La vita è come un film

Una lettura ottimista del quotidiano traduce le esperienze in storia di salvezza 

di Alessandro Casadio
della Redazione di MC

Casadio 1Soggettiva

Non è l’orario preferibile per una passeggiata, tanto di passeggiata non si tratta. Le 14.30, in pieno luglio, col sole che starà lì a picchiare duro ancora per tante ore. La maglietta è appena uscita dal cassetto, ma già minaccia di non resistere a lungo a quella temperatura. Ci penserò più tardi, al ritorno, a quel punto sarà da strizzare.

Quelli che mi aspettano sono due giri dell’isolato, poco meno di un chilometro, percorsi su una carrozzina da corsa ultraleggera per disabili, ma che nelle mie braccia pappemolli sembra la metafora della lentezza. Non c’è nessun record da battere, nessuna performance da emulare: lo faccio per sopravvivere. Non in omaggio all’idolatria del corpo, che in me disabile già deve scendere a molti compromessi. Non per una filosofia salutista, ma per mantenere quel minimo di elasticità muscolare che ancora mi concede discreta autonomia e mettere una museruola a quest’accidente di diabete. I guantini antisdrucciolo da ciclista mi permetteranno di sfruttare il massimo della spinta sui cerchioni delle ruote. È una faticaccia quella che mi attende, ma ne vale la pena. La scelta dell’ora infame si spiega con il deserto che regna sul marciapiede assolato, dove anche una qualsiasi presenza ti costringe a faticosissime deviazioni dalla linea di passaggio ideale, quella che evita le gigantesche radici emerse dall’asfalto. Scansati improvvido pedone, da lì passa la storia della salvezza!
Arrancare nelle leggere salite come se fosse il Pordoi o lo Stelvio; attanagliarsi alla cromatura delle ruote nelle impercettibili discese come ai cordami della vela di un parapendio; assaporare l’inesistente brezza della velocità che ti scompiglia gli altrettanto inesistenti capelli: noi testimonial della vita ad ogni costo facciamo di tutto pur di avere un ruolo attivo nella realtà. Tu chiamale, se vuoi, emozioni.

Casadio 2Carrellata

Ho appena oltrepassato il supermercato, che nonostante l’orario continuato e l’aria condizionata appare inanimato, e sopraggiungo al bar di zona, l’unico punto del quartiere dove l’esistenza del genere umano sembra essersi conservata, grazie soprattutto al gioco del beccaccino e alla cricca di briscola appena servita a Paolone, che non vedeva una fortuna così dal 1985. Dalla veranda ombrosa del bar, esposta a nord, pregusta già la mano di carte che sta per giocare, mentre segue con la coda dell’occhio quel signore in carrozzina, che si arrabatta come un dannato sul marciapiede di fronte, per spingere avanti il suo mezzo con lentezza inesorabile. Ma chi glielo farà fare? Certo se un tipo così, un po’ “sfigato”, si dà tanto da fare per così poco, ci sarà sicuramente, tra le pieghe di qualche remota filosofia esistenzialista, un valido motivo che lo spinge a farlo. Qualcosa per cui si può e si deve affrontare anche una fatica improba, lottare e soffrire, che possa in permuta offrire una gratificazione di qualche tipo, un’estrema ratio a cui aggrapparsi. La vita vale la pena.
Come in una carrellata di Sergio Leone, alla faccia dell’asso che striscia adagio verso il centro della tavola, osserva il me-Clint Eastwood avanzare nell’aria baluginante della calura, con lo sguardo fisso sul metro di strada avanti a sé, le mani contratte pronte a immolarsi nell’epica sfida.
Paolone non ha una vita facile, soprattutto da quando ha iniziato un ciclo di chemioterapia per combattere il tumore al colon che gli hanno diagnosticato, inserendo un’infinità di punti interrogativi in un’esistenza che sembrava preordinata ad una linearità esemplare: lavoro, casa, carte. Interrogativi che hanno tentato di scombussolare la sua pacata quiete, premendo con crescente intensità nella sua mente e infiltrando il concetto di angoscia nei suoi parenti. Particolarmente nella sua donna, paziente all’inverosimile nell’attenderlo dall’ennesima partita, ansiosa ora per la strada senza ritorno che sembra avere imboccato. Tale esperienza l’ha sconvolta, forse più che se fosse toccata a lei, facendogli sembrare tutto più cupo, più grigio, per evidenziare un mondo privato di qualsiasi bellezza. Probabilmente, ritroverà la sua dolcezza e la sua pazienza dopo, ricordando la forza erculea di suo marito, che spostava gli armadi senza togliere la roba dentro. Pensieri apparentemente tristi che aprono in Paolone solo una parentesi di stupore per quanto la vita possa essere imprevedibile. Forse, dovrebbe preoccuparsene di più. Ma adesso no. Adesso c’è quell’uomo che sfila sul marciapiede, c’è la cricca di bastoni e sarà cappotto. Il saggio sa che, se scali una montagna e due tigri ti vengono incontro accerchiandoti, tu raccogli il fiore che sbuca dalla roccia accanto a te e gioisci per il suo profumo.

Casadio 3Panoramica

Bisognerebbe osservare tutta la scena dall’alto, come una panoramica cinematografica, fino a far sembrare ciascuna persona una formica laboriosa, ammirevole nell’impegno che profonde nella lotta per una sopravvivenza dignitosa. A volte anche un po’ comica, quasi ridicola, se messa in riferimento agli irrisori risultati che tale fatica estrema raggiunge. Ma questo lo vedi bene dall’alto, molto in alto.
Ecco, dunque, che nel quadro ottico complessivo s’insinua un’idea, una visione scafata dell’esistenza, un filtro speciale di ottimismo che ne autentica il valore. È la consapevolezza che proprio il nostro riconoscerci limitati sia il nodo centrale da sciogliere per scoprirci veri uomini. La fiducia che solo questo cambiamento di prospettiva ci faccia intuire il bisogno che abbiamo dell’altro e ci apra a un universo di relazione, inondandoci di irriducibile desiderio di incontro. La nostra fatica non cambia di una virgola, ma si costruisce in noi la percezione di essere parte di un progetto molto più ampio, un colossal con sceneggiatura e soggetto di ampio respiro e contenuti ampiamenti condivisibili. Ogni frammento di esistenza rivela un dettaglio della storia di salvezza: una regia da Golden Globe.
Ignaro, ma consapevole del mondo che brulica tutto intorno a me, affronto il rettilineo conclusivo con frizzante euforia, applaudendomi simbolicamente per aver portato a termine quell’impegno giornaliero, orgoglioso di aver offerto anch’io, per oggi, il mio modesto contributo in questa storia emozionante. Domani è un altro giorno. Titoli di coda.