Leggi povertà e pensi a san Francesco, che una lunga tradizione ha chiamato il Poverello. Ma pensi anche a centinaia di milioni di persone che oggi sono costretti a vivere in uno stato di povertà che meglio sarebbe chiamare miseria disumana. E ti vien da pensare che c’è una povertà scelta e una subita. Quella di Francesco d’Assisi, figlio di un ricco mercante, è certamente scelta, ma gradualmente, con un faticoso cammino che va dall’esterno all’interno.Il 23 novembre 2014 il francescano secolare Amato Ronconi di Saludecio (Rn) è stato canonizzato: ce ne parla qui mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini.

Dino Dozzi 

Povertà

Viverla per scelta con buona dose di umiltà

 Rubrica Parole francescane 01 - Poverta' L'Ancella dei poveri Carla Ferrari con un frate cappuccino etiopicoL’assenza di possesso che allarga il cuore

Francesco nasce ricco e si fa povero. Incominciò con l’“amare intensamente i poveri” (2Cel 8: FF 569): scambiando i suoi  vestiti eleganti con i loro, cercava di condividere il loro stato.

E lo faceva con gioia, imparando a vedere il mondo dal loro punto di vista. Prende l’abitudine di vendere le stoffe del padre e di dare il ricavato ai poveri. Un giorno Francesco “appronta un cavallo, monta in sella e, portando con sé panni di scarlatto, parte veloce per Foligno. Ivi, secondo la sua abitudine, vende tutta la merce e, con un colpo di fortuna, perfino il cavallo” (1Cel 8: FF 333). Nella piazza d’Assisi, davanti al vescovo, restituisce denaro e vestiti al padre dicendo: “D’ora in poi voglio dire: Padre nostro che sei nei cieli” (3Comp 19: FF 1419).
Se Francesco lascia i suoi beni è perché ne ha trovato altri ai suoi occhi più preziosi; se lascia Pietro di Bernardone e la sua ricca eredità è perché ha trovato un altro Padre che gli ha promesso un’eredità più importante: Francesco fa la sua scelta di mettersi alla sequela di Cristo che gli chiede di lasciare tutto il resto. La sua indicazione per coloro che vorranno vivere come lui sarà questa: “Tutti i frati cerchino di seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo, e si ricordino che nient’altro ci è consentito di avere, di tutto il mondo, come dice l’apostolo, se non il cibo e le vesti e di questi ci dobbiamo accontentare”. Si noti che, prima della povertà, c’è l’umiltà, il solo terreno sul quale possono crescere tutte le altre virtù, compresa la povertà: senza l’umiltà anche la povertà può diventare - come storicamente avvenuto - motivo di orgoglio e di lotta per decidere chi è più bravo. E si noti anche quel verbo “accontentarsi”, apparentemente quasi insignificante, in realtà prezioso e indispensabile per essere felici. Poi Francesco aggiunge: “E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada” (Rnb IX,1-2: FF 29-30). Francesco ne ha fatto esperienza e garantisce. La povertà di cose deve allargare il cuore alla solidarietà e all’amicizia con gli ultimi.

Dignità per ogni lavoro onesto

Per mantenersi, i frati dovranno lavorare: va bene ogni tipo di lavoro purché onesto. Riconoscere la stessa dignità a tutti i lavori, dall’insegnamento accademico alla pulizia dei bagni, è una caratteristica rimasta fortunatamente nel francescanesimo: la sola gerarchia riconosciuta è data dall’amore con cui si svolge il proprio servizio. Il lavoro rende solidali con la quasi totalità degli uomini. La condivisione della vita spesso difficile di tanti uomini è espressa da Francesco con un’espressione semplice ma illuminante: “come gli altri poveri” (Rnb VII,8: FF 24). La povertà scelta non deve separare dalla povertà subita, anzi, chi la sceglie deve indicare a chi la subisce il modo di viverla con gioia, come realtà preziosa.
Francesco ha visto luccicare gli occhi di suo padre alla vista delle monete. Lui preferisce farsi luccicare gli occhi guardando quelli del crocifisso. Per mettere in guardia i suoi frati dal primo luccichio, proibisce loro di ricevere denaro e questo li aiuterà a restare poveri; questo, a sua volta, li aiuterà a sentirsi minori di tutti; e questo, infine, permetterà loro di sentirsi e di dirsi davvero fratelli di tutti: “frati minori” si chiameranno. Importante è la povertà per Francesco, ma solo come condizione per essere davvero fratelli di tutti.

Rubrica Parole francescane 02 - Poverta' Vale ancora il proverbio l'abito non fa il monacoLieti di essere liberi

Per questo non basterà la povertà materiale, e Francesco lo sa. Occorrerà tanta umiltà da non vergognarsi ad andare all’elemosina chiedendo il necessario per vivere se non basta ciò che si è ricevuto per il proprio lavoro e a manifestare con fiducia ai fratelli le proprie necessità. Essere davvero poveri significa anche non giudicare gli altri, non dire male di nessuno, non mormorare, essere cortesi e mansueti con tutti. “Quando i frati vanno per il mondo non portino niente per il viaggio”: alle cose materiali da non portare secondo il dettato evangelico nel discorso di missione, Francesco aggiunge anche il non portare il diritto di difendere i propri diritti, attingendo al discorso della montagna: “A chi toglie il loro non lo richiedano” (cf. Rnb XIV,1-6; FF 40). E se non bastasse, ricorda ciò che “dice il Signore: ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi”. Anche in mezzo ai saraceni ed altri infedeli, “non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio” (Rnb XVI,6: FF 43).
Nelle Ammonizioni, brevi esortazioni per vivere il vangelo nella quotidianità, Francesco aiuta i frati a verificare l’autenticità della povertà: l’eventuale turbamento quando viene tolto il servizio di superiore rivela poca povertà interiore (Am IV: FF 152); relativamente facile è recitare molte preghiere e fare molte astinenze e mortificazioni, “ma per una sola parola che sembra ingiuria della loro persona, o per qualsiasi altra cosa che è loro tolta”, ecco che molti si irritano: “questi non sono poveri di spirito” (Am XIV: FF 163). A quel ministro che chiede di ritirarsi in un eremitaggio perché i suoi frati gli “impediscono di amare il Signore Dio”, Francesco risponde di cambiare gli occhiali, di considerare “grazia” tutti questi impedimenti e di amare “quelli che ti fanno queste cose e non pretendere da loro altro se non ciò che il Signore ti darà; e in questo amali, e non volere che diventino cristiani migliori” (Lmin 1-6: FF 234-235). Questa è quotidiana profonda lettura di fede della realtà e reale povertà.
Nel brano della vera letizia (FF 278-279), infine, Francesco darà l’ultima sublime pennellata alla raffigurazione della povertà, come rifiuto del potere della cultura, del potere ecclesiastico e politico e perfino del potere evangelico. E, pensando soprattutto a se stesso, Francesco dirà che vera povertà è rifiutare anche la grande tentazione di lasciare il gruppo che rallenta per scattare da solo in avanti verso la perfezione eroica. Vera povertà, sorgente di vera letizia, sarà quella di restare umilmente con fratelli che ti tengono fuori della porta e che ti ripetono: vattene, noi non abbiamo bisogno di te. Francesco ha scoperto e fatto proprio il vangelo della croce, la bella notizia che, lasciando tutto, orgoglio compreso, per amore, si ritrova davvero tutto, nella libertà e nella letizia.