprattutto in una città cosmopolita come Istanbul dove si trovano a convivere una maggioranza musulmana, che oggi vive l’appartenenza religiosa in modo più forte della tradizionale borghesia laicizzata, insieme ad antiche e numerose comunità cristiane armene, siriache, cattoliche, greche ortodosse e, più recentemente, evangelicali.
Data la mia limitata esperienza in questa terra e tenendo conto del grande limite che comporta la non conoscenza della lingua, non mi voglio addentrare in analisi o commenti della situazione appena descritta, solo mi preme sottolineare come sia forte da parte di noi francescani l’esigenza di un serio impegno nel campo del dialogo per vivere il nostro carisma e perseguire il fine della nostra presenza in Turchia. Un dialogo multidimensionale che parta da quello con le diverse componenti ecclesiali cattoliche, troppo spesso chiuse in una pastorale della “cura d’anime” tipica delle vecchie comunità “levantine” ormai scomparse. Oggi occorre cercare di intercettare insieme quella domanda di senso che portano con loro le giovani generazioni turche anestetizzate dal consumismo o dai fondamentalismi.

Rubrica Religioni in dialogo 02 -  Architettura islamica in TurchiaDialogare humanum est

Un dialogo con le chiese sorelle che sappia abbandonare le rivalità di un’assurda lotta per i battezzati dietro la quale si celavano interessi economici o favori politici: è questo il tempo nel quale testimoniare davanti al mondo l’unicità di Cristo e comporre nella comunione le diversità delle tradizioni e delle spiritualità. In tal senso sono state molto interessanti le celebrazioni della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che hanno toccato moltissime comunità, caratterizzate dallo “scambio degli amboni” e da momenti di convivialità.
Un dialogo con l’Islam, a partire dalle sue correnti più aperte e illuminate, cercando tra i fedeli del Corano quelle anime spirituali e tolleranti eredi dei maestri sufi. Relativamente a questo ultimo punto vorrei menzionare una iniziativa che va avanti da diversi anni e che, pur restando un evento di nicchia, costituisce sicuramente un segno importante. I frati cappuccini di Istanbul, grazie al lavoro di padre Raimondo Bardelli, in collaborazione con il PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica) di Roma e alcune università turche (in particolare la facoltà di teologia della Marmara Üniversitesi di Istanbul) hanno dato vita ad una serie di simposi a cadenza annuale allo scopo di “conoscersi meglio per apprezzarci di più”
In ogni edizione viene trattato un tema caro alle teologie delle due fedi: nel 2003 si parlò di “Rivelazione e Parola Scritta. Bibbia e Corano”, l’anno successivo de “La persona di Gesù vista da cristiani e musulmani”, nel 2005 il tema fu “Relazioni e rapporti tra Dio e creature”. Dal 2007 l’organizzazione passò nelle mani del confratello turco fra Hanry Leylek sempre sostenuto dagli studiosi del PISAI, in particolare il prof. Maurice Borrmans esperto di fama mondiale; fu in quell’occasione che si decise di coinvolgere nell’organizzazione gli altri ordini francescani presenti in città. Attualmente si sta preparando la tredicesima edizione che avrà luogo l’11 e 12 settembre prossimi con tema il “Rispetto del Sacro”.
Conoscendo e valorizzando iniziative di questo genere possiamo scoprire la realtà di un volto aperto e dialogico dell’Islam e acquisire quegli strumenti di conoscenza indispensabili per intraprendere analoghi cammini nelle nostre città. Occorre non farsi scoraggiare dagli insuccessi dovuti a vecchie ferite oppure a relazioni inautentiche scaturite da interessi sommersi; l’unica risposta efficace alla violenza e all’odio sono il perdono e l’amore che si concretizzano nel rispetto delle persone con i loro credo, mai asservendo Dio ai nostri interessi. La strada del dimenticarsi, dell’offrirsi, del mettersi a servizio apre le porte all’azione dello Spirito, sarà lui a compiere il miracolo dell’unità edificando quel Regno di pace dove tutte le genti potranno vivere alla luce dell’Agnello (Ap 22,3-5).