La margherita della speranza

Saper leggere e proporre il futuro negli avvenimenti che la vita ci presenta

di Stefano Folli
giornalista, francescano secolare di Faenza

Folli 1Bad news is good news

Ottimismo. Scena prima: sono in una classe (quinta elementare) per un laboratorio di giornalismo e chiedo ai ragazzi e alle ragazze quanti guardano regolarmente il telegiornale.

Quasi tutti alzano la mano. E quanti lo guardano volontariamente, quanti lo vogliono veramente guardare? Tutte le mani si abbassano, nessuna esclusa. Allora cerco di riflettere con loro sul perché a degli 11enni non piaccia il tg e le risposte sono unanimi: troppa politica, notizie lontane dai loro interessi e dalla loro realtà e soprattutto notizie troppo tristi, negative, tragiche. Coltivare ottimismo, con il panorama informativo a cui siamo sottoposti quotidianamente, sembra quasi impossibile. Ma una riflessione da tempo ormai mi guida nel pormi di fronte al “bad news is good news”, come dice un vecchio adagio del giornalismo anglosassone per indicare che i media privilegiano gli eventi con risvolti negativi: gli eventi spiacevoli diventano notizie non perché sono quelli più frequenti, ma proprio per il contrario, perché sono rari e si distaccano (drammaticamente) dagli eventi ordinari, quelli che normalmente accompagnano le nostre vite quotidiane e in un certo modo le rendono sopportabili, eventi quindi che non hanno nessuna “novità” da portare.
C’è poi da considerare che le “buone notizie” spesso non sono eventi puntuali ed eclatanti (come invece una rapina, un omicidio o una manifestazione finita in scontri e violenze), ma processi lunghi e duraturi: pensiamo alla ricerca per un nuovo farmaco, a un’invenzione che ha bisogno di lunghi test per passare alle applicazioni concrete, alla vita spesa da persone che si impegnano per gli altri nel nascondimento. Tutte situazioni che non possono avere il guizzo e il fascino dell’inatteso. I tentativi di orientare le notizie al “buono” e al “bello” difficilmente hanno portato i risultati sperati e si sono dovuti comunque confrontare con una realtà che deve fare i conti con il male esistente, con le difficoltà e con gli ostacoli.
Dobbiamo rinunciare, allora, a far crescere i nostri figli in un clima informativo più positivo? Dobbiamo rassegnarci a leggere il mondo come un coacervo di disgrazie da cui fuggire finché si può? Ecco allora entrare in gioco l’ottimismo. E con lui, il nostro impegno diretto che si opponga alla ricezione passiva di quanto i media ci sbattono davanti. La misura - perché ogni tanto è bene staccarsi e guardare altrove - e l’atteggiamento con cui ci poniamo di fronte agli eventi e con cui, anche in famiglia, discutiamo delle notizie che ci arrivano, può fare la differenza. Un atteggiamento di speranza sa cogliere la possibilità di vedere oltre il fatto brutto in sé, di costruire qualcosa di diverso, di far risaltare il piccolo germoglio rimasto vivo.

Folli 2Occhi aperti al futuro

L’ottimismo non è chiudere gli occhi al mondo e vedere solo il bene - temporaneo, sfuggevole e precario - che stiamo vivendo in un certo momento e che sta nel nostro piccolo mondo. Nessuno vuole negare l’esistenza o la rilevanza delle difficoltà e delle tragedie (delle quali più facilmente oggi veniamo a conoscenza per il moltiplicarsi delle fonti di informazione e la loro ubiquità e immediatezza). Ottimismo è attivare percorsi di ‘pensabilità positiva’ ovvero leggere le situazioni con occhi aperti al futuro, come fossero margherite di possibilità. Cercando in ogni petalo una strada. Ottimismo è impegno e presa di responsabilità per far sì, magari, che le cose possano cambiare, partendo da quello che dipende da me, da noi.
Ottimismo. Seconda scena: Sara ha 6 anni. Ha frequenti scatti di ira. A volte è aggressiva nei confronti dei fratelli, con i compagni di classe e in tante altre situazioni in cui si trova. La madre non riesce a gestire le sue crisi. Spesso le ripete: “Non so cosa fare con te . Non cambierai mai. Sei sempre la solita”. La rabbia di Sara aumenta, la frustrazione della madre pure. È un circolo vizioso. il pessimismo nei confronti del cambiamento possibile è la fonte di massima infelicità nella famiglia: sentirsi rinchiusi in un’identità immobile, il ripetersi di conversazioni accusatorie e rassegnate. Ci sono frasi che non aprono a nessun orizzonte, che in una famiglia dovrebbero essere abolite in qualsiasi situazione: sei il solito, non cambierai mai, sei impossibile, perché mi è capitato un figlio così?, non ti posso vedere, mi vergogno di te...

I pensieri che diventano speranza

Ottimismo. Terza scena: dopo lo spettacolo di un laboratorio teatrale e musicale di adolescenti, dopo numerosi apprezzamenti per il difficile lavoro, costato fatica e impegno da parte di tante persone, uno dei responsabili viene aggredito verbalmente da un genitore perché la figlia è stata tenuta in terza fila e non davanti, nelle posizioni più in vista. Al di là della esasperata competitività che porta a vedere una vittoria o una sconfitta anche in una situazione di cooperazione e di collaborazione come è uno spettacolo corale, dove non si “vince” e non si “perde” se non insieme, si tratta di un atteggiamento da “pessimista”, che sarà inevitabilmente trasmesso anche alla ragazza, pur nell’intento di difenderla.
Quale visione positiva può avere un genitore nei confronti della vita e del futuro dei figli se si lascia abbattere e irritare da un particolare che peraltro non denota necessariamente giudizi di merito? E quale prospettiva ottimista può avere della propria vita quella figlia che sente sminuita la propria persona (più per l’intervento del genitore che per il fatto in sé) da una scelta che potrebbe essere spiegata razionalmente, accettata emotivamente e costituire anche una spinta, se affrontata nel modo giusto, per un miglioramento nel futuro?
“Mantieni i tuoi pensieri positivi perché i tuoi pensieri diventano parole, le tue parole diventano i tuoi comportamenti, i tuoi comportamenti diventano le tue abitudini, le tue abitudini diventano i tuoi valori e i tuoi valori diventano il tuo destino”: così diceva Gandhi, riprendendo una riflessione molto più antica, per aprire alla conoscenza di cos’è (e cosa non è) speranza.