Gli esseri umani conducono una vita di gruppo perché sono in grado di comunicare gli uni con gli altri. Senza comunicazione, non vi può essere scambio fra una mente umana e un'altra. Uno dei veicoli privilegiati è il linguaggio. La fluidità, la scorrevolezza e la velocità del linguaggio parlato non consentono di tornare indietro su ciò che si è detto.  La difficoltà di comprendersi è dovuta in buona parte alle limitazioni del linguaggio: un mezzo imperfetto, usato a volte con ambiguità, che induce in errori ed equivoci. Anche sul piano religioso occorre maggiore attenzione e consapevolezza in merito all'importanza della parola. Abbiamo chiesto al rabbino capo della comunità ebraica di Bologna, rav. Alberto Sermoneta, di illustrarci il significato della parola nella tradizione ebraica.

Barbara Bonfiglioli

 Le parole raccontano la salvezza

Attraverso domande e risposte si tramanda le creatività della parola

di Alberto Sermoneta
rabbino capo della comunità ebraica di Bologna 

Rubrica Religioni in dialogo 01 - foto archivio mcLa strada da seguire

Il termine “davar” nella lingua ebraica, sia antica che moderna equivale a “parola” in italiano.

Essa è alla base della tradizione del nostro popolo, non tanto usata attivamente, quanto nel senso che il popolo ebraico deve sottomettersi ad ascoltare la “parola” divina, che insegna ad esso la strada da seguire. La “parola” per eccellenza è individuata già all'inizio della creazione del mondo, quando la Potenza divina, attraverso la parola, emana la volontà di creare un mondo in cui regni ordine e  rispetto per ogni elemento del creato, fino alla nascita dell'uomo che, attraverso l'esempio divino, ha il dovere di insegnare agli altri esseri viventi a organizzare la vita su questo mondo.
Nell'episodio biblico del “roveto ardente” (Esodo, cap. 3), Dio rivela il Suo nome a Mosè, nome che fonda le radici nel verbo essere e divenire, attraverso una voce che non si ascolta ma si sente, si percepisce nel profondo di ogni essere vivente. Potremmo asserire che il “verbo divino” non è altro che la parola che ogni essere vivente percepisce a suo modo e che, attraverso un silenzio particolare, fa tanto fragore da smuovere le nostre coscienze.

Voce nel deserto

Il quarto libro del Pentateuco, in italiano Numeri è chiamato in ebraico “Bemidbar – Nel Deserto”.
La parola Midbar – Deserto contiene nella sua radice il termine “davar – parola”; tutto ciò per indicare che il deserto, considerato il luogo di solitudine e silenzio per eccellenza, ha avuto lo scopo di essere quel luogo in cui si è manifestata al popolo la “voce” di Dio: sia attraverso la chiamata a Mosè dal roveto ardente, sia attraverso la promulgazione di quei Comandamenti che sono il cardine su cui poggia tutta la tradizione e la vita dell'ebreo, conosciuti nella lingua ebraica con il nome di “Aseret ha Devarim – Le Dieci Parole”, che sanciscono il Patto stipulato circa quattrocento anni prima con Abramo e che viene definitivamente sancito con il popolo di Israele, finalmente libero dalla schiavitù egiziana.
Il compito di ogni essere umano, ed in particolare di ogni ebreo, è quello di trasmettere, insegnando ai figli e ai propri discepoli, la parola di Dio, attraverso le nostre parole: “Ve ajù ha devarim ha elle.... E saranno queste parole che io ti comando oggi sul tuo cuore.....” (Deuteronomio,  cap. 6). L'insegnamento avviene attraverso la trasmissione delle tradizioni che appartengono al proprio popolo, alla propria gente e debbono essere narrate facendo in modo che chi ascolta si consideri come se egli stesso avesse vissuto quelle esperienze.
Nella celebrazione della Pasqua ebraica, festa che ricorda la liberazione dalla schiavitù egiziana, si usa nelle prime due sere fare una particolare cena in cui si legge un formulario chiamato haggadà – racconto, in cui si narra la storia dell'uscita dall'Egitto e della liberazione del popolo ebraico.
Nel capitolo 12 del libro dell'Esodo, quando si narra della preparazione del popolo a questo miracoloso evento, c'è l'ordine divino che suona con le parole: “...e lo racconterai a tuo figlio, in quel giorno, dicendo: in grazia di ciò il Signore mi ha tratto dall'Egitto”; l'obbligo di narrare ai propri figli le esperienze passate è fondamentale per metterli nella nostra stessa condizione vissuta da noi e, soprattutto, per stimolare la loro curiosità, in modo da chiedere per conoscere di più.
Non ci si può sentire liberi se non si chiede, così come se non si risponde; ognuno ha il diritto di domandare e di rispondere, per tramandare: tutto ciò avviene attraverso la parola.

Segnaliamo il Museo Ebraico di Bologna che propone interessanti iniziative per conoscere meglio la religione ebraica; per promuovere un dialogo fra le diverse religioni abramitiche; per proporre percorsi didattici per studenti di ogni ordine e grado.
Per maggiori informazioni si può consultare http://www.museoebraicobo.it