Raccontare un mondo migliore

La narrativa di Achille Campanile, graffiante ed essenziale, ritrae figure ancora attuali

di Saverio Orselli
della Redazione di MC

Orselli 1Scuotere la realtà per trovarne i lati migliori

Con una discreta dose di vergogna mista a un pizzico di sfacciataggine, condita con ottimismo quanto basta, mi avvicino all’opera di Achille Campanile che occupa, divisa in vari volumi, uno spazio importante nella libreria del soggiorno. Non esperto ma praticante, secondo una formula che forse sarebbe piaciuta a Campanile.

La collezione, iniziata quando i capelli erano lunghi, folti e colorati, si è sistemata quasi involontariamente ma giustamente tra i libri d’arte, perché saper sorridere della vita è un’arte difficile da praticare, frequentata sempre più raramente.
Il famoso vocabolario Treccani, alla parola “ottimismo” dice che, nel linguaggio comune, è «la disposizione psicologica che induce a scegliere e considerare prevalentemente i lati migliori della realtà, oppure ad attendersi uno sviluppo favorevole del corso degli eventi…». Di certo Achille Campanile (1900-1977) ha attraversato gli anni più difficili del secolo scorso, con due guerre mondiali, un ventennio di dittatura, seguiti dal tempo della ricostruzione e dell’entusiasmo nella rinascita del Paese, fino al ritorno della paura degli anni di piombo, sempre osservando la realtà con intelligenza, cogliendone i tanti aspetti divertenti, per trasformarli in altrettanti racconti, romanzi e battute fenomenali. Correndo seriamente il rischio di essere considerato un pazzo, come nel caso di cronaca che lo fece conoscere a Silvio D’Amico, direttore della terza pagina - quella culturale, per i non frequentatori di giornali - a soli vent’anni, quando dovendo raccontare la patetica vicenda che aveva coinvolto una vedova, che dopo aver portato per anni ogni giorno i fiori sulla tomba del marito, si era uccisa ai piedi della lapide, lui aveva titolato il pezzo di nera “Tanto va la gatta al lardo…”. Un pazzo o un genio? Ogni pagina della mia collezione dimostra vera la seconda ipotesi, senza mai smentire la prima.
Uno dei capolavori di Achille Campanile, iniziato quasi cent’anni fa, rimane Tragedie in due battute, un finto testo di teatro nel quale si alternano i copioni di oltre un centinaio di rappresentazioni per lo più assurde e irrealizzabili, che raccontano la realtà di tutti i giorni attraverso il sorriso che spesso accompagna la tragedia. Si tratta di testi brevissimi e folgoranti, per la capacità di tratteggiare in poche battute quanto promesso dal titolo.
Ecco alcuni esempi capaci di raccontare situazioni vicine ai lettori di MC:

DUBBI

Personaggi: IL CREDENTE, L’ATEO

IL CREDENTE - Io sono un credente, signore, afflitto dal dubbio che Dio non esista.

L’ATEO - Io, peggio. Sono un ateo, signore, afflitto dal dubbio che Dio, invece, esista realmente, È terribile.

(Sipario)

PERCHÉ?

Personaggi: IL VECCHIO CENCIOSO, IL PASSANTE

In una strada, ai giorni nostri. All’alzarsi del sipario IL VECCHIO CENCIOSO va raccogliendo mozziconi di sigari sul selciato.

IL PASSANTE - Ma perché andate raccogliendo mozziconi per la strada?

IL CENCIOSO - Caro signore, sigari interi non mi riesce di trovarne.

(Sipario)

Orselli 2La domanda del passante, che pare assurda, spesso è la stessa che, se va bene, rimane nella bocca dei volontari impegnati a offrire viveri e indumenti ai “cenciosi” di oggi: “Ma perché non andate a lavorare?”, anche se è minimo il rischio di ottenere una risposta tanto lucida e intelligente come quella del personaggio di Campanile.
Anche il piacere dell’uso della minaccia educativa, tanto diffuso cent’anni fa come oggi, finisce per trasformarsi nella scrittura di Campanile in una divertente tragedia con finale a sorpresa, impossibile nella realtà ma non per questo meno appassionante. 

POVERO ORFANELLO

Personaggi: IL VEDOVO, padre de, L’ORFANELLO (anni 3), L’UOMO NERO

In una saletta da pranzo, di sera. All’aprirsi del sipario IL VEDOVO, sotto la luce della lampada sta rammendando e L’ORFANELLO tira la coda al gatto. Nel resto della casa, silenzio.

IL VEDOVO senza alzare il capo dal tavolo: - Lascia stare il gatto, chè ti graffia.

L’ORFANELLO non se ne dà per inteso e piano piano cerca di raggiungere il gatto che s’è nascosto sotto un mobile. L’ORFANELLO lo raggiunge.

IL VEDOVO grida: - Ma vuoi finirla? Bada che chiamo l’Uomo Nero. (pausa) Sai chi è l’Uomo Nero? È quello che si porta via i bambini cattivi. Come niente fosse, il bambino continua a dare la caccia al gatto...

IL VEDOVO chiama: - Uomo Nero! Uomo Nero! Vieni a prendere Carletto!

S’ode uno scrocchio formidabile: la porta si spalanca ed entra come una saetta L’UOMO NERO: L’UOMO NERO - Eccomi, ai suoi comandi. Si piglia Carletto e scompare, lasciando IL VEDOVO trasecolato.

(sipario) 

Il frate nero

Molti anni fa, nel convento di Imola, mi capitò involontariamente di assistere a questa “tragedia”, con protagonisti una nonna, una nipotina di nome Debora - che la nonna chiamava, con forte accento romagnolo, Debòra - e fra Gioacchino, di cui mi piace ricordare il prossimo centenario della nascita, il 30 settembre. La tragedia in poche battute si svolse sul palcoscenico asfaltato davanti al convento, con la nonna urlante che tentava con le minacce di frenare la fuga in avanti della nipotina: “Debòra, fermati… vieni subito qui, non scappare!” Ma lei, niente. “Debòra, fermati che se no viene fuori il frate e ti porta via!” Niente. “Debòraaaa, adesso chiamo il frate e ti faccio portare via!!!” In quel preciso istante, forse richiamato da quello strano schiamazzare, fra Gioacchino, con la sua lunga barba bianca, aprì la porta del convento, esattamente davanti a Debòra che scoppiò in un pianto disperato, lasciando ancor più nella disperazione il povero frate che aveva un animo sensibile. Non avendo la capacità di Campanile di descrivere uno stato d’animo con una sola parola, non potrei affermare che la nonna fosse trasecolata, ma di certo la ricordo molto imbarazzata.
A proposito di frati, ce ne sono alcuni tra le pagine di Campanile che sembrano vivi ancora oggi. In Cantilena all’angolo della strada (1933), al capitolo XII intitolato Un mondo migliore del nostro, ce n’è un paio splendidi. Qui riporto la descrizione del primo: «Come vorrei vivere in quel mondo che la pubblicità rappresenta nelle vignette dei giornali! È veramente un mondo migliore del nostro. Prendete quel frate alto e magro, con una grande barba bianca, il quale mostra con gesto solenne una bottiglia di liquore depurativo. Ebbene, ne avrò visti di frati in vita mia, no? Sono stato a Montecassino, a Casamari, a Calci, alle Tre Fontane, a Camaldoli, alla Verna, ho visitato le principali abbazie d’Italia, ho visto frati, monaci, novizi, ma un frate così frate come quello del depurativo, un sant’uomo dalla figura talmente ieratica e degna di reverenza, non l’ho mai incontrato. E mai nessun frate mi ha mostrato una bottiglia. Mi piacerebbe incontrare un religioso così imponente e serio, che, vedendomi un poco pallido, levasse al cielo, come un ostensorio, una bottiglia atta a farmi rimettere in salute». Gli amici frati, che oggi nella pubblicità continuano a distribuire sciroppi e consigli, sono avvisati.